Batticuore Murray, tra parto e malori c'è un'altra finale (Crivelli). Nasce la Laver Cup: un attacco alla Davis? (Crivelli). Murray ci riprova, "Datemi Djokovic" (Semeraro). Stavolta per Serena c'è una sfidante Angelique (Viggiani). Se Murray si augura che sua moglie resista (Azzolini). Una Ryder Cup con la racchetta (De Ponti). Raonic che peccato, si infortuna sul più bello e in finale ci va Murray (Clerici)

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Batticuore Murray, tra parto e malori c’è un’altra finale (Crivelli). Nasce la Laver Cup: un attacco alla Davis? (Crivelli). Murray ci riprova, “Datemi Djokovic” (Semeraro). Stavolta per Serena c’è una sfidante Angelique (Viggiani). Se Murray si augura che sua moglie resista (Azzolini). Una Ryder Cup con la racchetta (De Ponti). Raonic che peccato, si infortuna sul più bello e in finale ci va Murray (Clerici)

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Batticuore Murray, tra parto e malori c’è un’altra finale (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport) 

Applausi, Milos. Ma non è ancora il tuo momento. Perché quando la palla si scalda come il sole che a Melbourne non vedono da un po’, quando il punto vale doppio e la partita si decide su un paio di scelte da prendere nel brivido di un attimo, contano ancora l’esperienza, la consuetudine alla pressione, la capacità di leggere il momento passando come un flash le tante e tante occasioni in cui è già capitato. E allora vince quel cagnaccio di Murray, che rimonta due volte un set rimanendo appiccicato alla partita con la tigna di chi, tra un grugnito di disappunto e un’occhiataccia nervosa, non s’arrende mai, come l’ultimo dei soldati in guerra. INFORTUNIO Dura quattro ore e tre minuti, la semifinale meno nobile (eppur più emozionante) e Raonic farà bene a dimenticare in fretta, per non farsene un complesso, che è stato a un passo dal farla sua, sopra due set a uno e con lo schema servizio, discese a rete e rovescio lungolinea capace spesso di scardinare i polmoni e la difesa dello scozzese. A questi livelli, i dettagli sono diavoletti che non perdonano e il fastidio all’adduttore della coscia destra accusato a fine terzo set dal ragazzone nato a Podgorica che da bambino emigrato occupava i campi di allenamento alle sei del mattino perché costavano meno, certamente ha assestato una bella botta alla sua fiducia e alla partita: «Ho il cuore infranto, come mai mi era successo». Tuttavia, questa è la sensazione, la solidità di Muzza aveva già rovesciato l’inerzia: «Ho cominciato a leggere meglio il suo servizio, sono salito di livello, anche se è vero che lui nel quinto set è calato molto. Mi dispiace, ma in campo non hai tempo di pensare a quello che succede dall’altra parte della rete». EMOZIONI E così, il torneo dell’ attesa e delle palpitazioni finisce per riservare a Murray un altro appuntamento con il cuore in gola. A Londra, Kim dovrebbe partorire a inizio settimana e comunque, se il bebé decidesse di abbreviare i tempi, la promessa di lasciare il torneo per assistere la moglie a questo punto rimarrebbe disattesa, con una finale da giocare. Non solo: a metà Open, il padre di lei, Nigel, allenatore della Ivanovic, si è accasciato in tribuna stravolto da un colpo di calore, ed è finito all’ospedale, per fortuna senza conseguenze. Insomma, sono state due settimane movimentate, ma qualcuno, con humor molto british, ha fatto sommessamente notare che concluderle incrociando Djokovic rende il resto una tranquilla scampagnata. La sfida tra i due «gemelli», nati a una settimana di distanza nel maggio del 1987, in Australia è diventata quasi un cult: sarà la loro quarta finale uno contro l’altro (prima di domani, 2011, 2013 e l’anno scorso), la quinta in totale per Andy e la sesta per Novak, che le precedenti le ha vinte tutte, mentre lo scozzese le ha tutte perse (c’è anche quella con Federer del 2010). Quindi, appare scontato da che parte debba tirare il vento (i precedenti totali dicono 21-9 per il serbo…), ma Murray, ragazzo di squisita intelligenza, prova a sottrarsi al gioco al massacro usando pure la sottile ironia: «Senza dubbio, questo è il torneo di Novak, quello dove si esprime a un livello incredibile. Io non potrò avere nessun calo di concentrazione e dovrò applicare alla perfezione ogni mio schema. Ho visto i primi due set contro Federer, impressionanti. Ma ho visto anche i primi due con Simon…». Proverà a far corsa da lì, magari esaltato dal successo in doppio di Jamie, che stamattina insegue il titolo in coppia con Soares. E’ la prima volta che due fratelli giocano la finale in singolo e in doppio nello stesso Major nell’Era Open, ma Andy è un tifoso particolare: «Non guardo mai le sue partite e non guarderò neppure questa, troppa tensione». In attesa del Mostro

