La stagione perfetta del Maestro Djokovic (Clerici). Djokovic V°, l’imbattibile (Cocchi). Nole è il pigliatutto ma non fa sognare (Azzolini). Djokovic Maestro senza rivali (Giorni). McEnroe: “Sono la più grande rockstar del tennis” (Piccardi).

Rassegna stampa

La stagione perfetta del Maestro Djokovic (Clerici). Djokovic V°, l’imbattibile (Cocchi). Nole è il pigliatutto ma non fa sognare (Azzolini). Djokovic Maestro senza rivali (Giorni). McEnroe: “Sono la più grande rockstar del tennis” (Piccardi).

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La stagione perfetta del Maestro Djokovic (Gianni Clerici, La Repubblica)

Purtroppo il nostro non è uno sport come la ginnastica artistica o il pattinaggio su ghiaccio, in cui il punteggio viene attribuito secondo parametri estetici. Questa è ormai una sorta di atletica con racchetta, e me l’ha confermato una ripresa televisiva. Le gambe muscolate e pur sottili di Novak Djokovic erano riprese nei passettini iniziali, rapidissimi, i piedi ravvicinati, sinché, d’un tratto, eccole allargarsi, scattando, e infine scivolando su un terreno decisamente non adatto ad alcunché di simile. Al confronto i passi di Federer ricordavano i nostri, del giorno in cui fummo giovani e capaci di scattare. Niente di simile a quelli di Nole. Certo, nei gesti Federer era decisamente più elegante, il polso si fletteva a tratti, per assegnare violente carezze alla palla, che Djokovic non sempre sapeva imitare. Ma Nole resterà il primo del mondo sinché non si affermerà un avversario non meno atleta di lui, e questi non potrà certo essere un fenomeno del gesto quale Federer. Alcuni allora si domanderanno: «Come mai, non più tardi di due giorni fa, Federer era riuscito a battere il fenomeno atletico con il punteggio di 7-5,6-2?». La risposta potrebbe essere che l’incontro non era decisivo come questo, e che Nole si muoveva peggio di quanto non l’abbia ammirato nell’affermazione atletica di stasera. Questa domenica, la condizione atletica ha permesso a Djokovic di commettere soltanto 14 errori gratuiti contro 31, e di limitare lo scarto dei colpi vincenti, in cui Federer si afferma, ma per la miseria di tre punti. E’ chiaro che lo scarto di eleganza gestuale tra i due rimane, ed è altrettanto chiaro che i passati successi di Federer gli guadagnano applausi rapiti di un pubblico spesso ipnotico, affascinato dalla storia ancor prima che dal presente. Ed è non meno viva la gratitudine dello scriba, al quale una sessantennale esperienza ha insegnato, quanto meno, tutta l’obiettività possibile, tanto da prediligere la bellezza dello spettacolo nei confronti del nome del vincitore. Detto questo, non devo dimenticar di citare il punteggio. Due errori di diritto, e una difficile volée finita in rete sono costate a Roger il break determinante del primo set, fin dal terzo game. La possibilità di un break a favore sono scomparse in seguito a un errore di rovescio nel sesto game. E un nuovo break ha suggellato il primo set. Un secondo, certo più equilibrato, foriero di un entusiasmo spesso eccessivo in favore di Roger, è continuato sino a far credere ad un tie-break, evitato da Djokovic e terminato con una fine indegna di un match, se non grande, spesso mirabile: un doppio errore di Federer. Speriamo che, come ha affermato, continui ad affascinarci ancora per un anno.

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Djokovic V°, l’imbattibile (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

