È ancora Murray. Nadal si arrende per la seconda volta (Crivelli). Le stelle di Roma. In 6000 a osannare il divo Federer (Crivelli). Fognini: “Ci sono, datemi il Pietrangeli” (Viggiani). Riecco Serena, ma l’appetito sarà tornato? (Cocchi). Stavolta a Roma torno bambina (Pennetta). Gabriela Sabatini: “Nessuno mi ha amata così” (Crivelli)

Rassegna stampa

È ancora Murray. Nadal si arrende per la seconda volta (Crivelli). Le stelle di Roma. In 6000 a osannare il divo Federer (Crivelli). Fognini: “Ci sono, datemi il Pietrangeli” (Viggiani). Riecco Serena, ma l’appetito sarà tornato? (Cocchi). Stavolta a Roma torno bambina (Pennetta). Gabriela Sabatini: “Nessuno mi ha amata così” (Crivelli)

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È ancora Murray. Nadal si arrende per la seconda volta (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Vatti a fidare degli amici. Una settimana di allenamenti insieme a Maiorca e quello ti ripaga con la più bella vittoria dell’anno. Chissà se Nadal inviterà ancora Murray a scambiarsi colpi al sole delle Baleari, nella sua Accademia che aprirà tra un mese: certo, al Masters 1000 di Madrid, dove Rafa non è solo un tennista, da due anni non c’è partita a favore dello scozzese. Dodici mesi fa fu la finale, ieri una semifinale carica di palpitazioni, nel ricordo dell’anno scorso e soprattutto del recente incrocio a Montecarlo. Trionfa Muzza, che si prende la rivincita del Principato e si regala un appuntamento da brividi con Djokovic, che come da pronostico ha avuto ragione del samurai Nishikori: Andy diventa così il primo giocatore di sempre a battere lo spagnolo nello stesso torneo sulla terra per due stagioni consecutive. Sarà per il tetto che serve a riparare dalla pioggia e dal freddo di questa brutta primavera madrilena e che da qualche giorno ha trasformato il torneo in un evento indoor, sarà per l’altura che dà più profondità e velocità ai colpi, ma la terra castigliana finisce sempre per esaltare le doti del numero due del mondo, obbligato tuttavia a vincere la finale di oggi per non essere scavalcato da Federer. Il segreto di questo successo è ben rappresentato dalle sue parole a fine match: «Ho servito molto bene quando ho dovuto fronteggiare palle break (ne ha salvate 11 su 13, ndr.), sono stato aggressivo nei momenti decisivi, magari commettendo errori ma per cercare il punto, e soprattutto ho sempre giocato in spinta e mai in arretramento». Uno dei difetti genetici di Murray, che a volte si lascia travolgere dalla partita faticando ad emergere dalla passività in cui si infila, specialmente sulla terra, superficie che solo da un paio d’anni ha cominciato a maneggiare con la concentrazione e la pazienza richieste, debolezza abbastanza incredibile per chi, come lui, si è formato come giocatore sul rosso di Barcellona, dove si trasferì a 14 anni. Questione di testa, che questa volta reagisce d’impeto e d’orgoglio alla rimonta di Nadal, da 5-2 a 5-5 nel primo set e poi alla pressione che l’altro riesce a mettere contro i suoi turni di servizio a inizio terzo set, disinnescata anche con un uso sapiente della palla corta: «Credo che quella di quest’anno sia una vittoria migliore per me, non credo che Rafa avesse giocato al meglio un anno fa in finale. Non sto dicendo che stavolta ha giocato il suo miglior tennis, ma credo abbia giocato meglio dello scorso anno. E io sono stato continuo per tutta la partita». Pure lo sconfitto gli riconosce la superiorità di giornata: «Ha fatto le cose leggermente meglio di me quando contava, e poi non dovete sorprendervi per i suoi risultati sulla terra: Andy è un giocatore fortissimo, completo, competitivo su tutte le superfici». E se tra gli uomini la gerarchia si conferma ferrea, primo contro secondo, la finale femminile saluta la rinascita della Halep, in un torneo senza Serena Williams e che ha perso tutte le favorite nei primi due turni. La romena finalmente si lascia alle spalle la pressione a lungo ingestibile della vittoria ad ogni costo e il dramma di un suicidio in famiglia (un cugino) e ritrova gambe, difesa e vitalità. Bentornata.