 

Nasce la Laver Cup: un attacco alla Davis? (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Bisogna avere rispetto per le leggende. E dunque, se Roger Federer organizza e Rod Laver ci mette il nome, l’iniziativa non può essere bollata come una di quelle bislacche invenzioni che ogni tanto il tennis si regala per darsi un tono di rinnovamento e modernità. RYDER DELLE RACCHETTE Era nell’aria da un po’, e ieri a Melbourne il campione svizzero (e il suo braccio organizzativo nel marketing, Team8) accanto all’uomo che ha realizzato due Grand Slam ha presentato appunto la Laver Cup, una sorta di Ryder delle racchette, una sfida annuale tra Europa e Resto del Mondo che si disputerà per la prima volta nel 2017, quasi sicuramente a settembre. La formula prevede tre giorni di incontri, con 3 singolari e un doppio al giorno, e un doppio decisivo in caso di parità. Capitani delle squadre saranno anno per anno due miti del tennis, che sceglieranno anche 2 dei 6 giocatori del loro team (gli altri saranno decisi dal ranking). CONTRO LA COPPA Per adesso, si tratta soltanto di un’esibizione di lusso, anche se Djokovic e Wawrinka hanno già manifestato interesse, ma il messaggio è chiaro ed è una sveglia alla Davis (non a caso si è scelto settembre, mese per solito riservato alle semifinali di Coppa). Non è un mistero che i giocatori siano sempre più insofferenti all’Insalatiera, soprattutto quando sono già ammantati del prestigio di averla vinta. Ne contestano soprattutto il calendario, con i quarti e le semifinali che si giocano la settimana immediatamente successiva a Wimbledon e agli Us Open, con voli intercontinentali e superfici tante volte diverse, e la finale a chiudere una stagione logorante addirittura dopo il Masters. Tra le proposte che sono state avanzate alla Federazione internazionale, che la gestisce, c’è pure quella di renderla biennale, magari riservandole due settimane in cui, in un tabellone a eliminazione, si arrivi alle due squadre finaliste e all’assegnazione del trofeo. Ecco, se la Laver Cup, che in piccolo ricalca questa idea, dovesse trovare soldi dalle tv e dagli sponsor, la formula secolare della Davis comincerebbe a mostrare crepe insanabili.

 

Murray ci riprova, “Datemi Djokovic” (Stefano Semeraro, Il Corriere dello Sport)

