Rafa Nadal: dieci armi per il successo

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Rafa Nadal: dieci armi per il successo

Rafael Nadal è davvero risorto? La risposta l’avremo solo il 5 giugno, nel frattempo cerchiamo di capire su quali armi può ancora contare

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1) Massa muscolare. Fino a qualche anno fa il team dell’ex numero 1 ATP prestava un attenzione quasi maniacale allo sviluppo della muscolatura dell’atleta. Questa abitudine è notevolmente mutata negli anni a seguire, forse anche al fine di per preservare infiammazioni ai tendini, e puntando maggiormente su altri aspetti della preparazione. Le tecniche sono state plasmate col tempo in base anche alle prerogative del campione di 14 Slam: Nadal non alzava i classici pesi ma utilizzava uno speciale macchinario,una sorta di “cono” concepito da un noto brand italiano, che faceva sì che il maiorchino raggiungesse sforzi fino a 1.175 newton, in pratica un po’ come alzare 115 chili col bilanciere, il tutto in intensive sedute pomeridiane di circa quattro ore al giorno.

2) Il dritto. Non è più quel colpo “che tremare il mondo fa”, ma senz’altro, grazie anche all’apporto delle vecchie corde un anno dopo l’inserimento, abbastanza fallimentare, delle Luxilon Big Banger, sostituite a metà marzo di quest’anno con le consolidate RPM Blast del 2010, è riuscito a ripristinare la profondità di un colpo mancato nel 2015. Il finale del movimento è ritornato quello dei bei tempi, ed il braccio fa tutto il giro a uncino sopra la testa a scaricare il top spin sulla palla che viaggia ad oltre 4.800 giri al minuto.

3) I piedi. Sono i pistoni che gli hanno reso possibile le vittorie sul cemento più dispendiose e i grandi recuperi in verticale: con l’energia scaricata dai piedi, piantati tutti e tue ben bene per terra, Rafa riesce ad anticipare l’esecuzione del contrattacco con qualche millesimo di secondo di vantaggio sulla palla, costringendo l’avversario ad un complesso recupero in corsa fuori dal campo.

4) Il servizio. Certo non parliamo delle velocità raggiunte nel 2010 o del 2013, dove a New York arrivò a prime di servizio a 210 kmh, ma è riapparso lo slice a uscire che da tempo non si vedeva e che gli ha permesso in tutta una carriera di avviare immediatamente una manovra di scambio a suo favore.

5) Il rovescio. Sente meglio la palla, è più snello, caricato meglio dietro tra anca e spalle e il finale lasciato andare più sciolto sopra la testa. Ottima arma per aprirsi il campo per una successiva accelerazione di dritto.

6) Drop shot. Inserito nel repertorio dal 2012 per variare lo scambio al fine anche di sorprendere l’avversario, fino a quel momento non proprio abituato a questo tipo di giocate da parte sua, è stato utilizzato in alcune occasioni decisive con Djokovic e Murray nel triennio 2012/14.

7) Backspin di rovescio e volèe. Il primo è un colpo fondamentale per Rafa, gli permette di pensare e di rifiatare prima di una contromossa; la sua esecuzione si distingue anche quando riesce ad abbassare la punta della racchetta e le ginocchia, quasi toccando per terra con la prima. Gli ha permesso la vittoria agli Australian Open del 2009 e quella New York del 2010 e 2013.
Mentre il gioco a rete dello spagnolo è ormai noto ai più attenti, (del resto a Nadal è sempre piaciuto giocare anche il doppio) quando è stato costretto ad eseguirla in singolare, nei momenti decisivi, ha sempre avuto successo: è il colpo più sottovalutato dello spagnolo, ricordate in finale a Wimbledon nel 2008 contro Federer nell’ultimo game? Servì in slice esterno e corse a rete chiudendo due 15 a fila in questo modo: addirittura serve&volley; si è trattato di colpi sì artigianali, ma decisamente efficaci per precisione e profondità.

