Ciao Hewitt, ultimo guerriero (Crivelli). Bolelli fuori. Hewitt, addio tennis (Giorni). “Spero che tu muoia”. Dal campo ai social, il tennis dei sospetti (Piccardi). Ricci Bitti: “Il tennis chiede Tor Vergata” (Il Corriere dello Sport). Se cambiare coach può cambiare la vita (Azzolini)

Rassegna stampa

Ciao Hewitt, ultimo guerriero (Crivelli). Bolelli fuori. Hewitt, addio tennis (Giorni). “Spero che tu muoia”. Dal campo ai social, il tennis dei sospetti (Piccardi). Ricci Bitti: “Il tennis chiede Tor Vergata” (Il Corriere dello Sport). Se cambiare coach può cambiare la vita (Azzolini)

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Ciao Hewitt, ultimo guerriero (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Il suo C’Mon, l’ultimo, il grido di battaglia che ha attraversato due secoli, si spegne tra i palpiti di 14.000 cuori che non volevano stare da nessun’altra parte se non lì, nell’arena accanto al gladiatore. A Melbourne scende la notte sulla carriera di un campione che il tempo ha raffinato, nei modi e nel rispetto degli altri. D’ora in poi non ci sarà più un Hewitt che inveisce, sbuffa, corre e non si arrende mai, lottando su ogni punto come se ci fosse da andare in guerra: Lleyton il bad boy, oggi marito felice e padre di tre bambini, saluta l’agonismo (salvo almeno un’altra uscita in doppio) e diventa immediatamente un’icona nazionale, già pronto al debutto da capitano di Davis. E prima di capire se il figlio Cruz, otto anni e un talento che già promette, potrà prolungare la saga: «Spero possa battermi presto, e che possa giocare questo torneo». L’orgoglio di una nazione tutta per lui: «Ho amato ogni singolo minuto in cui ho giocato per l’Australia. Stanotte c’era un’atmosfera incredibile: alcuni boati sono stati tra i più grandi che abbia mai sentito. Questa è la mia seconda casa: non c’era posto migliore dove ritirarsi». L’apoteosi, perché Rusty a lungo è stato vissuto dalla sua stessa gente con i pruriti del politicamente scorretto, nonostante i due Slam vinti e il numero uno a vent’anni e otto mesi, il più giovane di sempre, solo un po’ mitigati dalle copertine dei rotocalchi durante la love story con la collega Clijsters e poi dal matrimonio con Bec Cartwright, una superstar delle soap. Perché Hewitt non è mai stato un modello di fair play, passando dalle accuse razziste agli Us Open del 2001 (giocava contro Blake, e chiese all’arbitro di cambiare un giudice di linea di colore: «La vedi la somiglianza tra loro o devo spiegartela io?») allo sputo che gli indirizzò Chela nel 2005 sempre a New York dopo aver esultato a un banale errore dell’avversario, fino ai battibecchi con il pubblico di Brisbane («Una banda di stupidi») per aver applaudito un punto di chi gli stava giocando contro, per finire con lo «stupido idiota» con cui ha apostrofato il giudice di sedia verso la fine del match con Ferrer. Carattere, certo. Ma anche istinto di sopravvivenza, ereditato dal padre, star del football australiano, che Lleyton praticherà fino ai 13 anni. E lui, che non è alto, non ha il servizio che spacca, non ha un colpo decisivo, mette lo spirito da battaglia del football e le gambe di caucciù al servizio del suo tennis, rifiutando di credere a sette dottori che gli sconsigliano di operarsi all’alluce sinistro che lo tormenta, altrimenti non potrà più correre. Ovviamente si opera, e dal 2005 spesso può scendere in campo solo con dosi da cavallo di antidolorifici. Crolla in classifica, perde più che vincere, però non vuoi mai trovartelo di fronte. E se uno come Federer ammette di essere rimasto incollato alla tv per vederti esibire per l’ultima volta e riconosce che a tuo modo hai cambiato il gioco, qualcosa hai lasciato: «Credo che i giocatori da fondo abbiano iniziato a ad avere un po’ di più fiducia quando hanno visto che io ce la facevo. Credo che in molti abbiano capito grazie a me che era possibile». Never say die, non rassegnarti mai. Nessuno più di lui ne ha incarnato lo spirito. Ciao, Rusty.