Mamma Judy ha preparato i pasticcini con la croce di Sant’Andrea per festeggiare, esibendoli fiera su Twitter. Due figli in finale nello stesso Slam, uno in singolare, uno in doppio, del resto non li aveva mai piazzati nessuno. «Beh, penso che tutti e due i nostri genitori saranno fieri di noi», ha puntualizzato Andy, appena dopo aver battuto in cinque set (4-6 7-5 6-7 6-4 6-2) Milos Raonic ed essersi guadagnato la sua quinta finale agli Australian Open contro Novak Djokovic. «Noi scozzesi non siamo tanti, credo che sia un’impresa incredibile». Jamie la finale se l’era conquistata prima, ma è rimasto alzato a trepidare per il fratellino. Poi, sempre su Twitter, ha cinguettato: «Meno male! Adesso però sarà meglio che vada a riposarmi un po’». Stasera, tarda mattina per noi, lo attende la terza finale Slam di fila: le prime due le ha perse lo scorso anno a fianco dell’australiano Peers a Wimbledon e agli US Open, questa se la giocherà in coppia con il portoghese Bruno Soares contro due vecchie lenze come Daniel Nestor e Radek Stepanek, 80 anni in due. Su Twitter – aridaje… – si è unita ai festeggiamenti del clan anche l’Hibemian F.C., la squadra scozzese dove ha militato il nonno paterno dei due Murray, Roy Erskine, che è appena approdata alle semifinali della Scottish League Cup. E se proprio vogliamo dirla tutta, c’è un altro scozzese che si giocherà una finale in Australia: Gordon Reid nel tennis su carrozzina. Rule Scotland, insomma. E dire che per i Murray, specie per Andy, le due settimane a Melbourne non sono state affatto facili. ll numero 2 del mondo aspetta da un giorno all’altro un’erede dalla moglie Kim Sears, e alla vigilia aveva avvertito tutti che in caso di parto prematuro sarebbe salito sul primo aereo utile per Londra, «anche a costo di saltare una finale». Tanto che proprio su quel tasto ha insistito Jim Courier nell’ intervista sul campo. «Ho letto molti libri sulla paternità – ha sorriso Andy – ma se sarò un buon padre lo capirò solo con l’arrivo del baby». RAONIC. Una volta a Melboume Murray si era dovuto poi precipitare in ospedale per assistere il suocero, Nigel Sears, collassato in tribuna mentre seguiva il match della sua protetta Ana Ivanovic. Ieri, infine, ci si è messo di mezzo pure Raonic, il gigante canadese perennemente sul punto di esplodere ad altissimi livelli che per quattro set ha illuso un po’ tutti di aver finalmente innescato la miccia. Andy si è fatto sorprendere a inizio del primo set, lasciandosi poi sfuggire anche il terzo nel quale ha servito sul 6-5, e ha dovuto sudarsi così il quarto prima di vedere Raonic esaurire le forze al quinto, limitato anche da un infortunio all’adduttore. Nei due anni di cura Ljubicic il canadese ha fatto progressi importanti. Adesso non è più solo botte di servizio (23 ace ieri comunque) e con il nuovo coach Carlos Moya pare aver trovato anche più serenità, ma non è ancora maturo per una finale Slam. FINALE. Ovvero il regno di Djokovic, sempre presente nelle ultime cinque e sconfitto solo a Parigi da Stan Wawrinka. A Melbourne dal 2008 in poi ha vinto 5 titoli, tre volte (2011, 2013 e 2015) passando proprio sopra il suo amicone Murray, che un primo big match down under lo aveva perso nel 2010 contro Roger Federer. «Che dire? – ha buttato lì Andy, che nei precedenti con Note è sotto 21-9 e che arriverà alla sfida con un giorno di riposo in meno – spelo che stavolta il risultato sia diverso. Tutti parlano dei precedenti, ma quello che è successo in passato conta poco, conta quello che succederà stavolta. Quando Wawrinka ha battuto Nadal qui ci aveva perso tredici volte di fila, e quando ha battuto Novak, sempre qui, più o meno lo stesso (nei quarti 2014, dopo quattordici sconfitte consecutive – ndr). Certo, dovrò restare concentrato tutta la partita, non solo un set o due come mi capita a volte, e giocare il mio tennis migliore. Ma non c’è nessuna ragione perché io non possa vincere

 

Stavolta per Serena c’è una sfidante Angelique (Mario Viggiani, Il Corriere dello Sport)

Angelique Kerber è stata accontentata. Dopo la vittoria in semifinale, agli Australian Open, le era stato domandato se avrebbe chiesto consiglio a Steffi Graf, vincitrice di 22 Slam, su come battere Serena Williams nella finale di Melboume. «Per piacere, scrivimi!», aveva risposta la ragazzona di Brema. Aggiungendo subito dopo: «I tedeschi devono essere uniti…». E la Graf non l’ha delusa, anche se si è limitata a farle le congratulazioni e augurarle buona fortuna per la prima finale di Slam in carriera Poco da dire, su quello da fare contro la numero 1 del mondo che affronterà nella mattinata italiana di oggi. D’altronde per la 28enne Angelique, che una volta di più ha festeggiato a Melbourne il compleanno e che comunque vada diventerà almeno numero 4, suo nuovo best ranking, non era neppure il caso di rivolgersi alla sua buona amica ‘Aga” Radwanska, che ha appena beccato un 6-0 in semifinale da Serenona. La 34enne statunitense fin qui ha spazzato tutti i dubbi della vigilia, per i quali infatti era quotata anche 3,75 dai bookmaker. Non ha ceduto set nelle sei partite fin qui disputate, l’avversaria invece ne ha lasciato uno alla Doi nel turno di esordio, ed è seriamente candidata a eguagliare proprio la Graf a quota 22 Slam. La Williams è 5-1 nei precedenti con la Kerber, per la quale «sarà un onore sfidare la numero 1». Anche se l’onore più probabile, per lei, sembra piuttosto quello delle armi