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Le stelle di Roma. In 6000 a osannare il divo Federer (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

L’eccitazione sul Centrale è palpabile, e non solo di quei bambini scatenati che non stanno fermi sulle sedie in attesa dell’ascensione, questa volta terrena, del Divino Federer: sono almeno in seimila, sulle tribune, ad anelare l’allenamento di Roger programmato per le sei del pomeriggio. Proprio così: come una partita di alto livello. E qualcuno ha occupato uno scranno il più vicino possibile al campo addirittura dalle tre e mezzo, per non correre il rischio di intrusi nella foto di rito. E Lui si materializza un’ora dopo le previsioni, non senza che sia volato qualche fischio per il ritardo. Accompagnato da coach Ljubicic, Federer saluta la folla plaudente e tutta in piedi alla sua apparizione con un semplice gesto della mano, poi il primo colpo, un dritto tirato a mezza velocità che finisce lungo un metro oltre la riga, riceve un’ovazione che manco fosse il passante decisivo della finale. Però, in quei brividi che il Centrale fatica a contenere, in quei cuori palpitanti da perenni innamorati, nella passione che si respira in ogni applauso ci sono soprattutto il conforto e il sollievo di vedere Roger a Roma dopo la paura di Madrid per quella schiena che non metteva giudizio. Il Re è qui, per la 16′ volta in carriera, ed è l’unica cosa che conta. Doveva essere destino, nonostante le 4 finali perse e nonostante i programmi di inizio stagione prevedessero solo Parigi, tra i tornei sulla terra. Ma tra menisco, virus influenzali e muscoli dorsali indolenziti, la tappa romana si è resa obbligatoria per mettere in cascina partite e fiducia in vista di Parigi. Certo, il computer del sorteggio non è stato benevolo con il campione, non solo perché lo ha infilato dalla stessa parte di Djokovic e Nadal, ma anche per un cammino irto di ostacoli verso la gloria: secondo turno contro Dimitrov o Zverev, poi eventualmente Thiem, prima dell’inesauribile soldatino Nishikori. Preoccupazioni da affrontare quando sarà il momento, ora conta solo la schiena e soprattutto la famiglia, come ricorda nella dichiarazione ufficiale pretorneo: «Ogni evento per me ha la stessa importanza, il mio impegno è sempre lo stesso. Ma soprattutto voglio essere un buon padre per i miei figli e vorrei che restassero piccoli il più a lungo possibile». E quei 6000 vorrebbero che fosse immortale.

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Fognini: “Ci sono, datemi il Pietrangeli” (Mario Viggiani, Corriere dello Sport)

Fabio Fognini si presenta sereno, disteso, motivatissimo, agli Internazionali BNL d’Italia. Sarà che il 28 maggio compirà 29 anni, o che l’11 giugno sposerà Flavia Pennetta, che ha qualche anno in più e una maturità consolidata. Fatto sta che il numero 1 azzurro è bello carico e lo spiega con grande lucidità. «Dopo lo stop per la lesione agli addominali, sono riuscito a tornare in campo dopo appena un mese e mezzo e sono sorpreso di come altrettanto rapidamente abbia recuperato un buon livello di gioco. Ho fatto un po’ di fatica a Montecarlo, ma anche lì ho avuto segnali importanti perché non ho avvertito dolore. A Barcellona sono arrivato nei quarti e a Monaco in semifinale, tutte e due le volte eliminato dal vincitore del torneo. E questa settimana a Madrid avevo praticamente vinto il secondo turno contro Nishikori che poi ha fatto semifinale e che io ho tenuto alle corde per un’ora e mezza. Insomma, non potevo desiderare di meglio. Forse non sono ancora proprio al top, ma ci siamo quasi». E torna solo per un attimo sull’episodio che ha messo fine a quella partita, con il match-point consegnato dal giudice arbitro al giapponese con il penalty-point inflitto al ligure. «Nel periodo in cui non ho giocato ho pensato molto alle mie cose, in particolare ai miei migliori momenti di gioco. E qualche dubbio, qualche perplessità mi sono venute, su quello che ancora posso dare e ottenere. Ne ho parlato anche con José (Perlas, il sino coach – ndr). So bene quali siano i miei limiti caratteriali, non è facile ridefinirli alla mia età, ma è con quelli che sono arrivato al numero 13 in classifica, due anni fa. Ed è inutile dire “chissà se..:”. In ogni caso, proprio rispetto ad allora sono cambiato e non ho più certi atteggiamenti. Certo, odio perdere, specie se questo accade nei modi più strani (riferimento a Madrid – ndr) e allora magari mi fa venire i cinque minuti..». Ma il discorso riprende subito una piega positiva «Giocando subito così bene, ho sorpreso anche Perlas. Ho dimostrato cosa valgo, quello di cui sono capace: con il lavoro duro arriveranno di nuovo risultati importanti, e magari riconquisterò una classifica migliore. Ci ho pensato anche guardando NIshilcori che si guadagnava la semifinale di Madrid». Adesso l’esordio con lo spagnolo Garcia Lopez: «Avversario tosto, pensiamo prima a lui e poi magari a Ferrer. Di pomeriggio il Centrale è molto veloce, mi piacerebbe giocare sul Pietrangeli: Lì il pubblico mi è stato di grande aiuto l’anno scorso (per battere Dimitrov e quasi battere Berdych – ndr). Tra Internazionali e Roland Garros, ovvio che il sogno è vincere uno Slam, a Parigi dove ho ottenuto risultati importanti. Certo però che se ci riuscissi a Roma, prenderei il posto del presidente…»

