Verso la finale: attenta Osta, Stephens non ne perde una (o quasi)

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Verso la finale: attenta Osta, Stephens non ne perde una (o quasi)

Sfida inedita e prima finale in stagione per entrambe. Stephens ha un notevole cinque su cinque nel circuito maggiore: l’unica macchia è datata 2010, in un torneino… a Caserta

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La finale femminile del Miami Open 2018 si disputerà tra Sloane Stephens e Jelena Ostapenko. Stiamo parlando di due delle ultime quattro vincitrici Slam, segno che se la WTA è priva di una vera dominatrice non è completamente in balia degli eventi come qualcuno potrebbe supporre. Entrambe hanno ritrovato in Florida lo smalto smarrito negli ultimi mesi, soprattutto dalla statunitense che dopo la sorprendente affermazione a Flushing Meadows aveva inanellato una serie di otto sconfitte consecutive. In conferenza stampa dopo la vittoria in rimonta contro Vika Azarenka, Sloane ha ammesso di aver vissuto con estrema tranquillità il periodo difficile, sicura che prima o poi sarebbe tornata a esprimersi su livelli a lei più consoni.

Non è scattato alcun ‘clic’ particolare, avevo soltanto bisogno di tempo per rimettere insieme i pezzi. Come ho detto alla fine della scorsa stagione ho ‘dovuto’ giocare, ma se il mio cuore era in campo non posso dire lo stesso del mio corpo. Ho pensato che la cosa più importante fosse riacquistare la forma migliore, assicurarmi di non avere più dolore e prendermi cura di me stessa. Non ho affrontato alla grande l’off-season quindi le due partite perse in Australia a gennaio non sono state un grosso problema per me. Quando non sei al 100% non puoi aspettarti troppo. Ora che le cose sono tornate a posto stanno arrivando degli ottimi risultati. Ho ritrovato la mia routine: mi sveglio, faccio e colazione e leggo le notizie. Faccio una vita normale, invece quando ti succedono troppe cose (il riferimento al trionfo di New York è chiaro, ndr) capita di uscire un po’ dagli schemi e questo ti scombina un po’”.

Sloane Stephens (credit to @MiamiOpen)

Stupisce la rinnovata calma olimpica di Stephens, dote elettiva per resistere all’iniziale pressing di Azarenka, approfittare del suo calo atletico e conquistare una meritata finale: neanche il toilet break di Vika – ‘Mi interessa solo quello che avviene nella mia metà del campo‘ – ha avuto effetto nel distrarla. Tra il secondo e il terzo set le telecamere l’hanno sorpresa in un rituale di movimenti quasi ipnotici, che lei ha spiegato così: “Stavo semplicemente pensando a cosa fare nel terzo set: vincere, ovviamente, continuando a giocare come nel secondo parziale. Dovevo ricordare a me stessa le cose da fare“. Un po’ di farina appartiene anche al sacco del giovane coach 37enne Kamau Murray, che spesso la inonda di consigli tattici tra i quali si nasconde la chiave per rimettere in piedi le partite. Bisogna però saper attingere, poiché non c’è tempo e lucidità per eseguire ogni dettame. “Sì, è molto difficile quando ci sono così tante cose da ascoltare, ma penso che lui voglia semplicemente ricordarmi tutto quello che devo fare. La mia reazione è ‘okay, devo fare questo, devo fare quest’altro’. Dopo averlo ascoltato penso ‘okay, ha senso. Non sto giocando male’. In un certo senso mi rilassa, è… un promemoria amichevole“.

 

Per curiosa coincidenza, l’ultima conferenza di Jelena Ostapenko si è annodata sullo stesso argomento. Come riesce la 20enne lettone ad assorbire in appena due minuti il profluvio di segnalazioni proveniente dal suo allenatore Dave Taylor, spesso pesantemente focalizzate sugli aspetti tattici della partita?Provo semplicemente ad ascoltarlo e riportare tutto sul campo. Per esempio, oggi (si parla della semifinale contro Collins, ndr) è stato molto positivo. Non mi ha detto nulla di negativo, era molto contento del mio gioco. A volte lo chiamo solo per vedere cos’ha da dirmi“. Per contestualizzare meglio quanto la risposta apparentemente simile di Jelena si discosti da quella di Sloane, basta riportare alla mente qualche episodio della sua pur giovane carriera. Più emblematico di tutti il burrascoso coaching del settembre 2017 a Wuhan, quando sulla panchina di Ostapenko sedeva ancora Anabel Medina Garrigues: venti secondi scarsi di monologo sono sufficienti a Jelena per rispedire la sua allenatrice sugli spalti. Domare le belvetta – a volte silente – che abita nel corpo di Ostapenko non deve essere facile, ma qui a Miami tutto sta funzionando alla perfezione e un set perso in finale sarebbe il primo dell’intero torneo.

