Schiavone brutto stop, niente record negli Slam (Crivelli). La Schiavone si ferma a due passi dal record (Semeraro). Australia, è subito Giorgi-Williams (Il Secolo XIX). Donne (di sport) che odiano le donne (Condò)

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Schiavone brutto stop, niente record negli Slam (Crivelli). La Schiavone si ferma a due passi dal record (Semeraro). Australia, è subito Giorgi-Williams (Il Secolo XIX). Donne (di sport) che odiano le donne (Condò)

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Schiavone brutto stop, niente record negli Slam (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport).

Fermarsi a un passo dal sogno. Un destino beffardo che tuttavia non può sporcare una carriera da superstar, un percorso agonistico paradisiaco: perché le emozioni, i brividi, le sensazioni magiche che la Schiavone ha regalato resteranno per sempre circonfuse da un’aura mitologica. SAPORE Francesca non ce l’ha fatta, evviva Francesca. Il record di Slam consecutivi per una donna, 62, resta ineguagliato: la giapponese Sugiyama, che lo detiene, ringrazia a distanza la francese Razzano, capace di tornare a livelli discreti dopo un 2015 fatto solo di qualche match nei Challenger (nel 2009 è stata 17 al mondo, ora è 209) e dunque di stoppare (6-1 4-6 6-1) nel secondo turno delle qualificazioni degli Australian Open la milanese, condannata da tre doppi falli nel terzo game del terzo set. La Schiavo, il cui primo Major furono gli Us Open del 2000 (da qualificata si issò fino al terzo turno) si arresta perciò a una sola tacca dal primato, una beffa immeritata che tuttavia non ne intacca lo spirito: «E’ vero, questi non sono match da perdere, quando hai un cammino ben definito davanti. Ma solo chi è dentro a “quelle righe della vita” ingoia amaro eppure le apprezza e ne sente il sapore». Una reazione da donna e atleta vera, che ha investito molte delle ultime energie nell’inseguimento di quella fatidica quota 63, considerando che al Roland Garros le avrebbero garantito la wild card in quanto ex detentrice del titolo. SOLO APPLAUSI Ecco, si potrebbe aprire un capitolo sull’insensibilità degli organizzatori di Melbourne che l’hanno obbligata alla qualificazioni, dimenticando che nel 2011 contro la Kuznetsova, negli ottavi, disputò la partita più lunga e più bella del tennis femminile, 4 ore e 44 minuti di pura adrenalina. Meglio consolarsi con le perle che ha fin qui distribuito: la vittoria a Parigi nel 2010, da numero 17 del mondo, prima donna italiana a trionfare in uno Slam; il numero 4 Wta, la classifica più alta per un azzurro (alla pari con Panatta); le tre Fed Cup (2006, 2009, 2010) e le 13 stagioni (dal 2001 al 2014) tra le prime 50 della classifica; soprattutto, quel gioco elegante e fuori dagli schemi, ancorato a un rovescio a una mano che sarebbe da insegnare nelle scuole, uno stile così lontano dal corri e picchia che va così tanto di moda da un decennio, cui va aggiunta una leadership tecnica e caratteriale in grado di trascinare verso l’alto tutto il movimento. Nel tabellone principale, dunque, restano solo Vinci (contro una qualificata), Giorgi (tremendo primo turno con Serena Williams) ed Errani (Gasparyan), mentre tra gli uomini, out anche Giustino e Fabbiano, restano Fognini (Muller), Seppi (Gabashvili), Bolelli (Baker), Cecchinato (Mahut) e Lorenzi (Dimitrov). Buona fortuna

 

La Schiavone si ferma a due passi dal record (Stefano Semeraro, Il Corriere dello Sport)

