Guai a disturbare il conducente

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Guai a disturbare il conducente

Dal campo alla TV, dal quotidiano alla Federazione, Panatta l’appestato: il mondo autoreferenziale del giornalismo “prigioniero” di un ingranaggio diabolico e un coro che ha sempre più voci plaudenti

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Nei titoli dei giornali più audaci, giusto un paio su un centinaio, accanto alla parola “Italia” trovate la parola “disastro. Il giorno dopo la sconfitta di sette azzurri su otto in campo al Foro Italico – con il solo Seppi a superare il primo turno e Volandri che dovrebbe perdere contro Ferrer nel suo match d’esordio, insieme alla povera Claudia Giovine, numero 423 del mondo e quindi meritevole di WC – la stampa italiana ne prende atto e riporta con delicatezza, fra pixel e inchiostro. Abituato a non voler scrivere  la verità in forma dura per non deprimere i lettori – che comprensibilmente amano sempre più leggere le vittorie che le sconfitte –  il giornalismo sportivo italiano si è rapidamente trasformato in epigono del giornalismo tout court, del tutto embedded cioè, come dicono quelli che in modo più soft evitano di sottolineare la commistione di interessi fra testate editoriali ed eventi.  Non è tutta colpa dei giornalisti, sia chiaro. Spesso anche loro ne soffrono, quando devono “automoderarsi” per esigenza di testata. È l’editore, la testata, a chiedere di rispettare certi accordi di “pacifica” convivenza con chi organizza e magari ti concede certi piccoli privilegi, stand, biglietti, informazioni di prima mano, interviste esclusive. Il giornalista diventa spesso prigioniero di un ingranaggio più grande di lui. Difficile ribellarsi. Aspettarsi di più – magari qualche velata critica, un’alzata di sopracciglio, qualcosa – quando si tratta di tennis è diventato più utopistico che credere che in una società giusta. 

La rassegna stampa curata dalla FIT riporta un centinaio di pezzi dedicati alla giornata romana di lunedì 9 maggio. Quotidiani importanti, qualche testata da poche centinaia di copie lette e dal dubbio interesse sportivo,  nessun cenno o quasi al web, anche se, pare, qualcuno clicca, in Italia. Centinaia di pezzi e la sostanza non cambia: sempre articoli corifei e mai incalzanti; per il giornalismo italiano della crisi perdurante del movimento tennistico italiano, soprattutto maschile e ora anche femminile considerato il vuoto dietro la finale di Flushing Meadows del 2015, non si deve parlare. “Non disturbare il conducente” c’è scritto sugli autobus come monito, e il “conducente” del tennis italiano è la FIT. 

È normale allora che nel Paese in cui le inchieste su tutti i fronti, o le sporadiche investigazioni hanno sempre lo sgradevole odore delle strumentalizzazioni, o della guerra tra cricche, sperare che si possa mai leggere qualche riga critica nei confronti di chi, pure, qualche responsabilità ce l’ha? Perché le storie sulla diffusione del tennis attraverso una televisione, l’elargizione di enormi premi a chi è già stato premiato abbastanza, l’abilità del centro tecnico e di chi lo frequenta, la questione dei coach esterni e via dicendo, le conosciamo tutti. Tutti? Non proprio, solo quelli che frequentano il WEB: poco e sempre sulle stesse testate.

E quindi tutto, ma proprio tutto quello che ruota attorno al tennis italiano, organizzazione dei tornei, Coppa Davis, interviste, commentatori improvvisati al microfono delle TV che ancora trasmettono tennis, si adagia su questo “non disturbare il grande manovratore”.

Fognini perde sul centrale un set per 6-1 anche perché la programmazione della partita non era di suo gradimento. Un anno fa aveva scelto di giocare al Pietrangeli, lui che potrebbe riempire anche il centrale (12.000 posti contro 2.500 circa) o la Super Tennis Arena che forse andrebbe smontata già durante il torneo (100 persone a seguire la Errani ci saranno state?), e quest’anno è stato “comandato” sul campo centrale. In sala stampa, dove si è presentato tre ore dopo aver giocato con Totti, Pennetta, Vinci e Florenzi sul Pietrangeli, qualcuno ha provato a chiedergli conto di questa storia. Lui ha risposto che “ho promesso di fare il bravo a Nicola”. Nicola è Nicola Arzani, manager dell’ATP. E quindi l’intervista di Fognini si è ridotta a domande sulla partita, perché niente era “permesso”. Ma oltre ai soliti noti che ci provano a uscire dal confine del “si parla solo della partita” – perché poi i giocatori quando hanno qualcosa da dire per il loro interesse, anche se esula dalla partita, eccome se la dicono! – nessuno si prende la briga di osare. C’è il giornalista che chiede a Fognini se si fosse divertito a giocare con Florenzi, e non ti meraviglieresti se l’italiano gli scagliasse contro una bottiglietta d’acqua di quelle che stanno sul tavolo vicino ai microfoni. 