Cos’altro hanno in comune Jelena e Sloane, oltre ai coach così meticolosi e al fatto di aver ricevuto una cura ‘rivitalizzante’ dall’aria di Miami? Hanno entrambe vinto il primo e unico Slam nel 2017, senza che fosse possibile prevederlo. Sloane aveva raccontato a Indian Wells cosa può comportare una vittoria così prestigiosa, con Jelena sono stati in molti a provarci in questi giorni ma tutto quello che sono riusciti a estorcerle è: “Nei grandi tornei sono tutti più carini con me e ho dei vantaggi, tipo… i bye“.

MA QUINDI, CHI VINCE?

L’incrocio tra le due è interessante, non solo perché si tratta di una sfida inedita. Pur con i quattro anni di differenza che non sono affatto pochi, è rintracciabile in entrambe una certa tendenza a imbroccare settimane grandiose e ammucchiarne altre piene di pasticci. Il fatto che qui a Miami entrambe sembrino tirate a lucido aumenta l’interesse.

Il bilancio delle finali disputate in carriera sorride nettamente alla statunitense. Ostapenko ha dovuto perdere le prime tre (Quebec City 2015, Doha 2016 e Charleston 2017) prima di imporsi al Roland Garros e a Seoul, dunque le sconfitte superano le vittorie (2-3); Stephens in finale invece è una macchina da guerra, ne ha giocate cinque e le ha vinte tutte fino all’apice di Flushing Meadows, e per di più ha perso un solo set (Acapulco 2016, contro Cibulkova). Scavando negli anfratti dei tornei di minor rilievo esiste però una delusione per Stephens e risale al 2010, nella finale di un torneo da 25000 dollari ospitato dai campi in terra rossa del Circolo Tennis Club Caserta. In quell’occasione si è dovuta arrendere a Romina Oprandi, all’epoca ancora italiana prima di scegliere la nazionalità (tennistica) svizzera. La kryptonite di Stephens è quindi l’Italia? Nemmeno, poiché nel 2011 ha portato a casa un 50K a Reggio Emilia. Così come Ostapenko ha vinto, quasi 17enne, tre ITF in fila nell’aprile 2014 a Santa Margherita di Pula.

Tutto questo pigro sgocciolare di numeri per aggirare l’ostacolo del pronostico, faccenda quantomai ingarbugliata. Una cosa si può azzardare: dipenderà più dal rendimento di Ostapenko. Non esiste reale contrapposizione a un suo ipotetico bombardamento in stile Roland Garros – non l’aviatore, che pure nella Grande Guerra fu foriero di sventure per certi aerei tedeschi – che dovesse durare due ore o più, sebbene la copertura del campo di Stephens sia mirabile. Le finali però sono i filtri di ogni scoria accumulata durante il torneo, e nell’ipotesi che Ostapenko dovesse andare fuori asse come a volte le capita appena imbraccia il cannone, ecco che la maggiore completezza di Stephens potrebbe venire fuori in modo decisivo. Con entrambe al 100% prendiamo Ostapenko, con entrambe un po’ al di sotto Stephens si lascia preferire. Sempre che non decidano di spostarla sul neutro di Caserta.