L’edizione 2015 delle Atp Finals di Londra si chiude come era ampiamente immaginabile: con il numero 1 al mondo, dominatore assoluto di questo 2015, che scrive il suo nome per la quarta volta consecutiva (la quinta in totale) nell’albo d’oro del torneo. Un altro record: primo uomo a riuscire nell’impresa di metterne insieme quattro di fila. Federer si consola solo con i numeri, è ancora lui a guidare la classifica del plurivittoriosi al Masters con sei titoli, mentre Nole raggiunge Lendl e Sampras, a una lunghezza di distacco. La partita è più spettacolare di quanto non dica il punteggio. Con continue discese a rete di Federer, che a ogni prodezza scatena il delirio dei 19.000 dell’Arena. L’applausometro, di certo, lo ha vinto lui. Che il Re sbagli o faccia punto è sempre una bolgia, con la comprensibile irritazione di Nole. Nel primo set si ritrovano entrambi a salvare un break ma Djokovic, dopo aver tastato il terreno, strappa il servizio a Federer e vola 2-1. Roger sul 3-2 ha la possibilità di recuperare il break, ma il dritto finisce in rete. Roger si ferma lì e si consegna al serbo. Il secondo parziale è inizialmente più equilibrato ma, ancora una volta, Federer subisce il break ritrovandosi sotto 5-4 e offrendo di fatto il match al numero uno. Lo spettacolo di Federer arriva con le volée, anche dorsali, con cui incanta la folla, malgrado tutto. Cioccolatini belgi (auspicio per la finale Davis?) per tutti dopo la conferenza stampa, una golosità per salutare la stagione più dolce di Novak: «Un anno stupendo, il mio migliore di sempre — è il suo commento —. Peccato per quella sconfitta all’inizio contro Karlovic… credo che dovremo parlarci prima di giocare a Doha la prossima volta». Scherza, ma nemmeno troppo Nole che, non fosse stato per quel ko nei quarti all’esordio, avrebbe probabilmente raggiunto 16 finali. E invece si deve accontentare delle 15 consecutive, di tre titoli Slam, di sei Masters 1000, di una finale persa al Roland Garros e del titolo nelle Finals. Volere di più sarebbe impossibile per un umano, ma pare proprio che il serbo non faccia parte della categoria. Lui vuole di più: «Non so cosa mi riserverà il futuro, ma cercherò di continuare così. Impegnandomi al massimo, chiedendo sempre di più a me stesso. Il prossimo anno ovviamente cercherò di conquistare quello Slam che continua a sfuggirmi, ma Parigi non è l’unico obiettivo, c’è anche l’Olimpiade». Nel suo box, Boris Becker è raggiante. Il quarantottesimo compleanno è stato festeggiato nel modo migliore: «Spero di avergli fatto un bel regalo — continua — mi auguro si accontenti del trofeo, è abbastanza grande. Scherzi a parte: a lui devo molto, lui sa quello che si prova a competere a certi livelli, e mi ha aiutato tantissimo. Mi auguro che il nostro percorso continuerà per molti anni ancora». Si fa attendere Federer, che non ha tanta voglia di parlare. Dopo la netta vittoria nel round robin forse sperava di avere più chance. «Non è mai bello essere nei panni dello sconfitto — ha detto — ma è sempre meglio che non giocare, come mi è successo l’anno scorso. Complimenti Novak, il tuo è stato un anno pazzesco. Ma non mi preparerò per batterlo. L’ho fatto solo per Nadal, con Nole è diverso. Lui si può battere anche così». Per Roger solo cioccolato amaro.