Francesca non ce l’ha fatta, viva Francesca. Viva la Leonessa Schiavone, sbarcata a Melbourne con un sogno difficile da coltivare – il record di 62 Slam consecutivi che fra le donne appartiene e continuerà ad appartenere alla giapponese Ai Sugiyama (Roger Federer ha quello assoluto, 64) – e che se l’è visto evaporare davanti venerdì, battuta al secondo turno di qualificazione degli Australian Open da Virginie Razzano, altra veterana del Tour, per 6-1 4-6 6-1. Un set a testa, poi il filo del match che si è spezzato all’inizio del terzo, quando Francesca ha consegnato il break alla francese con tre doppi falli consecutivi. Un blackout, un infortunio uno scivolone mentale, come forse lascia intuire anche il messaggio che la Schiavo ha consegnato a Facebook dopo il match: «L’avversario che si nasconde nella nostra mente è molto più forte di quello che troviamo dall’altra parte della rete». Non un’analisi tecnica ma, forse – speriamo – un modo per dire che quella di Melboume Park è una delusione bruciante ma non una resa, e per spiegare a tutti che l’avversario capace di spostarla fuori dal tennis ancora non è nato. Fra l’altro con la Razzano, una peraltro abituata a far piangere le grandi (storico il suo successo parigino contro Serena Williams), la Schiavone aveva un bilancio più che favorevole, 5-1, e poteva contare su una classifica migliore (115 contro 209). NESSUN REGALO. Peccato, per il record. Fino all’ultimo si era sperato che la federazione australiana concedesse una wild card all’azzurra, in fondo sarebbe stato un omaggio giustificato ad una delle grandi protagoniste degli ultimi quindici anni, che fra l’altro nel 2011 proprio in Australia aveva inciso insieme a Svetlana Kuznetsova un capitolo storico, un record indimenticabile: la vittoria ottenuta 16-14 al terzo set negli ottavi di finale contro la russa con le sue 4 ore e 44 minuti è infatti la partita più lunga mai giocata in campo femminile. Quella volta Francesca riuscì a salvarsi annullando sei match point, evidentemente nemmeno il ricordo di quello show fantastico ha smosso le convinzioni dei dirigenti aussie. Stavolta la mossa alla Houdini, il salto mortale “alla Schiavone” non le è riuscito, complice la faticata in tre set al primo turno contro la belga An Sophie Mestach. E ADESSO? Ora resta da capire cosa farà Francesca, che un progetto sicuramente se l’è già disegnato davanti. Forse quello di grande addio a Parigi, lo Slam dove ha trionfato nel 2010 e raggiunta la finale nel 2011, magari dopo una passerella d’onore a Roma, due tornei dove potrà contare sulla wild card che le è stata negata “down under’: O magari, se i risultati torneranno a sorriderle, ancora una stagione all’arrembaggio, ancora tornei da giocare, lampi da inseguire. «Il mio obiettivo per il 2016? Essere la rivale di Serena Williams», aveva sorriso qualche settimana con la spavalderia di sempre, con la sicurezza di chi è abituato a rovesciare tavoli e tabelloni, a stupire il mondo. Qualcuno può pensare che ha fatto bene Flavia Pennetta a dire addio al culmine della carriera, e che a Francesca, a 35 anni compiuti, converrebbe evitare altri smacchi brucianti. Ma la Schiavone è la Schiavone, un’animalessa da combattimento che respira tennis e se ne fa incendiare. Se ritroverà la grinta e forza di superarsi, non ha senso suggerirle il ritiro. I record passano, le campionesse restano. Provaci ancora, Schiavo.

 

Australia, è subito Giorgi-Williams (IL SECOLO XIX)

