Addio potenza, va in finale Nadal il saggio (Clerici). Cento volte Rafa; oggi può tornare re (Crivelli). Una volta bello e perdente, stavolta Monfils fa sul serio (Crivelli). Spagna-Italia. A.A.A. Cercasi tripla impresa (Semeraro). Italia, è Flop Cup. Schiavone e Vinci k.o. (Cocchi)

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Addio potenza, va in finale Nadal il saggio (Clerici). Cento volte Rafa; oggi può tornare re (Crivelli). Una volta bello e perdente, stavolta Monfils fa sul serio (Crivelli). Spagna-Italia. A.A.A. Cercasi tripla impresa (Semeraro). Italia, è Flop Cup. Schiavone e Vinci k.o. (Cocchi)

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Addio potenza, va in finale Nadal il saggio (Gianni Clerici, La Repubblica)

Ho già appurato visivamente che si trovano in finale Nadal e Monfils, che hanno battuto l’uno Murray 2-6, 6-4, 6-2, l’altro Tsonga 6-1, 6-3. Ma, modesto scriba che ha comunque capito che l’eventuale lettore ha già ammirato le immagini di Sky, ha già letto il blog di Ubitennis, e quindi ne sa non meno di me, mi aggiro sperando di trovare uno spunto, che mi consenta di assemblare le mie poche righe. In quella, mi imbatto in Stefano Meloccaro, non meno di me aficionado al Gioco dei Re, termine cinquecentesco di Antonio Scaino, che mi interpella, chiedendomi se sono disponibile per due domande televisive. Onorato come sono, mi affretto a seguirlo, e le sue domande mi appaiono tanto logiche, in una giornata come oggi, da spingermi a riferirle. La domanda di Stefano. «Ne ho parlato con lo zio di Rafa, Toni, e mi ha detto che non tanto di Resurrezione del suo nipote si tratta, quanto di presa di coscienza dell’esperienza di tutti questi anni. Secondo te, è un altro Nadal, quello che abbiamo visto vincere?». Rispondo che, se avessi superata la mia vecchia timidezza, avrei domandato a Rafa quale sarebbe stato il risultato di una partita tra il Nadal capace di vincere otto volte questo torneo, dal 2005 al 2012, e quello di oggi, in grado comunque di dominare Andy Murray nel terzo set. Lo zio Toni aveva risposto a Stefano che accade che un tennista sia costretto ad attenuare la sua esplosività, ma divenga più riflessivo, più saggio, magari meno aggressivo e più regolare. È parso anche a me che Toni sia stato, al solito, più che un semplice zio, il coach che Rafa si merita. Infatti, all’inizio Nadal è stato costretto a subire l’aggressività di Murray, ha perduto un set nettissimo, nel quale gli riusciva raramente il suo solito schema, basato sul diritto dall’angolo sinistro del campo. Per nulla frustrato dal risultato, ha allungato di un metro o due la gittata, non ha quasi più permesso ad Andy il diritto anomalo dall’angolo sinistro, ha alternato saggi drop e discese a rete al seguito di palle molto lunghe. Il risultato è che Murray ha perso il comando del gioco, e da un vantaggio di un set e 3-2 nel secondo, ha subito un finale squilibrio di 9 games a 3. Stefano mi ha poi chiesto che rapporto esistesse tra gli storici moschettieri francesi, e i tennisti attuali, che son stati in grado di raggiungere in due le semifinali di un Master 1000. «È un fenomeno che risale ad un’immigrazione ben gestita» ho creduto di rispondere, «a una vicenda iniziata con Yannick Noah, che continua felicemente con Monfils e Tsonga. Avrebbero potuto finire in un ghetto, hanno avuto accesso al Centrale di Montecarlo». Speriamo, concludo, che accada anche a casa nostra.