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Nole è il pigliatutto ma non fa sognare (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Qualunque banalità vogliate prendere in considerazione, a spiegazione di un dominio che sta assumendo contorni assolutistici potete facilmente applicarla a Novak Djokovic. E’ vincente in ogni momento del match, anche quando le cose vanno male? Sì. E’ solido al punto da indurre i concorrenti a non esprimersi al massimo, vince anche quando non gioca al meglio, vince e non convince? Ovvio, e che nessuno dica che non abbia talento! Chi altri potrebbe giocare quelle sequenze di colpi ai limiti della raffica pugilistica? Potremmo continuare così all’infinito. Mille motivi che tutti insieme compongono la forza del Djoker, l’ineluttabilità delle sue vittorie, l’implacabilità del suo procedere. E di contro, un solo motivo per cui il popolo del tennis continua a preferirgli Federer: Nole non fa sognare. Roger è l’antidoto alla noia. Lo era e continua a esserlo, a dispetto di tutti gli anni che si sono accumulati sulle sue spalle. E’ quello che ti dà la certezza di aver speso bene i soldi del biglietto, la convinzione che stia per succedere qualcosa di incantevole, da raccontare. Nonostante la sconfitta, la sua presenza resta irrinunciabile. Eppure, questa finale londinese non aggiunge molto al conto di questa stagione, che si chiude come lo scorso anno, con un uomo solo al comando. Non è qui in discussione la vittoria di Nole, la sua 52 nelle Finali ATP; è in discussione, piuttosto, quel senso di ineluttabilità che si avverte quando sale l’importanza dello scontro. E lì che la distanza fra Nole e gli altri appare incolmabile. Sin dai primi game. Un abisso senza speranza. Quest’anno Federer si è procurato le occasioni per attaccare Djokovic più volte, e il valore della sua annata è tutta qui. Una a Wimbledon, una agli Us Open, una al Masters, dove lo ha persino battuto nel girone eliminatorio. Era sembrato, da quest’ultimo match, che il “gioco libero” di Roger, quella sua capacità di inventare, fosse ancora in grado di incidere. Non è stato così. La finale del Masters non è stata diversa da quella dei due dello Slam. Se Roger abbia provato a creare qualche difficoltà in più a Nole, se abbia tentato di sgretolare il muro, pochi se ne sono accorti. E quel che è peggio, non se n’è accorto Djokovic. Federer ha giocato il primo set senza il servizio. Si è rinserrato nel difendere la linea di fondo e ha offerto a Djokovic ampio campo di manovra. Ha provato qualche attacco, ma è stato sempre troppo timido. Il conto finale, la semplicità con cui è giunta la vittoria di Djokovic, dice che la distanza fra i due si è ampliata ancora di più. Nole ha scherzato con Nadal in semifinale, e ha fatto quasi lo stesso con Federer nell’atto conclusivo. Quell’uomo solo al comando, ora è talmente lontano che gli inseguitori non lo vedono più.

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Djokovic Maestro senza rivali (Alberto Giorni, Il Giorno)

Il doppio fallo di Federer sul matchpoint è fortemente simbolico. Lo svizzero prova una chiamata disperata dell’«occhio di falco» tecnologico, ma in cuor suo sa che la partita è finita. Così si avvicina a rete e, dopo un rapido sguardo al replay sul maxi-schermo, saluta amichevolmente un insuperabile Novak Djokovic. La vendetta (sportiva) è un piatto che si serve freddo, e il serbo non ha dovuto neanche aspettare troppo per gustarselo: cinque giorni dopo la sconfitta con Federer nel girone eliminatorio eccolo qui, bell’e servito. Non c’era bisogno di un’ulteriore conferma, il più forte rimane lui e il severo 6-3, 6-4 è l’ennesima perla di una collana infinita. Il n.1 del mondo ha trionfato alle Atp Finals per la quarta volta consecutiva (record, Lendl e Nastase si erano fermati a tre), quinta in assoluto. Il suo 2015 da maestro è una delle stagioni più clamorose di sempre. Ieri ha incamerato l’undicesimo titolo, compresi 3 Slam e 6 “Masters 1000”: senza il passo falso con Wawrinka nella finale del Roland Garros (unico torneo che rimane tabù), staremmo celebrando un leggendario Grande Slam. «E’ la mia miglior stagione e ne sono orgoglioso — ha detto dopo il bacio alla moglie Jelena e l’abbraccio a coach Boris Becker che ieri ha compiuto 48 anni —. Adesso mi concederò un paio di settimane di vacanza con la mia famiglia. Complimenti Roger, spero di incrociarti ancora». Djokovic ha pareggiato Federer negli scontri diretti (ora siamo 22-22), come aveva fatto sabato con Nadal. Il sorpasso è solo questione di tempo e il serbo può riscrivere i libri di storia: con 10 Slam è pronto ad attaccare il primato di 17 dello svizzero (vincitore anche di 6 Masters): nei prossimi due-tre anni non si vede chi possa contrastarlo. Però giù il cappello davanti a Federer, che aveva il pubblico della 02 Arena di Londra tutto per sé. A 34 anni suonati, il fuoriclasse di Basilea è stato l’unico a tenere testa allo strapotere di Djokovic (sei anni in meno), che nel 2015 ha subìto solo 6 sconfitte e tre di queste proprio contro Roger. Che difficilmente vincerà un altro Slam (è a secco da Wimbledon 2012), ma può ancora deliziarci con il suo tennis spettacolare e ineguagliabile. Il copione della finale è quello atteso: creatività contro solidità. Lo svizzero puntava ad abbreviare gli scambi gettandosi a rete, ma la rischiosa tattica lo ha fatto andare fuori giri. Il serbo, un muro di gomma, si è aperto la strada con formidabili recuperi e precisi passanti. Sul 4-5 del secondo set, Federer ha salvato il primo matchpoint, ma sul secondo è arrivato l’inesorabile doppio fallo. «E’ stato un anno positivo per me — ha sottolineato Roger —, in alcuni momenti ho giocato bene anche stavolta, ma Djokovic era superiore». Si temeva che Federer potesse chiudere la carriera dopo le Olimpiadi di Rio, invece in questi giorni ha stretto un accordo con il torneo di Stoccarda, tappa di preparazione a Wimbledon, assicurando la presenza anche nel 2017. Gli dei del tennis ce lo conservino ancora a lungo.