 

Se Murray si augura che sua moglie resista (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Andy Murray sta già insegnando al figlio i segreti del timing, che è alla base del tennis, e forse anche della vita. In effetti, il bimbo ancora non si è fatto vivo, ma anche questo fa parte dell’insegnamento. Il momento giusto per venire alla luce, papà Andy e mamma Kim lo hanno fissato per il tre febbraio. «Vado, arrivo in finale e torno», ha detto Murray in partenza da Londra. «Tranquillo, ti aspetto, lo faccio nascere solo al tuo rientro», l’ha rassicurato la signora. «Mi porto il telefonino in campo, nel caso mi fai uno squillo. Mollo tutto e ti raggiungo». Poi gli è venuto un dubbio: «E se il piccolo decidesse di giocare d’anticipo?». Mamma Kim lo ha tranquillizzato: «Caro, non è possibile. Non glielo hai ancora insegnato». Forse le cose sono andate così, o forse no, ma è un fatto: Andy ha la testa lontana da Melbourne, 17 mila chilometri lontana. Ha trascorso due settimane al telefono con Londra, ha fatto le prove generali da papà cambiando i pannolini al piccolo Aaron, il figlio della Mauresmo, che ha cinque mesi ed è uno spasso. E ha pure soccorso il suocero, Nigel Sears, che ha avuto un collasso mentre la sua allieva, Ana Ivanovic, era in campo. Gli ha fatto compagnia in ospedale, poi l’ha messo su un aereo e l’ha rispedito in Inghilterra. No, non è stato un torneo facile per Andy. Tranne che in campo. Li non ha trovato avversari, Nadal si è fatto di nebbia al primo ostacolo, Wawrinka si è consegnato a Milos Raonic, e Raonic si è dimostrato ancora un pupo al suo cospetto. Lo ha sopravanzato di un set, poi si è consegnato a Murray al termine di una serata lunga e tosta, priva però di quei bagliori tennistici che sarebbero serviti a rincuorare pubblico e addetti ai lavori sul futuro del nostro sport. Raonic è pronto a recitare sui grandi palcoscenici? Sì, ma ancora non lo sa. Ha presenza fisica, armi affilate (ha servito cinque volte a 233 orari, ieri) ed è migliorato nella tenuta mentale. Non così tanto, però, da scalzare uno dei Fab Four. Pensiero cattivo: ma non è che in questi anni di dominio, i quattro padroni del tennis hanno finito per rallentare la crescita di tutti quanti? Così, Murray è in finale, la quinta a Melbourne. Una l’ha persa con Federer, tre con Djokovic, che è un amico, seppure lo batta quasi sempre (21-9 i testa a testa). Certo è che sarebbe difficile a questo punto ritirarsi se la signora Kim gli dovesse fare la fatidica telefonata. Meglio, molto meglio, che il figlio faccia il bravo e aspetti davvero il tre febbraio. Domani c’è ancora lui, il Djoker, e vale la pena provarci, seppure non si capisca bene con quali armi. Non è brillante, Murray, e le ragioni per non esserlo, come si è visto, ci sono tutte. Ha perso un set con Sousa, uno con Ferrer, due con Raonic, che ha condotto 2-1 e avrebbe potuto, con qualche attenzione in più, chiudere addirittura in tre partite. È comunque un Murray in versione chilometraggio illimitato. Resistente, umile, disposto a soffrire. Capace di riemergere nel quarto set contro il canadese grazie a un fuoco di sbarramento fitto e intelligente, costruito su molti cross stretti e saponosi che hanno scompigliato Raonic, fino a strapparlo dal match. Il quinto set l’ha giocato Murray, da solo.

 

Una Ryder Cup con la racchetta (Diego De Ponti, Tuttosport)