Primo turno abbordabile per gli otto azzurri, cinque uomini e tre donne, in lizza negli Australian Open al via lunedì a Melbourne. Il sorteggio – cui hanno partecipato i vincitori del 2015, Novak Djokovic e Serena Williams – è andato male solo per la n. 35 del ranking Camila Giorgi: prima esclusa dalle teste di serie, è incappata proprio nella numero 1. La 34enne Williams però non gioca un match intero dall’11 settembre, quando fu sconfitta da Roberta Vinci, nella storica semifinale degli Us Open. E chissà che ciò non sia di buon auspicio per la 24enne marchigiana, che ha perso i due precedenti ma gioca meglio contro le giocatrici più forti, mentre inciampa spesso contro avversarie modeste. La Vinci, numero 15 Wta, attende una qualificata, mentre Sara Errani (19) se la vedrà con la russa Gasparyan (60). Tra gli uomini, Fabio Fognini (21) è stato sorteggiato contro il lussemburghese Gilles Muller (38), mai incontrato. Non è un avversario facile, e il ligure dovrà giocare al massimo per batterlo. Andreas Seppi (29) affronterà il russoTeymuraz Gabashvili (50), battuto in tre dei quattro precedenti; l’anno scorso l’altoatesino arrivò agli ottavi, dopo aver eliminato Roger Federer. Simone Bolelli (58) ha lo statunitense Brian Baker. Male è andata invece a Paolo Lorenzi (69), opposto al bulgaro Grigor Dimitrov (28); Cecchinato (91) sfiderà il francese Mahut (71). Nell’Olimpo dei big, il numero 1 Djokovic potrebbe incontrare Seppi nel terzo turno, e in semifinale Federer (3). Nell’altra metà del tabellone si trovano Andy Murray (2), finalista l’anno scorso; Stanislas Wawrinka (4), campione nel 2014 e Rafa Nadal (5). Lo spagnolo e lo svizzero potrebbero affrontarsi nei quarti. Tra le donne Williams e Sharapova sono nella stessa parte di tabellone. Nell’altra metà Halep, Muguruza, Kerber e Azarenka. Intanto Francesca Schiavone, battuta nel secondo turno delle qualificazioni dalla Razzano, dice addio al sogno di eguagliare il primato di presenza consecutive negli Slam, fermandosi a quota 61

 

Donne (di sport) che odiano le donne (Paolo Condò, Sportweek)

I campioni sono diversi, e l’ultima a ricordarcelo – in una bella intervista al Pais firmata da Boris Izaguirre – è Garbine Muguruza, la tennista spagnola numero 3 al mondo, sulla via degli Australian Open che iniziano lunedì. Garbine è diventata famosa al grande pubblico nello scorso torneo di Wimbledon, dove arrivò in finale partendo dalla testa di serie numero 20, e trovando ad attenderla Serena Williams. II suo idolo di sempre. «Riflettei a lungo sul fatto che stavo per vivere il momento per il quale avevo lavorato tanto fin da bambina, ma quando mi trovai in campo non c’era in me alcuna dolcezza nei confronti di Serena. Non era più il poster nella mia cameretta. Era la mia avversaria». Il concetto, in apparenza banale, acquista spessore nelle parole successive. Garbine disegna infatti un mondo, quello del tennis femminile («i maschi sono diversi, stanno assieme con maggiore facilità»), segnato dalla ferocia della rivalità. «Le ragazze della mia età pensano che io viva in un film, ignare di un lato negativo che esiste sempre. L’amicizia, per esempio, è un sentimento che mi è praticamente precluso: passi troppo tempo lontano da casa per curare un rapporto con persone esterne al tuo mondo professionale. Dovresti fraternizzare con le altre tenniste, ma è impossibile: non puoi metterti a chiacchierare amabilmente con una ragazza che il giorno dopo affronterai in campo. Non sarebbe naturale. La verità è che fra noi letteralmente ci odiamo, e se qualcuna sostiene il contrario, beh, è una bugiarda». È un discorso forte – l’odio come stella polare della competizione – ma tutt’altro che insolito nello sport d’élite. II campione è un maschio alfa, segna il suo territorio usando l’intimidazione e la superiorità psicologica per tenere a bada gli aspiranti alla successione; se possiamo adorarlo è perché non ci troviamo mai sulla sua strada, altrimenti ci costringerebbe a cambiare opinione. Finché non succede, possiamo tifare per lui a cuor leggero. Valentino Rossi è il maschio alfa per eccellenza della MotoGP, e non ha ottenuto il ruolo spargendo petali di rosa sulle traiettorie degli avversari. La stessa ribellione di Marc Marquez, fatta nei modi di un adolescente in cui il talento corre molto più veloce della maturità, è la solare certificazione di una realtà: il livello top non è un livello da bravi ragazzi, e in cima alla catena alimentare c’è un solo posto. E quindi è già molto se fra rivali si riesce a mantenere una correttezza di fondo, perché l’istinto di competere richiede altri sentimenti. È il modo di pensare che desideriamo per i nostri figli? La domanda è lecita, pensando alla quantità di genitori che si accapigliano a bordo campo – qualsiasi campo, basta sia sportivo – spingendo il loro ragazzo verso una gloria, economica ma non solo, che è un’urgenza innanzitutto loro. Ma ci sono dei prezzi da pagare, sempre. Ed è bene saperlo

 

 

 

 

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