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Bolelli fuori. Hewitt, addio tennis (Alberto Giorni, Il Giorno)

Finisce al secondo turno la corsa di Simone Bolelli agli Australian Open. Troppo alto l’ostacolo rappresentato dal beniamino di casa Bernard Tomic, n.16 del tabellone, impostosi 6-4, 6-2, 6-7(5), 7-5. Nel terzo set, con Tomic avanti 5-4 e servizio, il bolognese ha avuto uno scatto d’orgoglio ed è riuscito ad approdare al tie-break, chiuso con un ace. Qui però ha avvertito forti dolori alla schiena che lo hanno condizionato: «E’ un po’ che la schiena mi fa soffrire e la situazione è peggiorata, nel quarto set battevo veramente piano». Adesso anche la difesa del titolo in doppio con Fognini è a rischio: «Spero di poter giocare perché in coppia si fa meno fatica, lo sforzo maggiore è il servizio». Avanti facile Murray e Wawrinka. Fuori Muller, giustiziere di Fognini (7-5 al quinto da Millman), e Verdasco dopo l’exploit con Nadal (7-6 al quarto da Sela). Continua la «maledizione» di Rafa: chi lo ha battuto, ha perso al turno successivo per 15 volte nelle ultime 17. Commovente standing ovation per l’australiano Lleyton Hewitt, che a quasi 35 anni appende la racchetta al chiodo dopo la sconfitta 6-2, 6-4, 6-4 con lo spagnolo Ferrer. Grande combattente, due Slam in bacheca (US Open 2001 e Wimbledon 2002), è stato n.1 del mondo per 80 settimane conquistando in totale 30 titoli; ora diventerà capitano dell’Australia di Davis, competizione vinta da giocatore nel 1999 e 2003. Non è riuscito a trattenere le lacrime quando i tre figli lo hanno raggiunto in campo, mentre sul maxischermo apparivano i saluti di Federer, Nadal e Murray: «Per tutta la carriera ho dato il 100%, è il momento perfetto per smettere». Nel femminile, nessun problema per Muguruza, Azarenka e Kerber. In doppio, avanza la Vinci in coppia con la Kuznetsova; già eliminata la Errani insieme alla Martinez Sanchez.

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“Spero che tu muoia”. Dal campo ai social, il tennis dei sospetti (Gaia Piccardi, Corriere della Sera)