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McEnroe: “Sono la più grande rockstar del tennis” (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)

La finale de “La Grande Sfida”, giocata ieri a Modena e vinta da John McEnroe su Sergi Bruguera è stata l’occasione per una chiacchierata con il grande campione statunitense, che ha concesso un’intervista al Corriere della Sera. Ecco una sintesi.

John, perché è così tanto amato?

«Perché la gente ha cattiva memoria. Dicevano che ero più maleducato di Connors, oggi mi adorano. La verità è che in campo rompevo gli schemi, ero fuori dal coro, mi prendevo libertà. E a qualcuno non piaceva. Però ero anche intenso, aggressivo, mai noioso. Alla fine il tempo mi ha reso giustizia e i lati positivi hanno prevalso su quelli negativi».

Nessuno è più come lei.

«Oggi il tennis è business, marketing, impresa: certi giocatori devono mantenere staff di dieci persone, ai miei tempi ero io e basta. Così è più difficile essere se stessi».

È vero che allenerebbe volentieri l’australiano Kyrgios?

«Diciamo che la sua è il tipo di personalità di cui potrei occuparmi. Però non traslocherei mai in Australia né sarei disposto a viaggiare 20 settimane all’anno. Ma, soprattutto, Kyrgios non mi ha mai chiesto di fargli da coach. Non me l’ha chiesto nessuno, negli ultimi vent’anni, a dire il vero…».

Cambierebbe qualcosa nel tennis di oggi?

«Via il riscaldamento. Basta foto, sorrisetti, smancerie. Subito sul ring, come nella boxe. Ci sarebbe più pathos! Poi: tie break al quinto set, sempre e ovunque, accorciandolo. Stare in campo 5-6 ore è follia: il tennis non è una prova di resistenza».

Quanto a vigoria fisica, Djokovic è imbattibile.

«Ma non credo che batterà il record di 17 Slam di Federer: sono già sorpreso che abbia avuto un 2015 così eccezionale. Deve restare integro: perché il suo gioco funzioni gli ser ve ogni singolo dettaglio».

Roger è il migliore di tutti i tempi?

«E il Rod Laver dei due Grande Slam? E il Rafa Nadal dei nove Roland Garros in dieci anni? Tutto cambia così in fretta…».

Parliamo di Bjorn Borg: siete davvero amici o è leggenda metropolitana? «Le basti sapere questo: quando Bjorn fece bancarotta e fu sul punto di vendere le sue coppe, mi offrii di comprare il trofeo di Wimbledon ‘80. Se proprio devi, chiamami gli dissi. Quella coppa, in fondo, è un po’ anche mia».

Finale di Parigi ’84 con Lendl: come ha potuto perdere con due set di vantaggio?

«Sono un essere umano, avevo un sacco di casini a casa in quel periodo, pensavo fosse fatta e nel terzo sono uscito di testa. Quella sconfitta mi ha regalato un po’ di umiltà».

Da piccolo cosa sognava di diventare?

«Un giocatore di basket o un chitarrista. E tra cento anni vorrei essere ricordato come la più grande rockstar della storia del tennis»

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