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Riecco Serena, ma l’appetito sarà tornato? (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Antipasto dello spettacolo, ma non per questo meno saporito. Al Foro Italico sono tutti sugli spalti ad aspettare i big che si allenano. «Training now» si chiama l’ultima trovata degli Internazionali che permette agli appassionati (tantissimi bambini), di vedere come si allenano i fenomeni, sperando magari di strappare un autografo sulle grandi palline gialle che circolano al Foro. Ovazione per Serena Williams quando è uscita dal tunnel del Centrale sia venerdì, alla prima apparizione, che ieri mattina per il secondo allenamento. La n.1 al mondo è arrivata accompagnata dallo sparring e da coach Mouratoglu. Per lei un po’ di dritti e rovesci per scaldarsi bene poi, via con i servizi bomba, con i tubi rubi delle palline sistemati sul campo e la palla a farli saltare. Serena sembra proprio decisa stavolta, all’esordio sulla terra rossa, dopo una marea di forfeit da inizio anno. Agli Internazionali ha già trionfato tre volte, la prima 14 anni fa, poi nel 2013 e 2014. Lo scorso anno il titolo è andato a Maria Sharapova, che quest’anno è ferma per la vicenda del Meldonium, e a Serena starà frullando in testa l’idea di un bel poker romano. Ci vuole qualcosa per scuotere questo apatico 2016 di Serena, ancora a secco di titoli e lontana dalla feroce lottatrice vista fino a quel giorno a New York, quando arrivò a un soffio da uno storico Grande Slam, prima di schiantarsi sul back della Vinci. Da settembre, Serena non è più la stessa, da quando si è presa quel lungo periodo «off», per curare le ferite del corpo e dell’anima: «Non mi fermavo dall’Olimpiade di Londra – aveva detto a Melbourne -, il mio corpo aveva bisogno di riposare». Si è spezzato qualcosa, il ritmo delle vittorie da cannibale: il cannibale è abituato a sbranare, divorare senza pietà l’avversario ma, quando si ferma, si accorge che forse la pancia è piena e rallenta il ritmo. Tanto da non agguantare il primo Slam di stagione, come a voler togliersi subito il pensiero, fino a perdere la finale di Indian Wells, e poi uscire a Miami, praticamente il giardino di casa dove ha trionfato 8 volte ed era imbattuta da 4 anni. Ora la terra rossa, un nuovo Slam all’orizzonte, la voglia e il bisogno di ripartire centrando un bersaglio importante. Al Foro Italico c’è anche Venus che con Serena giocherà in doppio in previsione dei Giochi di Rio, dove le due puntano a un’altra medaglia d’oro nella specialità. Lo dimostra il fatto che le sorelle più vincenti della storia del tennis non giocavano insieme dagli Us Open del 2014. A Roma poi, si tratta di un duo quasi inedito visto che una sola volta hanno giocato il doppio in coppia, quasi 20 anni fa, nel 1998 quando sono state battute in semifinale. A Serena è tornato l’appetito?

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Stavolta a Roma torno bambina (Flavia Pennetta, La Gazzetta dello Sport – Inserto)