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Cento volte Rafa; oggi può tornare re (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Cento volte. E dentro c’è tutta la tua vita, i giorni della gioia più intensa e le lacrime dopo le cadute. Ma questa è speciale, magica, addirittura simbolica: perché è capitata dove un tempo c’erano solo vittorie e accompagna una resurrezione forse insperata, ma tenacemente inseguita anche al buio delle tenebre. Prendila, Nadal: è la tua centesima finale in carriera. Tante ce ne sono state, altre ne arriveranno, ma quel balzo felino accompagnato da un “vamos” urlato dopo il punto decisivo che inchioda Andy Murray, quelle mani di nuovo sollevate al cielo come nei mille trionfi, profumano di liberazione e il riscatto. Qui a Montecarlo il Rafa degli otto titoli (dal 2005 al 2012) è leggenda e dunque è giusto che si compia qui la parabola di redenzione da un anno di dubbi, domande, certezze incrinate. Ci sono stati lampi, certo, ma il Nadal che arranca, che non impone la sua legge da Amburgo, ed era il 2 agosto, un secolo fa per uno come lui, che fatica contro avversari di solito cannibalizzati sembrava destinato a un lento tramonto. E invece c’è luce sulla terra, in attesa che l’epilogo di oggi con il sorprendente Monfils restituisca appieno la sua monumentale grandezza: «Non voglio parlare ogni giorno della questione se sono tornato o non sono tornato, è qualcosa a cui non tengo. Sono di nuovo in finale a Montecarlo, e questa è una grande notizia. Il Rafa del 2016 è diverso da quello del 2008 e del 2009. Io non faccio paragoni, mi impegno soltanto per trarre il meglio da me stesso ogni giorno». Non si pensa al passato, questa è la filosofia che illumina i nuovi orizzonti. Neppure quando un Muzza in versione extralusso, per tutto il primo set, lo aggredisce e gli toglie campo, facendo la partita anziché subirla. Ma non appena lo scozzese smarrisce il servizio, scendendo di botto a un misero 42% di prime, Rafa gli è al collo, lo asfissia, lo tiene laggiù, disegna il dritto come faceva nell’epoca d’oro del dominio rosso, trascinato da un tifo tutto per lui: «Nel secondo set ho aumentato la velocità della palla, all’inizio giocavo troppo corto e non riuscivo a stare con i piedi sulla linea di fondo. Dovevo cambiare qualcosa, diventare più propositivo, credo di aver messo insieme due set di alto livello e, specialmente nel secondo, ho dimostrato una grandissima mentalità». Del resto, non si prova a ribellarsi all’inferno senza quella che nella sua lingua si definisce «garra», l’artiglio inteso come faccia tosta e testa alta. Rispetto agli anni dell’arroganza tecnica assoluta, adesso ottiene meno dal servizio (anche contro Murray 10 palle break concesse) e controlla con più fatica il rovescio, ma se gli offri un minimo di speranza, ti ribalta ancora la partita. Oggi, alla 42′ finale in un Masters 1000, può tornare ad eguagliare Djokovic nei successi in questi tornei (28) e avvicinare Vilas per quelli sulla terra (ora sono 49 a 47). »Il dritto migliora partita dopo partita, mi muovo con più scioltezza, sto giocando più rilassato e questo mi dà maggior fiducia. Oggi è meglio di ieri, domani sarà meglio di oggi. Questa è la mia motivazione». Cento di questi giorni, Rafa.

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Una volta bello e perdente, stavolta Monfils fa sul serio (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

