Lea Pericoli: “Io, divina malgrado i maestri” (G. Mura, Repubblica) - Pagina 2 di 2

Rassegna stampa

Lea Pericoli: “Io, divina malgrado i maestri” (G. Mura, Repubblica)

Gianni Mura su Repubblica traccia uno splendido ritratto di Lea Pericoli, lasciando che a descriversi sia lei. Tennista incompiuta ma simbolo di un’era diversa, più leggera, oggi quasi dimenticata

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Collins, una laureata da sballo (Roberto Zanni, Corriere dello Sport)
Walter, il padre, era un pescatore. Oggi, a 80 anni, fa ancora dei lavoretti in giro per St Petersburg, in Florida, ma da giardiniere. «Non provengo da una famiglia ricca – ha raccontato Danielle Collins -: da piccola non stavo certo tutti i giorni al country club a giocare a tennis». Però la racchetta ha cominciato a usarla da quando aveva 3 anni; poi, diventata grande, si è trasformata in una di quelle ragazzine che nei campi pubblici chiedono a chiunque passi da lì se vuole giocare. Due anni fa la laurea (“media studies”: comunicazione) alla University of Virginia, con la racchetta sempre dietro però: due volte campionessa NCAA (2014 e 2016) e, nonostante abbia già compiuto 24 anni, mai nella top 100 della WTA. A inizio anno dopo era 167 e da lunedì prossimo sarà almeno 53 (in nottata ha disputato la semifinale del Miami Open con la Ostapenko, in caso di vittoria potrebbe arrivare tra le prime 50). Una breve e oscura carriera da pro iniziata nel 2016, col successo più esaltante l’altra settimana a Indian Wells (uscita al quarto turno) contro Madison Key. Poi mercoledì sera l’exploit: prima tennista proveniente dalle qualificazioni ad arrivare in semifinale, con una vittoria da ricordare per sempre. Quella contro Venus Williams, n. 8 del tabellone, spazzata via, 6-2, 6-3. «Quando ho visto Venus negli spogliatoi – ha raccontato Collins – quasi mi mettevo a piangere. È stata sempre il mio idolo, fin da piccola. Crescendo e guardando le sorelle Williams, mi potevo relazionare con loro e la loro educazione: anche la mia non è stata facile». Ma la sua forza è anche se non soprattutto mentale. «Se non sfondo con la racchetta non ci sono problemi: ho una laurea, posso trovare subito un ottimo impiego».
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Dai campetti al paradiso. Collins, dottoressa d’America (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)
La vita è un sogno o i sogni aiutano a vivere meglio? Lei si chiama Danielle Rose, di cognome fa Collins, è bella, bionda e laureata. Dopo il dottorato in Comunicazione, ha deciso di sposare il primo grande amore, il tennis, e d’improvviso si è ritrovata a sbocciare come la primavera. Stanotte è scesa in campo nella semifinale di Miami contro la Ostapenko, prima giocatrice della storia ad arrivare così lontano nel Premier della Florida partendo dalle qualificazioni e intanto in tre mesi ha guadagnato più soldi dell’intera carriera fin qui. A gennaio, la ragazza di casa non ha ancora vinto una partita Wta e dal numero 160 di inizio anno sembra destinata alla solita trafila dei tornei minori. E invece, grazie alle Oracle Series, un minicircuito che precede i grandi appuntamenti sul cemento americano, si guadagna una wild card per Indian Wells grazie al successo di Newport Beach e non si lascia scappare l’opportunità. In California per la prima volta batte una top 20 (la Keys) ed esce solo agli ottavi, poi sull’abbrivio si qualifica per Miami e continua a sedersi in paradiso, superando un altra top 20, la Vandeweghe e poi surclassando nei quarti, mercoledì notte, l’idolo d’infanzia Venus Williams, sepolta certamente da un po’ di stanchezza ma soprattutto dai vincenti di Danielle, una per la quale nessun punto è perso in partenza: «Quando l’ho incrociata negli spogliatoi prima del match, mi è scappata una lacrima: Venus è sempre stata la mia giocatrice modello, quella a cui mi sono sempre ispirata». Se la Collins si posiziona sulla mappa dello sport che conta ben oltre i vent’anni (ne ha fatti 23 a dicembre), è solo perché si è data delle priorità in ogni momento della sua crescita di donna e di atleta. Comincia da bambina con racchetta, calcio e ginnastica, ma quando un compagno di scuola continua a presentarsi ogni lunedì con una coppa diversa vinta nelle competizioni tennistiche del circondario, lei accetta i suggerimenti del padre: «Se diventerai una campionessa, ne avrai più di lui». Il problema è che in casa non sono così ricchi da permetterle l’iscrizione ai club, e così la piccola si fa le ossa sui campi pubblici dei parchi di Tampa: «Giocavo mentre mia madre faceva footing lì attorno, se i campi non erano liberi colpivo la palla contro il muro». A otto anni, diventa la fidata compagna di doppio di un paio di ottantenni ammirati dal suo stile, a 12 si è già guadagnata il rispetto di marpioni quarantenni che, testuali parole sue, «non vedevano l’ora di prendermi a calci del sedere, sportivamente parlando: ma ho imparato tantissimo». Intanto, scala le classifiche giovanili americane e vince i campionati nazionali under 12 battendo Cammie Gray, battezzata come la nuova Sharapova: «Dopo quella partita, ho detto ai miei genitori che avrei potuto diventare io la nuova Maria». E così chiede di poter studiare da casa per dedicarsi agli allenamenti, è la miglior under 16 del paese ma non ha i soldi per riuscire a fare esperienza nei tornei juniores di tutto il mondo e così sceglie l’Università, prima Florida e poi Virginia, dove diventa per due volte (2014 e 2016) campionessa Ncaa: «Una borsa di studio valeva più di 50.000 dollari all’anno, quindi nel complesso sarebbero stati più di 250.000. Non volevo essere soltanto una giocatrice, ma il mio obiettivo era prepararmi per il mondo e non dipendere soltanto dalla racchetta». Non è un talento naturale, ma possiede un gioco completo e vario, anche con tagli sconosciuti a molte colleghe; soprattutto, sa stare in campo e ha un’attitudine vincente: «L’ho imparato in posti dove non c’è nessuno a vederti. Viaggi, poi torni a casa con 180 dollari in tasca, l’anno scorso mi è capitato 6-7 volte, non è una bella sensazione, ma bisogna pensare che fa parte del percorso». Buon viaggio, Dottoressa Collins.
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Delpo semifinale, Azarenka out, Stephens avanti (Federica Cocchi, La Gazzetta dello Sport)