Della mia prima volta a Roma non ricordo quasi nulla, nemmeno contro chi giocassi. Eppure l’emozione me la ricordo bene. Avevo 16 anni ed ero in campo con una wild card della federazione. Per me, fin da piccolina, il Foro Italico è sempre stato un sogno. Mi ci portavano mamma e papà, vedevamo la fine della settimana delle donne e l’inizio di quella maschile. Nella mia mente immaginavo, un giorno, di giocare su quei campi. E quando è successo veramente è stato fantastico: mi sono ritrovata in mezzo ai miei miti. C’era Monica Seles, Jennifer Capriati, mi sembrava di essere entrata nel mio sogno, in quel luogo dove avevo sempre desiderato di poter arrivare. Per me era davvero tutto nuovo, un circuito che non avevo mai visto, sensazioni magnifiche. Venire a Roma è sempre stata una festa di famiglia. Tutti salivano da Brindisi per vedermi: genitori, nonna, zii. cugini. Tutti insieme. Resta ancora un appuntamento annuale e ricordo con affetto anche chi non c’è più: zia Rossana, una grande appassionata di tennis, una patita. Sapeva tutto, giocava con papà e litigavano sempre. Il pubblico di Roma è meraviglioso e complicato, forse il più complicato che dobbiamo affrontare durante tutta la stagione. È un pubblico che ti trasmette la passione e la pressione di casa tua. C’è competenza, appartenenza e c’è la fiducia che non devi mai tradire. Mi torna in mente quella volta contro Nadia Petrova, era il 2004, secondo turno. Lei era nei primi posti del mondo e io stavo prendendo una stesa clamorosa, non so come ma pian piano mi sono risollevata, sono riuscita a girare il match a mio favore e alla fine ho vinto. Ho sentito il movimento delle tribune. Un terremoto di gioia. Negli anni il Foro Italico è cambiato, la cornice romana è fantastica: lo stadio della Pallacorda, ora Pietrangeli, resta il mio posto magico. Credo sia il campo più bello che esista in tutto il circuito. I giocatori sono amici, i compagni di gioco di una carriera. Con loro sono riuscita a vivere il torneo con uno spirito più maturo, godendomi anche qualche festa. Quest’anno finalmente riuscirò ad apprezzare l’organizzazione come ospite, senza ansie da prestazione, avvicinandomi di più al pubblico e a tutto ciò che giocando non ho potuto mai assaporare. Quest’anno, finalmente, mi divertirò anch’io con la stessa spensieratezza di quando ero bambina.

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Gabriela Sabatini: “Nessuno mi ha amata così” (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport – Inserto)

Per usare una frase fatta: “La più amata dagli italiani”. Una passione corrisposta, del resto: a Roma, Gabriela Sabatini ha vinto quattro volte (1988, 1989, 1991, 1992), giocando spesso partite indimenticabili. Una giocatrice unica per classe, eleganza e bellezza, cui nel 1992 è stata perfino dedicata una rosa di colore arancio scuro e dalla fragranza afrodisiaca.

Gabriela, quali sono i ricordi più belli degli Internazionali d’Italia? Di Roma ho amato tutto, davvero. L’atmosfera, le tribune, le statue di marmo così vicine. Qualcosa di speciale. Ma il ricordo più bello è il pubblico, il migliore del mondo e la parte migliore del torneo. Cosi passionale che non posso dimenticarlo.

Quale delle sue quattro vittorie le ha dato più soddisfazione?

Quando vinci quattro volte un torneo lo tieni nel cuore tutta la vita come qualcosa di magico. Ma le partite che ricordo di più sono le due finali vinte contro Monica Seles (’91 e’92) perché in entrambe ho giocato il miglior tennis della mia vita.

E un’altra partita?

Sicuramente la semifinale del 1987, perché ho battuto Martina Navratilova per la prima volta: quel giorno rimarrà per sempre speciale per me.

Nella sua carriera ha giocato contro Navratilova, Graf, Sanchez, Seles. È stata l’epoca migliore per il tennis femminile?

Non so se sia stata l’epoca migliore, ma sicuramente a quei tempi c’erano giocatrici molto diverse tra loro, ciascuna con il suo stile e molto, molto competitive. Ho amato vivere quei momenti e credo che ogni avversaria mi abbia reso migliore. Ma la più forte secondo me è stata Monica Seles.

C’è qualche giocatrice in cui si rivede nel tennis di oggi?

Quando ho tempo amo guardare i match di oggi. Ammiro lo stile di Roberta Vinci, della Schiavone, della Suarez Navarro, credo di potermi identificare in loro.

Si aspettava la vittoria di Roberta Vinci contro Serena Williams a New York?

E’ stato un momento molto emozionante nella storia del tennis, è sembrato che Roberta, con la sua gioia di giocare e il suo sentirsi libera in campo, abbia guadagnato fiducia punto dopo punto.

Cosa pensa delle giocatrici italiane?

Mi piace molto il loro modo di giocare, hanno una bella varietà, colpiscono bene la palla e riescono a trasformare subito la fase difensiva in offensiva. Un po’ come noi argentine

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