La prima finale al Country Club, in un torneo che fino all’anno scorso Monfils disprezzava perché lo respingeva sempre prima dei match che contavano davvero, è racchiusa nella risposta che Gael dà in conferenza stampa su cosa debba temere di più dalla partita: «Me stesso». Chiaro ed efficace. Perché Monfils, talento atletico e tecnico debordante, ha riservato gran parte della carriera allo show, allo spettacolo, al punto strappa-applausi. Ma quando si trattava di metterci il cuore, il carattere, quando bisognava rimanere attaccato con i denti al risultato, spesso tradiva. La sua esplosività, di cui spesso abusava in campo, lo ha messo di fronte a infortuni seri, e quando si è fatto travolgere dai dubbi è arrivato addirittura a pensare fosse meglio giocare senza allenatore. Ma il Monfils di Montecarlo, che batte un irriconoscibile Tsonga (anche lui ha ricevuto la sua bella dose di fischi), e che soprattutto non ha mai perso la calma, sembra davvero una versione nuovissima dell’istrione bello ma poco vincente: «Non lo so se sono più concentrato, io sono sempre me stesso». Però la crescita è indubbia (è 16 in classifica), merito di coach Tillstroem e di un approccio più pacato con il mondo esterno: quando lo presentò, disse di lui «è un super allenatore», ma alla richiesta di aggiungere qualcosa in più, replicò «certo, è svedese», che forse vuol dire più sostanza e meno fronzoli, per permettergli, primo giocatore fuori dalle prime nove teste di serie (è 13), di raggiungere la finale dal 2005 quando ci riuscì proprio quel Rafa Nadal che incrocia oggi in una sfida terribile (è sotto 11-2 nei precedenti): «La cosa difficile quando lo affronti è che lui ti aggredisce fin dall’inizio e se ti lasci travolgere, non ne esci più. Spero solo di giocare un grande match». Parola del nuovo Gael.

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Spagna-Italia. A.A.A. Cercasi tripla impresa (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

II tie-break della grande illusione, poi il crollo. Francesca Schiavone, in campo per la prima volta dopo quattro anni in Fed Cup come riserva extralusso di Sara Errani, ieri a Lleida per un set ha fatto dannare la n. 4 del mondo Garbine Muguruza, incartando l’avversaria e giocando (quasi) come ai tempi d’oro parigini. Ma le ha poi regalato con tre errori-orrori il primo set e da lì in avanti c’è stata solo Spagna: la Leonessa ha ceduto 6-0 il secondo set, Roberta Vinci ha rimediato appena due game (6-1 6-1) contro Carla Suarez-Navarro. Morale: nel playoff salvezza le spagnole sono avanti 2-0 e oggi per l’Italia evitare di precipitare in Serie B dopo 18 anni – e 4 Fed Cup vinte – sarà praticamente impossibile, se si considera anche che l’infortunio al bicipite femorale della Errani non è guarito. «Purtroppo l’ecografia ha confermato la lesione muscolare», ha spiegato Barazzutti, che ha avuto tutta la notte e la mattina per riflettere se confermare oggi Francesca Schiavone, esperta ma ad autonomia ridotta, o giocarsi la carta Karin Knapp. Resta l’amarezza per quel tie-break, nel quale è successo di tutto – il punto del 3-1 azzurro contestato dalla Spagna, lo svenimento di una spettatrice che ha interrotto il match sul 4-3 Schiavone, una vespa che ha punto l’azzurra vicino al naso – e che si è concluso con tre disastri di Francesca e cinque punti filati di Garbine. «La vespa non c’entra – ha ammesso con la solita onestà la Schiavo – ho avuto tre palle buonissime per chiudere il set e non le ho sfruttate. La verità è che un match non può durare un tie-break, devo rifletterci su. Se lo avessi vinto io forse sarebbe cambiato tutto, quindi mi punto il dito addosso. Tornare in Fed Cup mi ha dato comunque grandi emozioni, ho pensato che poteva essere la mia ultima volta in azzurro. Ora mi “studierò” la Suarez ma certo l’incontro è tutto in salita». Anche il match successivo è stato vivo solo all’inizio. La Vinci nel quinto game ha avuto cinque palle-break per il 2-3, non le ha trasformate e si è fatta travolgere in 62 minuti dalla spagnola, oggi n. 11 Wta. La sintesi del match di Roberta è stata questa, nelle parole dell’azzurra: «Lei ottima, io male. Carla ha un gioco che mi dà fastidio, avrei dovuto spingere più con il diritto ma lei mi chiudeva sul rovescio: sono stata troppo remissiva. Ora siamo sotto 2-0, è vero, ma tutto può ancora succedere. Speriamo di arrivare al doppio». Roberta in Fed Cup nei match di doppio ha un record di 18 vittorie e una sola sconfitta – quella sciagurata dell’anno scorso a Genova contro la Francia – per arrivarci stavolta dovrà battere la Muguruza nel primo match in programma alle 12 e confidare nell’ennesimo miracolo della Schiavone. O della Knapp? «Viviamo alla giornata – ha sorriso amaro Barazzutti – Vediamo cosa succede nel primo singolare, poi deciderò».