«Fatti, non supposizioni!». Il tweet di Martina Navratilova è tagliente e definitivo come le volée mancine con cui ha fatto la storia del nostro sport, e arriva su un Australian Open stravolto dallo scandalo del tennis-scommesse: tanto fumo ma pochissimo arrosto. 16 top50 degli ultimi 10 anni coinvolti nelle combine: questa è la sparata di Bbc e BuzzFeed ma, senza nomi e soprattutto prove, il tennis è diventato una spystory con cento colpevoli in cui tutti sospettano di tutti, una caccia alle streghe che non fa bene a nessuno. «Se vinci, è venduto il tuo avversario. Se perdi, hai preso soldi per farlo». Luca Vanni, 30 anni, n. 105 del ranking con una finale a San Paolo raggiunta lo scorso anno insieme a una convocazione in Davis, è appena tornato in Toscana da un giro del mondo lungo un mese. India-Australia-Filippine in cerca di risultati, punti e dollari per rientrare dai 70-80 mila euro che gli costerà l’intera stagione, 8 settimane di preparazione e 30 di tornei. «Il primo turno delle qualificazioni a Melbourne vale 4.500 dollari di prize money, 2.500 di bonus per il biglietto aereo e una piccola diaria. Se ci vai da solo guadagni, se porti il coach vai in pari. Se viene anche il fisioterapista, ci vai in perdita». Una precarietà che fa di Vanni, e di tutti i giocatori di media classifica, la preda ideale degli scommettitori. «Non sono mai stato avvicinato per perdere e quando sento colleghi che parlano dell’argomento, mi allontano» racconta. La non colpevolezza non lo rende immune dagli equivoci, però. «Sono arrivato a Melbourne da Chennai, in India, con 6 ore di fuso di differenza e 44 gradi. Prima di affrontare l’inglese Evans nelle qualificazioni sono andato in bagno tre volte con la dissenteria. Ho perso. La roba più facile è pensare che lo abbia fatto apposta, ma è veramente squallido». Luca è in buona compagnia. Schwartzman, Krajinovic, Karlovic, Querrey, Anderson, Tursunov, tutti ritiratisi al primo turno del tabellone principale: infortuni veri o combine? Ormai vale tutto e il contrario di tutto. «L’anno scorso sono rimasto fuori dall’Us Open per 4 posti. Al primo turno si sono ritirati in undici! È chiaro che uno come me, anche se non sta bene o è mezzo infortunato, ci prova. Se ti va bene, con il prize money di un match dello Slam ti paghi la trasferta…» spiega Vanni, che su Twitter e Instagram non è mai sbarcato e ha chiuso la pagina Facebook. «Capitava che trovassi insulti o minacce del tipo: spero che tu muoia. Vai a sapere se è un cretino o uno che ha puntato soldi sul tuo match… Nel dubbio, ora ho una pagina gestita dal mio manager nella quale entro con l’account della mia ragazza. Non voglio correre rischi, non voglio grane». Sono proprio i social, spesso, la porta d’accesso degli scommettitori al tennis. Vengono mandati messaggi per capire se quel dato giocatore può essere interessato a una combine. L’argentino Renzo Olivo, eliminato ieri a Melbourne da Delbonis, proprio su Facebook ha denunciato il suo dramma: «A ogni torneo ricevevo minacce: ammazziamo la tua famiglia, facciamo fuori la tua ragazza… Al Challenger di Mosca, dopo aver perso da Rublev, fui avvicinato da un tipaccio che voleva parlarmi. Ho denunciato tutto alla Tennis Integrity Unit, ho mostrato loro i messaggi. Ho chiuso la pagina di Facebook». Il sospetto è un venticello che soffia su Melbourne ma qui, per ripulire l’aria, servirebbe proprio un bel temporale.

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Ricci Bitti: “Il tennis chiede Tor Vergata” (Il Corriere dello Sport)

Il tennis di Roma 2024 si giocherà a Tor Vergata. Questa è la proposta fatta al Comitato promotore dei giochi olimpici da Francesco Ricci Bitti, ex presidente della federazione internazionale (Itf). «Una vota accertato che il Foro Italico potrà ospitare solo nuoto ed atletica, ritengo che la migliore collocazione per un sito tennistico olimpico semi-permanente sia Tor Vergata: lì ci sono gli spazi e una parte dei campi potrà rimanere in dote all’Università. Non ho motivo di credere che la nostra proposta non possa essere in linea con la filosofia della candidatura italiana e con quanto prescrive l’Agenda 2024. Il presidente Binaghi probabilmente non la prenderà bene. «Non so esattamente qual è il suo pensiero». E’ certo però che, in prospettiva, il Masters 1000 di Roma resterà comunque al Foro Italico. Anche dopo il 2024. Per Ricci Bitti la soluzione ha una doppia valenza: «Da una parte teniamo i costi bassi, perché per il torneo ai Giochi bastano 14 campi più un Centrale, e dall’altra potremo utilizzare superfici dure, dal momento che saremmo nel bel mezzo della stagione statunitense. Cosi nessuno sarebbe penalizzato». Costo vivo 20 milioni, anche se per esigenze olimpiche (vedi servizi, sicurezza, stampa), il prezzo potrebbe lievitare. Le indicazioni Cio impongono per il Centrale una capienza minima di 11.000 posti. «Mi auguro che si possa arrivare a 15.000 – aggiunge Ricci Bitti – Ormai i grandi tornei prevedono tutti una capienza di quest’ordine. Anche nel nuoto c’è stato un cambiamento di questo tipo: fino a Pechino 2008 si raccomandava una capienza di circa 3.000-4.000 spettatori. Ora invece si superano i 10.000 posti rendendo i centrali del tennis facilmente adattabili ad ospitare una piscina». Ricci Bitti ricorda gli esordi del tennis alle Olimpiadi, quando, grazie alla stretta collaborazione con l’allora presidente del Cio, Juan Antonio Samaranch, contribuì alla stesura di un regolamento che ha poi consentito alle stelle internazionali di partecipare al torneo olimpico: «Uno dei primi ostacoli che fummo costretti a superare all’epoca dell’Olimpiade di Barcellona 1992 vide protagonista Emilio Sanchez. Samaranch ci teneva ad avere Sanchez in campo, una medaglia sicura per la Spagna, ma lui era riluttante per l’obbligo di dover indossare una divisa senza i suoi sponsor. Aggirammo il problema con una limitazione circoscritta solo alla tuta».