“Ryder Cup,’ un modello da esportazione. Così anche il mondo del tennis si lascia conquistare e scommette sulla possibilità di replicarne la formula. A partire dal 2017 due squadre in rappresentanza di Europa e Resto del Mondo si sfideranno in un torneo di tennis in una sorta di Ryder Cup golfistica. La sfida si chiamerà Laver Cup, in onore del grande campione australiano unico uomo a completare per ben due volte il Grande Slam. Il nuovo evento, ideato dalla “Team8” di Roger Federer e del suo socio e agente Tony Godsick punta a ripercorre la “gloriosa strada” fatta dal suo modello di riferimento. La sfida Europa-Resto del Mondo si disputerà ogni due anni, ad esclusione delle annate olimpiche, in estere e in Europa. Le squadre saranno composte da sei giocatori che si affronteranno in singolare e doppio nell’arco di tre giorni. in tutto 12 sfide, con eventuale spareggio in doppio in caso di arrivo in parità. «Sono onorato che la coppa porterà il mio nome» ha dichiarato il 77enne Laver. INGORGO. Tuttavia la prima sfida che dovranno affrontare i promotori sarà quella di trovare una collocazione di pregio in un panorama denso di appuntamenti. I top player da tempo lamentano un calendario troppo ingolfato, tanto da spingerli alle volte a saltare anche la Coppa Davis. «Non credo che la Laver Cup e la coppa Davis saranno due eventi rivali -ha risposto Federer – La Davis dura quattro settimane nell’arco di tutto l’anno, la Laver Cup solo un weekend: sono due cose diverse. lo poi non ho mai giocato in doppio con Nadal, Djokovic o Murray e sarebbe bello avere questa opportunità» Uomini contro Attualmente la sfida sarebbe decisamente sbilanciata a favore dell’Europa, visto che ben sei top ten sono europei: Novak Djokovic, Andy Murray, Roger Federer, Stan Wawrinka, Rafa Nadal e Tomas Berdych. Il primo giocatore non europeo è attualmente il giapponese Kei Nishikori, settimo.

 

Raonic che peccato, si infortuna sul più bello e in finale ci va Murray (Gianni Clerici, La Repubblica)

Il lettore aficionado leggerà che Andy Murray ha battuto Milos Raonic col punteggio di 4/6 7/5 6/7 6/4 6/2. Niente di più vero, e al contempo di più falso. I miei amici americani insegnano infatti che esistono tre tipi di menzogne. Quelle abituali, le lies, quelle dette a fin di bene, white lies, e le statistiche. In un mondo come quello contemporaneo, dove ormai le statistiche sono diventate determinanti, il primo punteggio rimarrà storico ricordo della odierna semifinale dello Australian Open. In realtà Raonic è rimasto solo simbolicamente sul campo, per grande correttezza sportiva e umana, a partire dall’inizio del quarto set, quando la sua gamba destra, male avvitata al bacino dopo una clamorosa caduta all’ultimo Wimbledon, ha preso a non sostenere normalmente i suoi novantotto chilogrammi. Da quel punto andrebbe scritto un risultato diverso, che vedrebbe il giovanottone canadese simbolicamente ritirato, in vantaggio di due set a uno. Questo non significa che Milos avrebbe sicuramente vinto, significa soltanto che, sino a quel punto, aveva condotto la partita, soprattutto grazie alla sua battuta, all’aggressività del suo diritto, e anche dei suoi schemi. Murray, da contrattaccante qual è, aveva subito, e non è detto che sarebbe stato sicuramente battuto. Com’erano andati, detto rapidamente, i tre set in cui Milos si era valso della completa integrità? Il primo aveva visto un break per il canadese al secondo game, realizzato con cinque punti consecutivi. Raonic non aveva mai rischiato controbreak, sollevando anche qualche stupore per una prima a 230 chilometri, il colpo che l’aveva condotto al set point. Nel secondo, Murray aveva più spesso cambiato la direzione del passing, aveva in parte esorcizzato i servizi catapulta rischiando di ampliare l’angolo, ma trovando maggior tempo per ribattere, e ottenendo infine il suo break nel gioco che avrebbe altrimenti ammesso al tiebreak. Nel terzo Murray salvava una palla break nell’undicesimo game, ma non riusciva a fare altrettanto nel tie-break, che finiva per smarrire 4 punti a 7. Era qui che Milos iniziava a zoppicare, subiva un parziale di 12 punti a 1, per essere accudito da un fisioterapista, il cui intervento appariva vano. Ed era in quel momento che il match terminava in favore di Murray, onesto nel commentare, dopo partita «di certo il suo incidente ha limitato Raonic». Ci si domanda ora se la fatica del lungo match potrà influire, nei confronti di Murray ancor più dei precedenti australiani contro Djokovic, dal quale è già stato battuto a Melbourne 4 volte e, altrove, 21 volte su 30 incontri. Tutto sta a vedere quale Djokovic scenderà in campo. Il vero Djokovic dei tre set a uno a Federer, o la controfigura che ha sofferto 5 set contro Gilles Simon? Anch’io, come i bookmakers, credo alla prima ipotesi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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