Lo strano caso di Courtney Nguyen: da avvocato-fan a giornalista di tennis - Pagina 2 di 3

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Lo strano caso di Courtney Nguyen: da avvocato-fan a giornalista di tennis

Una lunga chiacchierata a tu per tu con Courtney Nguyen, una delle più apprezzate reporter del tennis professionistico. Dalla carriera come avvocato al suo ruolo attuale come Senior Writer per la WTA, Courtney ci racconta la sua vita all’interno del circuito femminile

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Questa è la “mission” di WTA Insider. Puoi dirci qual è la “vision”, quello che vorresti fosse il punto di arrivo?

Innanzitutto vorrei arrivare ad aver un team di reporter, in tutto il mondo, che legge e scrive in tutte le lingue, in modo tale da poter coprire tutti gli angoli ed essere completamente in sintonia con le giocatrici. Vorrei che i WTA writers raccontassero le storie che nessuno vuole raccontare, le difficoltà, i problemi che le giocatrici devono affrontare per diventare professioniste. Questo sport a volte può essere brutale, ed io cerco sempre di incoraggiare le ragazze a dire le cose come stanno.
Inoltre, vorrei che il circuito WTA venisse trattato come uno sport, non come una sfilata di moda di belle ragazze che colpiscono una pallina. Voglio parlare di diritti e rovesci, di tattica. Non sono qui per catturare click, io scrivo le storie che devono essere scritte e che nessuno scriverebbe perché non hanno sufficiente “appeal” mediatico, almeno in superficie.

Quando viaggi per tornei, tu alloggi negli stessi alberghi delle giocatrici, usi la stessa transportation. È difficile stabilire la giusta linea di demarcazione tra i fatti che avvengono dietro le quinte che meritano di essere resi pubblici e quelli che invece devono rimanere nel privato?

La mia tendenza è quella di essere sempre molto conservativa nel decidere quali fatti riportare e quali no. Forse è il mio background legale, ma io voglio essere sempre strasicura prima di riportare un fatto. Ovviamente tutto quello che vedo in qualità di “insider” contribuisce a costruire la mia opinione su un determinato personaggio, ma cerco sempre di rimanere all’interno delle righe del campo. Non sono TMZ e non ho l’ambizione di esserlo: se un fatto esterno al campo può avere effetti sulla prestazione agonistica di una giocatrice, mi sento in dovere di riportarlo; altrimenti soprassiedo.
Per esempio, se vedo qualcuno che mangia 20 pezzi di sushi un’ora prima di andare in campo e poi sta male durante il match, il fatto merita di essere riportato, perché potrebbe aver avuto effetti sul risultato agonistico. Se invece vedo una giocatrice che fa colazione in pigiama nella hall dell’albergo, non lo vedrete mai su WTA Insider.

Quanto ti manca non occuparti di tennis maschile?

Guardo ancora gli incontri più importanti, e con i miei altri impegni al di fuori della WTA come NCR devo comunque rimanere informata su ciò che accade. Non mi manca scriverne perché comunque il mio carico di lavoro non è diminuito, in quanto adesso devo occuparmi di approfondimenti su temi e personaggi del tennis femminile che altrimenti non avrebbero copertura mediatica. La WTA è il motivo per cui ho iniziato ad occuparmi di tennis, per cui non mi pesa troppo non scrivere degli uomini.

Dal punto di vista dell’atteggiamento nei confronti della stampa, l’ATP e la WTA hanno due approcci molto differenti. Per esempio, un paio di anni fa l’ATP ha introdotto il concetto di “zona mista”, un’area nella quale i giocatori si fermano dopo essere usciti dal campo e prima di entrare negli spogliatoi, dove i giornalisti possono fare domande e raccogliere le dichiarazioni a caldissimo. Questa zona ha sostituito la tradizionale conferenza stampa, per tutti tranne che per i top players, i quali dopo ogni match si recano ancora nella sala interviste per una sessione di domande e risposte “da seduti” con i giornalisti presenti. La WTA invece ha mantenuto l’approccio classico, in base al quale tutte le giocatrici stabiliscono un orario per il loro impegno con la stampa alla fine del loro match, e vengono accompagnate in un locale apposito per incontrare i reporter interessati.
Inoltre, nel corso del 2015, l’ATP si è resa protagonista di alcuni episodi di dubbia opportunità quando attraverso i propri legali ha fatto recapitare una lettera ad alcuni appassionati nella quale si intimava loro di cessare la loro attività di produzione di GIF (quelle immagini animate di pochi secondi che catturano momenti buffi o significativi di un match) in quanto si trattava di una violazione del copyright delle immagini, di proprietà dell’ATP stessa. Dal canto suo, invece, la WTA ha sempre incoraggiato la diffusione di questo tipo di immagini, in quanto considera questo fenomeno un utile veicolo per aumentare la diffusione del proprio sport.

Courtney, come giudichi il diverso approccio da questi punti di vista della WTA rispetto all’ATP? Puoi spiegarci il motivo dietro a queste scelte della WTA?

Sono sempre stata una grande ammiratrice della politica della WTA che cerca di rendere il lavoro di noi giornalisti il più agevole possibile. Soprattutto con me sono stati sempre straordinariamente generosi. Oltre all’episodio dell’accredito a Stanford che ho menzionato prima, ricordo che una volta ero a Roma da semplice appassionata, Maria Sharapova giocava sul centrale e tutti i biglietti erano esauriti. Un rappresentante della WTA mi mandò un messaggio sul telefono chiedendomi se avessi bisogno di un biglietto, e così riuscii ad entrare.
Non so quale sia il motivo che ha spinto la WTA a non adottare la zona mista, non sono abbastanza importante da far parte di questi processi decisionali, ma da giornalista mi ricordo che ho avuto l’impressione che l’ATP stia cercando di rendere il nostro lavoro più difficile. Ci viene chiesto di raccogliere dichiarazioni da un giocatore ancora tutto sudato, che non ha avuto il tempo di cambiarsi o di rinfrescarsi, è molto improbabile che dica qualcosa di interessante.
Credo che si possa far risalire questa differenza di atteggiamento alle origini della WTA, quando durante i suoi inizi il circuito femminile doveva supplicare i giornali di mandare qualcuno a coprire gli eventi. Ricordo che Billie Jean King mi ha raccontato di come durante i primi anni del tour gli unici giornalisti che venivano mandati ai tornei WTA erano giornalisti di moda dei giornali locali, e Billie Jean si sedeva con loro alla fine del suo match per spiegare quale fosse il sistema di punteggio del tennis e le regole del gioco, perché nessuno di loro ne aveva idea. La WTA mantiene quella mentalità di chi deve lottare per avere una qualche copertura mediatica: mi è stato riportato da diversi colleghi che sono stati avvicinati lo scorso anno a Madrid da un rappresentante della WTA, chiedendo se fossero interessati ad una intervista ‘one-to-one’ con Serena Williams, perché nessuno aveva chiesto di parlare con la campionessa americana dopo il suo match e quindi era disponibile per un’intervista esclusiva. Proprio non riesco ad immaginare una cosa del genere da parte dell’ATP.

Credi che questo atteggiamento dell’ATP possa essere controproducente nel lungo periodo, ora che i grandi personaggi del tennis maschile sono inevitabilmente vicini al ritiro?

Credo ci si debba porre delle domande sulla stabilità complessiva del sistema tennis. Queste richieste dell’ATP di continui aumenti di montepremi: magari sono sostenibili ora, quando si può fare affidamento sull’incredibile popolarità di Roger, Rafa e Nole, ma si tratta di una politica sostenibile nel lungo periodo? Non lo so.

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