Ciondola, sbuffa, si accascia, fatica. Poi vince. Juan Martin del Potro, ha battuto Milos Raonic ai quarti di Miami e oggi in semifinale affronterà un altro gigante, John Isner. Dopo il successo di Indian Wells, dove ha battuto Roger Federer al tie break del terzo set, è ancora una volta il tie break a regalare una gioia all’argentino a caccia del secondo titolo Masters 1000 della carriera dopo mille problemi e operazioni al polso destro che lo avevano visto sprofondare oltre il millesimo posto in classifica. «Adoro giocare questi match — ha detto Del Potro dopo aver battuto il canadese — la differenza tra noi forse è stata nei tie break dove ho giocato un po’ meglio. Però sono molto stanco». Tanto che alla fine del primo set ha dovuto chiamare il terapista gettando nello sconforto i tanti tifosi argentini che sperano nel Sunshine Double, la doppietta sul cemento americano. E facendo anche irritare Goran Ivanisevic, nuovo coach di Raonic che dopo la partita si è lamentato: «Del Potro è un maestro della sceneggiata. Fa finta di essere mezzo morto, di essere infortunato. Lo ha già fatto con Milos a Indian Wells». Sarà un problema di John Isner che ha annientato Hyeon Chung ai quarti in due set: «Delpo sta giocando forse il miglior tennis della sua carriera — ha detto John — e io dovrò salire ancora di livello per batterlo». La mancanza di match e di continuità e un affaticamento muscolare sul finale, sono stati fatali a Vika Azarenka, al rientro sul circuito dopo le difficoltà della causa per l’affidamento del figlio. La bielorussa, dopo aver vinto il primo set ha ceduto alla rimonta della Stephens che si giocherà il titolo. La campionessa degli Us Open 2017 aveva iniziato male il 2018, ma a Miami ha trovato il ritmo giusto. Agli ottavi Sloane aveva eliminato Garbine Muguruza, che ha annunciato la fine della collaborazione con Conchita Martinez con cui aveva centrato Wimbledon.

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