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evidenza

Roland Garros: semaforo rosso per Jasmine Paolini, perde in due set con Olga Danilovic

L’azzurra era 5-1 nel secondo ma viene sconfitta dall’ottima serba Olga Danilovic. A rappresentare l’Italia nel tabellone femminile rimane solo Elisabetta Cocciaretto

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Jasmine Paolini - Roland Garros 2023 (foto Roberto dell'Olivo)

O. Danilovic b. J. Paolini 6-2, 7-5

Semaforo rosso per Jasmine Paolini eliminata in due set da Olga Danilovic con il punteggio di 6-2, 7-5 in un’ora e 36′. Dopo aver vinto il trofeo di Firenze ed eguagliato il suo miglior risultato negli Slam, la lucchese subisce la giornata di grazia della sua avversaria. Gara decisa dai colpi della serba che ha fatto il bello e il cattivo tempo. La toscana ripenserà a lungo a quel turno di battuta sul 5-1 che, invece, di catapultarla al terzo set, l’ha portata lentamente fuori dal Roland Garros. Nel tabellone femminile rimane la sola Elisabetta Cocciaretto a rappresentare i colori italiani; mentre Danilovic è la prima tennista serba a raggiungere il terzo turno parigino da Ana Ivanovic nel 2016.

I presupposti per fare gara pari c’erano tutti, ma è stata brava la n. 105 del ranking a comandare gli scambi e a trovare 22 vincenti a fronte dei 6 dell’azzurra.

 

Sarà una questione di genetica, ma anche il padre, Sasha Danilovic, in questo periodo era ancora più letale del resto dell’anno. Come in quel 31 maggio di 25 anni fa, decise un derby scudetto di basket tra la sua amata Virtus e la Fortitudo con un famoso tiro da “quattro punti” (canestro da tre più tiro libero) che diede altra inerzia a quella serata bolognese.

Come un “tiro da quattro punti”, il dritto di sua figlia Olga, la sua tenacia e anche la capacità di chiedere sempre di più a sè stessa hanno messo in campo delle qualità che hanno fatto soffrire Paolini.

Primo set a senso unico con l’azzurra sempre in difficoltà sui suoi turni di battuta, per merito della risposta di Danilovic che sin dal primo colpo ha cercato di mettere in difficoltà l’avversaria. A fronte del 72% di prime palle messe in campo, porta a casa solo il 50% dei punti. Sfumate due palle break nel primo gioco, la serba trova nel quarto gioco il break decisivo nell’economia del primo set. Ne arriva un altro anche nell’ottavo gioco e gli applausi sono tutti per lei.

Nel secondo set, comincia malissimo la serba che sbaglia tantissimo e rimette in gioco la sua avversaria. A dispetto di quanto visto nel primo set, le urla del secondo parziale sono di una giocatrice che cerca di scuotersi. Paolini ne approfitta e vola via sul 5-1, limitando gli errori. Da fondo campo la classe 2001 torna a trovare vincenti importanti che lentamente torna a sbagliare meno e a far male con i suoi colpi. A due punti dal secondo set, Paolini sbaglia due colpi e alimenta il ciclone Danilovic che infila un parziale di 10-1 per ritrovare la parità. Altre tre chances, la toscana le ha nell’undicesimo game, ma anche qui col servizio la serba si aiuta a salire 6-5. L’ultimo sforzo, vede Paolini protesa a cancellare il primo di due matchpoint, ma sulla spinta della serba può davvero poco. Ora per Danilovic c’è Ons Jabeur.

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Al Roland Garros Sabalenka messa alle strette sulla guerra in Ucraina. Ecco la sua (non) risposta

Le tenniste ucraine non le stringono la mano, i giornalisti ucraini la incalzano in conferenza. Gli influssi negativi della guerra sulla numero due del mondo

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Aryna Sabalenka - Roland Garros 2023 (foto Roberto dell'Olivo)
Aryna Sabalenka - Roland Garros 2023 (foto Roberto dell'Olivo)

