Wozniacki e Halep, destini incrociati - Pagina 2 di 3

Al femminile

Wozniacki e Halep, destini incrociati

Nella finale di Melbourne Caroline e Simona si sono trovate di fronte a uno spartiacque decisivo per la loro carriera

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I limiti di Caroline Wozniacki
Forse sembrerà ingeneroso parlare di limiti proprio oggi, quando finalmente Wozniacki è riuscita a coronare il sogno di una carriera. Nel giro di qualche mese Caroline ha vinto un Masters e uno Slam, modificando in modo significativo la sua figura nella storia del tennis degli ultimi anni. Non più regina senza corona, ma recente “maestra” a Singapore e ora anche titolata Slam a Melbourne. Eppure penso che anche nel torneo per lei più di successo siano emersi alcuni limiti significativi.

Ricordo che Caroline in Australia ha avuto in sorte di un tabellone non impossibile, ma ugualmente ha rischiato moltissimo al secondo turno contro la numero 119 del ranking Jana Fett, che è arrivata ad avere due match point (era avanti 5-1, 40-15 nel terzo set). Ha trovato in semifinale un’avversaria non irresistibile come Elise Mertens, ma al momento di chiudere un match che non le aveva proposto particolari problemi ha tremato: sul 6-3, 5-4 ha affrontato il game con paura, commettendo due doppi falli e finendo per rimettere in corsa l’avversaria, sino a dover fronteggiare due set point sul 5-6. Ma qui è stata davvero brava a salvarsi, con due vincenti, e poi a riprendersi nel tiebreak del secondo set (6-3, 7-6). E questo le ha permesso di arrivare più fresca di Simona Halep in finale.

In generale penso che la Wozniacki di Melbourne 2018 sia stata meno efficace di quella di Singapore 2017, a partire da un servizio poco incisivo nella prima e in alcuni momenti titubante nella seconda. In finale ha giocato all’altezza di una vincitrice Slam nel primo set, poi la vicinanza al traguardo storico l’ha portata a irrigidirsi, e per avere la meglio ha avuto bisogno anche di una mano dall’avversaria, che prima di arrendersi era arrivata a condurre nel set finale per 4-3 e servizio. E per portare a casa i punti decisivi Caroline ha assecondato la sua indole profonda, facendo ricorso soprattutto alle doti difensive; doti che in passato contro avversarie più aggressive si erano rivelate insufficienti.

Sono però bastate in questo 2018, e così si è tolta una enorme soddisfazione, a coronamento di una carriera che l’ha portata ad essere, dopo tanti anni di circuito, probabilmente la tennista fisicamente meglio preparata di tutte. E se per raggiungere certe performance atletiche occorrono qualità innate, senza l’allenamento e l’applicazione certo non si riescono a sviluppare e mantenere così a lungo. Dunque la dedizione, la costanza e la professionalità sono state premiate.

E forse non è un caso che Caroline abbia raggiunto i maggiori traguardi quando ha smesso di cercare una alternativa tecnica al padre, che da sempre le fa da allenatore. Ricordo che in passato aveva provato a lavorare con coach differenti, che affiancassero (o sostituissero) papà Piotr. E così aveva iniziato ad allenarsi con Sven Groeneveld, Michael Mortensen, Ricardo Sanchez, David Kotyza. Tutte collaborazioni durate al massimo qualche mese. Caroline sembrava insoddisfatta del padre, ma ugualmente incapace di trovare soluzioni diverse, adatte a lei.

Alla fine, dopo avere attraversato periodi di crisi, credo abbia valutato che lavorare con il padre risulti comunque la scelta migliore. In un articolo di un anno e mezzo fa (dal titolo “Lettera a me stessa più giovane”) Wozniacki ha reso omaggio a questo rapporto, descrivendo il legame con i genitori attraverso parole di profondo amore e riconoscenza. Magari sbaglio, ma la mia sensazione è che il rapporto con il padre sia diventato più solido e “pacificato” nel momento della maturità caratteriale di Caroline. Passati i venticinque anni, ormai si sente una adulta autonoma; e da adulta autonoma non sente più la necessità di emanciparsi dal padre. E a questo punto, visti i risultati ottenuti, non penso cercherà ancora un allenatore diverso.

a pagina 3: Simona Halep

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