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Italia, è Flop Cup. Schiavone e Vinci k.o. (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Non sono bastate la grinta di Francesca Schiavone e il rientro in azzurro di Roberta Vinci: la prima giornata dello spareggio di Fed Cup per non retrocedere sorride alla Spagna. Un compleanno allegro quello che avrà festeggiato ieri sera il capitano Conchita Martinez con le sue ragazze che oggi, al Club de Tennis Lleida, hanno il match point che potrebbe riportarle finalmente in serie A. Garbine Muguruza e Carla Suarez Navarro hanno conquistato due punti pesantissimi contro Schiavone e Vinci, e oggi difficilmente si lasceranno scappare la possibilità di chiudere in bellezza. Senza Sara Errani, costretta a fermarsi per una lesione muscolare, Francesca Schiavone è tornata a giocare con la maglia azzurra dopo quattro anni dall’ultima volta a Ostrava. Il compito, con la numero 4 al mondo Garbine Muguruza, di 13 anni più giovane, non era facile e si sapeva. Ma la Leonessa in queste situazioni si esalta. Parte subendo un break ma subito recupera. Lotta per tutto il primo set, con le prime di servizio mai dalla sua parte, con la gigantessa ispano-venezuelana che sbriga i suoi turni di servizio in pochi minuti, con la nostra che riesce a portare la partita fino al tie break, anche grazie agli sprechi della bella Garbine che realizza appena 4 delle 17 palle break conquistate. Durante il tie break succede di tutto: il gioco viene sospeso per il malore di una spettatrice in tribuna, poi si riprende sul 3-1 Schiavone e, subito dopo, la nostra viene punta da una vespa. Da quel momento Francesca non mette più una palla e la spagnola si porta a casa il set. Il secondo parziale è poco più di una formalità, con la regina di Parigi 2010 che sparisce dal campo, prosciugata nelle energie fisiche e mentali dalla delusione per aver perso un set tanto combattuto. Durante l’inno, Francesca era visibilmente emozionata, tornare a giocare con la maglia della Nazionale dopo quattro anni, da numero 90 al mondo, fa venire i brividi anche sei hai un passato straordinario alle spalle e hai vinto uno Slam: «Ho avuto tanti pensieri durante l’inno, tante cose mi sono frullate per la testa, compreso che questa probabilmente è stata l’ultima mia partita in Nazionale». E invece no, perché oggi Francesca dovrà tornare in campo contro la Suarez Navarro perché Sara Errani ha una lesione al bicipite femorale della gamba destra e non può scendere in campo: «Amo giocare – ha continuato – e se il mister chiama io sono sempre pronta. Ho avuto l’opportunità di affrontare una top player, ho cercato di mettere in campo tutta la mia esperienza, continuerò a farlo fino a che potrò». Poco dopo è toccato a Roberta Vinci tornare a vestire la maglia azzurra dopo l’assenza di Marsiglia contro la Francia. Suarez Navarro è in una condizione perfetta, in casa, sulla sua superficie ideale: è una disfatta per Roberta, che conquista solo due game in tutto il match, in archivio con il successo della Suarez per 6-1 6-1. Per lei quello contro la numero 11 al mondo è stato il primo match della stagione sulla terra battuta: «Carla è una giocatrice molto forte, su questa superficie ancora di più. Sapevo che avrei dovuto essere al 120 per cento per batterla. Poi, entrare sotto di 1-0, col pubblico tutto per loro è stato ancora più complicato». Serve un miracolo ora. Ci vorrebbe quel dream team capace di conquistare quattro Fed Cup nell’ultimo decennio, una squadra che ieri in qualche modo si è riunita con Flavia Pennetta a tifare sugli spalti: «E’ stato bello essere di nuovo tutte insieme – ha detto Robi -, Flavia ci spronava. Restando unite il miracolo è possibile».

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