C’è chi pensa che basterebbe un gesto, una stretta di mano tra atleti ucraini e russi per cominciare ad allontanare i venti di guerra. Ma, fin qui, al dolore e alla disperazione, fa seguito tanta distanza e gelo tra le atlete in campo. Siamo lontani da Città del Messico, quando nel 1986, durante la cerimonia di premiazione per la finale olimpica dei 200 metri, Tommie Smith e John Carlos sul podio alzarono il pugno in segno di protesta. Dietro quel gesto c’è la battaglia per i diritti civili degli afroamericani, la stessa che va in scena oggi dalla costa Est a quella Ovest degli Stati Uniti dopo la morte di George Floyd. Quando si parla di conflitto Ucraina-Russia nel mondo del tennis è spesso Aryna Sabalenka a finire al centro dell’attenzione. La sua presunta amicizia con il presidente della Bielorussia, Alexander Lukashenko (o quantomeno, sembra appurato che il dittatore stimi particolarmente questa atleta), la porta ad esser vista male e con disprezzo dalle colleghe ucraine, malgrado Aryna abbia sempre sostenuto – in termini generali – di essere contro la guerra. Vincitrice degli Australian Open 2023, bandita dall’edizione 2022 di Wimbledon, nel primo turno ha nuovamente incrociato i colori gialloblu dell’Ucraina: Marta Kostyuk a fine gara ha filato dritto senza incrociare né lo sguardo di Aryna né le sue mani. Parlandone in conferenza stampa aveva dichiarato: “Posso farci poco se non vuole stringere la mano, probabilmente è qualcosa che la fa sentire meglio, anche in relazione a quanto fatto dai suoi connazionali. Credo che la politica non dovrebbe mischiarsi con lo sport, ma io non ho potere in questo“.

La guerra in Ucraina ha tenuto banco anche nella conferenza stampa tenutasi al termine della vittoria di Sabalenka sulla connazionale Iryna Shymanovich nel secondo turno del Roland Garros. Un giornalista ucraino l’ha incalzata sui temi della guerra, rinfacciandole un presunto sostegno a Lukashenko e chiedendole di condannare esplicitamente l’invasione di Russia e Bielorussia ai danni dell’Ucraina. La n. 2 del ranking non ha rilasciato dichiarazioni, dicendo ripetutamente: “Non ho commenti per te, grazie per la domanda”, mentre si è espressa sul modo in cui il mondo dei social, per quanto le riguarda, è cambiato negli ultimi sedici mesi, da quando, cioè, è cominciato il conflitto. “E’ ​​stata davvero dura. Quando la guerra è iniziata, ovviamente, ho raccolto molto odio. Sto cercando di stare lontana dal lato negativo dei social network e mi sto concentrando sulle persone che sono veramente interessate alla mia vita, alla mia carriera e alla mia personalità. Ci saranno molte persone che ti odieranno e ci saranno molte persone a cui piaci, quindi mi sto concentrando sugli aspetti positivi”. Sono situazioni che di certo tolgono serenità a una tennista che di certo non può incidere sulle scelte del suo governo. Ma, dall’altro lato, il tennis ha una grande responsabilità nel promuovere e diffondere messaggi positivi: pone continuamente uno di fronte all’altro russi o bielorussi contro ucraini separate da una rete. Che basti una stretta di mano per far cambiare i venti di guerra?

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Il torneo WTA San José si trasferisce a Washington e dà vita al primo combined 500

Il WTA 500 californiano si trasferisce nella capitale: sarà il primo evento al mondo combined ATP-WTA 500

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Emma Raducanu – WTA Washington 2022 (foto via Twitter @CitiOpen)

L’ufficialità è arrivata nella giornata odierna dal sito della WTA: il torneo WTA San José è stato trasferito a Washington D.C. e si svolgerà dal 29 luglio al 6 agosto prossimo in contemporanea all’evento maschile. Diventerà così il primo combined del circuito di categoria “500” e si terrà presso il William HG Fitzgerald Tennis Center di Washington, DC’s Rock Creek Park della capitale statunitense. Il torneo si svolgeva a San José dal 2018, mentre dal 1971 (anno della fondazione da parte di Billie Jean King) fino al 2017 si è disputato a Stanford.

Queste le parole del CEO e presidente della WTA, Steve Simon: “La Bay Area ha ospitato tanti momenti indimenticabili in uno dei tornei più longevi di livello WTA. L’eredità di questo evento tanto amato continuerà a vivere nella sua nuova casa, a Washington, DC, dove sono entusiasta di vedere le stelle WTA e ATP competere insieme per la prima volta a livello 500, creando nuovi ricordi per molti altri anni venire“. Sparirà di conseguenza il WTA 250 di Washington, che si svolgeva nella stessa settimana del Citi Open maschile: quest’anno ci sarà quest’evento di categoria 500 che si chiamerà Mubadala Citi DC Open.

 

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