Nessuna voce di quelle importanti, di quelle che raggiungono centinaia di migliaia di persone, prova a chiedere conto dello stato in cui versa il tennis italiano, di cosa si possa fare. Come mai? Cos’è successo? “Non disturbate please”.   Nessuno prova a insistere quando arrivano le solite risposte banali dei tennisti (Seppi: “Non dovete chiederlo a me, chiedete a Sartori”), perché non bisogna farli arrabbiare, se no, magari, non vengono allo stand della testata a fare autografi e ti negano le interviste. Viviamo in un mondo dove lo sportivo va coccolato e “trattato bene”, perché il giornalista non serve più nell’epoca della comunicazione diretta e top-down: dalla cima della piramide si lancia un tweet o un post e si raggiungono migliaia di persone.

In fondo è quello che sta succedendo anche in politica, in cui quelli che erano gli organismi di mediazione – il Parlamento, i partiti – hanno del tutto perso la loro funzione-cuscinetto perché tanto il “capo” parla direttamente col popolo. E qui, l’atleta ha a che fare direttamente col tifoso al quale, completamente anestetizzato, non interessa né analisi né critica ma solo che si parli bene del proprio beniamino e male dello sportivo che odia. E se si scrive contro la FIT è perché si è “ossessionati” così come se si scrive contro Federer è perché si tifa Nadal e se scrivi poi contro Nadal allora è perché tifi Djokovic o forse Federer.

E allora in fondo capiamo il giornalista che dovrebbe analizzare, capire, chiedere, cercare le ragioni di un fenomeno che, numeri alla mano, non può essere né negato ma che si riduce ad applaudire in sala stampa le parole strambe Pietrangeli che risuonano foschissime nello scenario romano “a chi non gioca per la propria Nazione sparerei alle gambe”. Si scherza certo, ma a parte il rivedibile gusto c’è poco da ridere quando neanche si ha il coraggio di fare una domanda una alla presentazione di un evento come Italia-Argentina di Davis presentata, ormai con totale sprezzo del ridicolo, come l’altra grande dimostrazione di forza del tennis italiano.  E quindi “Dai che la prossima volta andrà meglio” perché queste testate ospitano i tennisti come opinionisti, e le televisioni si affrettano a chiamarli al commento TV. E tanto lo sanno che sono ancora troppo pochi i telespettatori che, quando possono, preferiscono il solo audio dal campo o il commento in lingua originale, in inglese, per non ascoltare le inutili banalità di questi “personaggi” chiamati a fare un lavoro che non sanno fare, quello del giornalista. Che alla fine, diciamocelo, mica è un lavoro, no?

E quindi, alla fine della fiera, si esce dal campo e si entra al commento televisivo, si lascia un giornale e si passa a scrivere per la Federazione, si lascia una testata e si passa all’altra o si passa in TV; come si potrebbe essere liberi nei riguardi del “conducente”? L’Italia, e il mondo del tennis scritto, visto e parlato non fa eccezione, è la Repubblica fondata sul “tengo famiglia”, pena l’esclusione dalla cricca del giornalismo che ti fa fuori se non partecipi al coro.

E allora non c’è da meravigliarsi se poi a nessuno freghi se il più grande giocatore italiano di tennis, Adriano Panatta, non venga celebrato come meriti a quarant’anni dalla sua vittoria romana e parigina, tanto abbiamo Pietrangeli e le sue dichiarazioni strambe e la Pericoli da osannare solo perché ha vinto qualche campionato assoluto in Italia, o per le sue telecronache soporifere e distanti anni luce dal giornalismo per la vecchia Tele Montecarlo. Giovanni Malagò è forse riuscito a convincere Adriano a farsi vedere domenica al Foro, il giorno della finale. Meglio se in tribuna anziché in una “lounge Fit”. Beh, dopo che Adriano aveva fatto sapere che “per precedenti impegni non avrebbe potuto presenziare alla celebrazione prevista per giovedì 12 maggio” uno spiraglio in fondo era rimasto aperto.  

Oggi allo stadio Pietrangeli si celebra Flavia Pennetta, e il piccolo stadio sarà pieno. Panatta meriterebbe il centrale, ma avete letto da qualche parte qualche riga di condanna su questa vergogna sportiva italiana?  Intanto, a festeggiare Panatta, saranno i francesi. Magari per i 50 anni della vittoria di Adriano andrà meglio.

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