8) Le gambe. Sono state le armi fondamentali per i recuperi più estenuanti su cui Nadal ha investito maggiormente nei primi anni di carriera e che, assieme alle ginocchia, lo hanno portato ai primi grandi successi sul rosso e poi sul tetto del mondo. Quella sinistra, impuntata scivolando in avanti, gli ha permesso di giocare il passante lungolinea o in diagonale, da fuori dal campo, come ad esempio il recupero sul match point a favore in semifinale olimpica nel 2008 contro Novak Djokovic. Anche su cemento infatti, è stato decisivo grazie all’esplosività dei suoi arti inferiori: in quel preciso frangente arpionò due smash del serbo da fuori inquadratura.

9) Testa. Il 50% di tutta la macchina. È fondamentale che non abbia grossi tormenti e sia focalizzato sulla conquista dell’obbiettivo, altrimenti i pensieri lo possono portare altrove; nel 2009 la sua prima sconfitta al Roland Garros dopo quattro anni di imbattibilità, guarda caso, proprio a seguito della separazione dei genitori, maturata dopo l’Australian Open, assieme a tutta la stanchezza accumulata da mesi. Rafa è una persona sensibile, deve avere il controllo di tutte le cose, e quando questo non avviene per cause di forza maggiore, può avvenire una destabilizzazione deleteria per l’umore che va ad infrangersi nella freschezza di un fisico che deve essere al 100% per concedergli qualche vittoria tranquilla. Ma soprattutto, il gioco risente in maniera determinante se nella sfera privata qualcosa di grosso non va.
L’arma mentale di Rafael Nadal gli ha fatto ottenere la scalata ad alcuni dei successi più importanti, consentendogli di battere sulla terra giocatori ancor prima di entrare in campo; lo ha fatto tornare in vita durante alcune celeberrime finali, con l’avversario già quasi intento nell’alzata del trofeo (con Roger Federer a Roma nel 2006, quando un dritto in rete avrebbe permesso all’elvetico di conquistare l’alloro per la prima volta agli Internazionali, forse cambiando la storia della loro rivalità).

10) Carisma. Ci sono alcuni Campioni di questo sport che solo grazie al loro carattere riescono ad impaurire, a destabilizzare e torturare l’autostima di chi si trova dall’altro lato del net: dote rarissima ed autentica, merce rara, rarissima nella storia di questo sport. Ne nascono pochi, e guarda caso i fortunati sono proprio quelli che avvicinano al tennis migliaia di nuovi appassionati grazie a quest’unica virtù. Anche Andy Murray fatica, talvolta, nel confronto con gli altri tre per via di questo fattore, a discapito di un tennis di una qualità a loro non di certo inferiore,anzi.
Si tratta di quell’aura che da sola può bastare, mentalmente, a far ridurre un agnellino un’avversario navigato che non aveva proprio intenzione di cedere in malo modo il match. Il problema nasce quando entrambi sono consci di esseredei campioni. Quando però due del genere si affrontano fra loro il grande scontro è assicurato: una guerra fratricida, come due leoni assicurati in una gabbia e privati della loro bistecca abituale che, senza esclusione di colpi, mettono in gioco tutto per vincere, ovvero fiducia e carriera. Basti pensare alla maratona vissuta da Djokovic e Nadal nella finale a Melbourne nel 2012, capace di creare autentici solchi nel morale dello sconfitto, se questi non fosse stato il Campione che del resto è, anche se, sicuramente, avrà lasciato i suoi strascichi; nel quotidiano, nel sonno, nell’umore. Poi tutto passa e torna la sete di vittorie.
Fernando Verdasco dopo esser caduto nella la più rocambolesca semifinale della storia degli Open d’Australia, nel derby con il suo amico Rafa, non solo non ha più vinto un match degno di nota nei mesi a seguire, ma ha perfino faticato a buttare la palla oltre la rete nelle settimane successive, cadendo anche nella spirale del doppio fallo continuo.
Se a questo punto i due senatori Federer e Nadal, scalzati dal trono brutalmente da un Djokovic assetato di Slam come nessuno mai, decideranno di lottare ancora un po’ mettendo da parte carte d’identità e paura di far figuracce, allora dovremmo prepararci ad un altro scontro fra vecchi leoni del tennis che potrà riservarci qualche sorpresa: le nuove leve sono avvisate, ma la il carisma non si compra, o lo si ha o no.

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