WTA, non si ritirano solo le stelle - Pagina 4 di 4

Al femminile

WTA, non si ritirano solo le stelle

Da Klara Koukalova a Sofia Arvidsson, da Nicole Vaidisova a Mathilde Johansson, nel 2016 giocatrici di diverso livello hanno deciso di ritirarsi: ecco perché le loro storie meritano di essere ricordate

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Klara Koukalova
Koukalova ha comunicato il ritiro con un annuncio su facebook del 26 settembre, ponendo fine a una carriera di grande regolarità ad alti livelli: sistematicamente fra le prime cento del mondo dal 2003 sino alla metà del 2015 (se non per una piccola interruzione a causa di una operazione alla spalla), sette anni tra le prime cinquanta e un best ranking da numero 20 nel 2013.

Personalmente ho sempre accostato Klara ad altre due giocatrici per ragioni anagrafiche. Infatti Koukalova è nata il 24 febbraio del 1982; il giorno successivo, il 25 febbraio 1982, è nata Flavia Pennetta e il 26 febbraio, sempre del 1982, è nata Li Na. Non so quanti altri casi si abbiano di tre giocatrici così forti nate a distanza di ventiquattro ore l’una dall’altra.
Forse anche per questo di Koukalova ricordo alcune sue grande prestazioni proprio contro le due coetanee. In particolare una “stesa” rifilata a Pennetta a Wimbledon 2012 (6-2, 6-3) in cui Flavia faticò a toccare palla, e due grandissimi match persi contro Li Na: un memorabile 4-6, 6-0, 8-6 a Wimbledon 2013 e la finale di Shenzen dello stesso anno, persa 6-3, 1-6, 7-5.

Alta 1,66, quasi minuta, ma dotata di un timing superiore, quando era in forma era capace di appoggiarsi alla palla dell’avversaria per spingere ulteriormente: in questo modo produceva colpi di una velocità eccezionale per una tennista del suo fisico. Il suo problema era il servizio non proprio irresistibile (una anomalia per la scuola ceca), che tuttavia non le ha impedito di vincere tre tornei WTA (battendo in finale Safarova, Srebotnik e Muguruza). Le rimangono però i rimpianti per le 12 finali perse.

Koukalova ha uno strano record negativo: in dodici partecipazioni agli US Open non è mai riuscita a vincere un match nel tabellone principale. In compenso vanta quarti turni a Wimbledon, Roland Garros e un esordio con il botto nel 2003 agli Australian Open, quando da qualificata superò Sharapova (che però era anche lei una giovanissima qualificata) e soprattutto la testa di serie numero 7 Monica Seles (6-7, 7-5, 6-3).
Ma credo vada ricordato almeno un altro match negli Slam, la sconfitta al quarto turno contro Sharapova per 6-2, 6-7, 6-4 al Roland Garros 2012. Una partita giocata da Koukalova ad altissimi livelli, con tanto di diatriba tra Sharapova e la giudice di sedia durante il tiebreak. Ricordo che in quella edizione Maria vinse il torneo (ottenendo il Career Grand Slam) battendo tutte le altre sei avversarie per due set a zero, con nessuna in grado di andare oltre il 6-3 nel migliore dei casi.

Nel 2015 erano riemersi guai alla spalla già operata, a causa della lacerazione di un tendine dell’articolazione; nel tentativo di attenuare il problema aveva anche cambiato racchetta, ma i dolori avevano cominciato a limitarla, e si era fatta sempre più concreta la prospettiva di dover intervenire chirurgicamente per la seconda volta. Una ragione in più per smettere, a 34 anni compiuti; due anni dopo Li Na, e un anno dopo Flavia Pennetta.

Dopo il suo ritiro ha concesso una lunga intervista nella quale ha detto diverse cose interessanti. Purtroppo la gran parte delle affermazioni è stata sovrastata dal clamore suscitato dalle sue opinioni sulla WADA, Sharapova e Serena; opinioni che qui non ripeto perché sono già state ampiamente riportate altrove: per questa volta vorrei ricordare gli aspetti forse meno eclatanti e più privati che ha raccontato, e che però dicono qualcosa di più su di lei, ma anche sull’evoluzione del tennis in generale.

Una prima questione riguarda il suo atteggiamento in campo: infatti era difficile non rimanere colpiti dalla assoluta serietà che mostrava durante i match; nelle molte partite in cui l’ho seguita non l’ho mai (e sottolineo mai) vista sorridere o lasciarsi andare a un segno di soddisfazione di qualsiasi genere.
Evidentemente questo aspetto ha colpito anche l’intervistatore, che le chiede:
“Hai detto che secondo te i bambini dovrebbero accostarsi al tennis pensando soprattutto a divertirsi. Sembra un po’ un paradosso, visto che in campo sembravi avere un atteggiamento molto serio, quasi severo”.
Klara risponde: “È vero, un sacco di gente me lo ha fatto notare. Ma in realtà in campo io indossavo una specie di maschera, che nascondeva quanto intimamente mi divertissi. Chi mi conosce sa che ho un carattere particolarmente sensibile e non ho mai vissuto il tennis con distacco”.

“Com’era la vita nel circuito WTA?”
“Mi piaceva. È un po’ come stare in un circo itinerante. Sei come in una bolla che si muove in giro per il mondo, con sempre le stesse facce e persone, e negli stessi tornei”.

“Il lato peggiore?”
“I continui spostamenti, e soprattutto la solitudine; stare attaccati al telefono”.

“Il tuo matrimonio con il calciatore Zakopalov non ha funzionato. Ti rimproveri di esserti sposata durante la carriera?”
“No, anche se oggi mi chiedo perché mi sono sposata così presto. Ma non abbiamo avuto figli, e dunque la separazione non è stata certo una tragedia”.

Per concludere alcuni aspetti più strettamente tennistici.

“Essere alta solo 1,66 è un limite?”
“Credo di sì. È un fatto che essere alte determini lo stile di gioco. Oltre il metro e ottanta si è avvantaggiate nel servire, e oggi la tendenza è scegliere questo tipo di corporatura. Quando ho iniziato io, negli spogliatoi come statura ero nella media delle giocatrici, e non c’era praticamente nessuna che servisse come Pliskova o Keys. Questa è la nuova generazione”.

“La cosa più bella del tennis?”
“La sensazione della vittoria. E quando ci si allena, vedere improvvisamente che tutto funziona”.

“Non è troppo presto il ritiro a 34 anni?”
“Ad un certo punto hai bisogno di trovare un significato nella vita, perché fino ad ora il tennis era tutto. È stata una vita bella, ma sono contenta di provare l’esperienza di qualcosa di diverso”.

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