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Se cambiare coach può cambiare la vita (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Qualcosa trapela in questi giorni dal clan Nadal, ed è proprio Toni, lo zio più famoso del tennis, che azzarda una ipotesi: «Nello sport il risultato viene prima di tutto», dice, «e se per raggiungerlo c’è bisogno di un cambiamento, bene, è giusto affrontarlo senza paura». Vuol dire che lo zio è pronto a farsi da parte? Questo e altro, per il bene del nipote, che lui ama come un figlio. Ma nessuno glielo chiederà. Il legame è troppo forte, Toni e Rafa hanno interessi comuni che vanno al di là del tennis giocato. Stanno costruendo assieme un’Academy a Maiorca, che sarà la nuova casa di entrambi Forse, però, un coach solo non basta più. Rafa ha bisogno di nuovi consigli, non solo di nuovi stimoli. La ricerca di un nuovo “tutor” è cominciata. Forse zio Toni si è convinto prima ancora di suo nipote. Pensava di aver ritrovato la ricetta miracolosa, ma non era così. «Venivamo da quattro mesi molto buoni, pensavamo che i problemi fossero alle spate». La sconfitta di Melbourne ha riportato indietro l’orologio della crisi. Dopo un anno da dimenticare, chiuso con una impennata che faceva sperare, siamo punto a capo. Un nuovo coach, con Toni a capo della struttura. Perché no? Vi sono esempi illustri. Federer ha ascoltato Roche, Annacone, Edberg, ora Ljubicic, ma non ha mai rinunciato a Luthi. Djokovic considera Vajda un fratello, e l’ha voluto sempre con sé, ma ha chiamato prima Todd Martin poi Boris Becker per crescere ancora. Anche Murray ha cambiato coach: Lendl, poi Corretja (ma solo per la terra rossa), quindi Mauresmo e Bjorkman, senza mai rinunciare alla consulenza di mamma Judy. Raonic ha avuto Ljubicic e Piatti, e a quest’ultimo ora ha affiancato Moya. Rafa ha bisogno di qualcuno che gli cancelli i brutti pensieri dalla testa. Un campione che abbia conosciuto e risolto gli stessi problemi. Lui non è stanco nel fisico. Sono i dubbi a fiaccarlo. Non sarà una ricerca facile. Nel tennis le coppie vivono sul filo, si prendono e si lasciano, rapporti stabili e duraturi ve ne sono, ma anche divorzi cruenti e dolorosi. Solo negli ultimi mesi abbiamo assistito alla fine di matrimoni che sembravano nascere sotto saldissimi auspici. Navratilova e Radwanska hanno trascorso assieme un mese e mezzo, si vede che non erano fatte l’una per l’altra. Lendl ha troncato il rapporto con Murray da un giorno all’altro, per sopraggiunti limiti di sopportazione. Federer ha soffiato Ljubicic a Raonic, scacco matto in due mosse. Quando dette l’addio a Roche lo fece nell’arco di un pomeriggio: sembra che l’australiano non piacesse più alla moglie. Ma sono voci non controllate. Si è interrotta anche la storia fra Del Potro e Davin, che sembrava resistere persino ai problemi fisici dell’argentino. Ora il coach è con Dimitrov. Si cambia per migliorare. Ora tocca a Nadal. Lui cambia per essere ancora Nadal.

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