Stephens nella Top 10: "Sono diesel, devo prima scaldarmi" (Corriere dello Sport). Djokovic-Agassi, la coppia scoppia: "Troppi disaccordi" (Crivelli). Alex la peste (Zanni). Palmieri: "Contro la Francia alla pari. Davis malata? No, ci tengono tutti" (Paglieri)

Rassegna stampa

Stephens nella Top 10: “Sono diesel, devo prima scaldarmi” (Corriere dello Sport). Djokovic-Agassi, la coppia scoppia: “Troppi disaccordi” (Crivelli). Alex la peste (Zanni). Palmieri: “Contro la Francia alla pari. Davis malata? No, ci tengono tutti” (Paglieri)

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La Stephens nella Top-10: «Sono diesel, devo prima scaldarmi» (Corriere dello Sport)

Per Sloane Stephens una vittoria più dolce di così non poteva esserci. La prima in carriera in un Mandatory Premier, che arriva dopo il lungo digiuno seguito alla vittoria agli U.S. Open 2017 e ottenuta nel torneo di casa: vive a Fort Lauderdale ed è nata a Plantation, in Florida. Grazie a questo successo domani Sloane entrerà nella Top Ten del ranking Wta, al nono posto, traguardo mai centrato in carriera. Un primo set combattutissimo 7-6 (5) durato 56′ e un secondo dominato, 6-1 in soli 34 minuti, hanno dato la vittoria alla Stephens contro la lettone Jelena Ostapenko; con questa vittoria, la statunitense si conferma la regina delle finali: sei finora disputate e tutte vinte. E il successo di ieri la fa diventare anche la quinta tennista a stelle e strisce a trionfare a Miami dopo Martina Navratilova, Chris Evert, Venus e Serena Williams. In un primo set caratterizzato dai break, la Stephens è andata due volte a servire per il set, sul 5-4 e poi sul 6-5, ma in entrambi i casi ha subito il ritorno della lettone, che ha rimandato tutto al tie-break. Anche qui sembrava tutto facile per la statunitense: ma sul 6-2 solo al quarto set-point riusciva a sfiancare la resistenza dell’avversaria. Ed è stata poi la straordinaria abilità difensiva di Sloane a fare la differenza: insuperabile nel secondo set, capace di andare a prendere i colpi della Ostapenko (costretta a spingere, alla fine fallosissima, 48 errori non forzati) in ogni angolo del campo. Così, dopo le otto sconfitte di fila che avevano seguito il successo agli US Open, ecco che la Stephens è tornata fortissima. «All’inizio ero un po’ nervosa – ha detto raggiante la nuova campionessa di Miami – poi mi sono trovata. Un titolo stupendo arrivato dopo un inizio di stagione dove avevo accumulato un po’ di ruggine. Non mi aspettavo un successo qui, volevo solo rivedere il mio gioco». E meglio di cosi non poteva riuscirci per la gioia del suo pubblico compresi sei tifosi ognuno dei quali ha indossato una t-shirt con le lettere che formano la parola “Diesel”. «Mi chiamano così – ha concluso – non è bello?».

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Djokovic-Agassi, la coppia scoppia: «Troppi disaccordi» (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Nella scena finale di quel grandissimo film che è la Strana Coppia, i protagonisti si riappacificano, ma decidono che la loro convivenza non possa riproporsi e dunque ricominciare. Che la relazione tecnica fra Djokovic e il superconsulente Agassi (questa era la sua veste ufficiale, e solo per gli appuntamenti più importanti) fosse un ossimoro tennistico lo avevano pensato in molti fin da quei giorni di maggio dell’anno scorso in cui Novak annunciò il connubio con il Kid di Las Vegas, ma i due a parole si erano tuffati nella nuova avventura con un entusiasmo apparentemente molto convincente. E invece, dopo appena 10 mesi e un solo torneo vinto (Eastbourne), la coppia è scoppiata, al momento con una comunicazione di Agassi affidata a Espn: «Ho provato ad aiutare Novak con tutte le migliori intenzioni, ma troppo spesso ci siamo trovati in disaccordo: gli auguro il meglio e di superare questo momento». L’ultimo attrito, avrebbe riguardato la decisione del serbo di forzare i tempi e rientrare dopo l’operazione al gomito destro già nei Masters 1000 americani (in entrambi sconfitto al primo turno) anziché sulla terra. (…) Probabilmente la chimica non ha mai funzionato, sospesa tra un lavoro che Andre non ha mai sentito suo, e il momento più delicato della carriera di un campione smarrito e confuso dopo cinque anni dominati. Di fronte a un fallimento, perché alla fine di questo si è trattato, le responsabilità vanno sicuramente condivise, ma sarebbe bastato conoscere la storia dell’ex numero uno americano per comprendere le difficoltà dell’operazione. Fin dal giorno del ritiro, nel 2006, Andre aveva categoricamente escluso l’ipotesi di fare l’allenatore, e poi la biografia «Open» era stata accolta come la pietra tombale sul suo rapporto con il tennis. Ma è proprio da quelle pagine che Djokovic ha tratto ispirazione per corteggiarlo a lungo, fiducioso che l’esperienza in comune, cioè l’improvviso disamore per il proprio sport all’apice dei successi, gli avrebbe consentito di ritrovare il fuoco che aveva perso: «Mi serve qualcuno che conosca esattamente che cosa sto passando, dentro e fuori del campo — lo accolse così — e Andre ha avuto tutte queste transizioni, è stato nella mia situazione prima di giocare gli Slam». Nel frattempo, Novak ha lasciato lo storico coach Vajda e si è affidato a Stepanek, mentre i guai di salute e i risultati deludenti scavavano un solco incolmabile con Agassi, che a Melbourne in gennaio si era presentato all’ultimo e dopo un incidente sullo snowboard, non proprio il segnale di una ferrea volontà di accompagnarlo nel ritorno sul circuito. Nel 2009 Djokovic comprese che per uscire dal cono d’ombra di Federer e Nadal occorreva cambiare tutto: scelse nuovi orizzonti nella preparazione e nell’alimentazione. Chissà se a 30 anni, e con il morale sottoterra, è pronto a un’altra rivoluzione.

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Alex la peste (Roberto Zanni, Corriere dello Sport)

Lo scorso novembre Alexander Zverev ha toccato il suo punto più alto: numero 3 del ranking. Sempre nel 2017 è stato il più giovane (vent’anni), a vincere più di un Master 1000 (Roma e Montreal) dai tempi del ragazzino Djokovic. E quest’anno? Niente, fino a Miami: oggi prima finale della stagione, contro John Isner, che, se vinta, lo riporterebbe sul terzo gradino dell’Atp (quarto in caso di sconfitta) alle spalle di Rafa Nadal e Roger Federer. Zverev in questo avvio di stagione ha avuto bisogno di tempo per ritrovare il ritmo: in precedenza infatti il suo risultato migliore era stato ad Acapulco, in cui era stato strapazzato in semifinale da Juan Martin Del Potro. L’ultima finale di Zverev risale alla Rogers Cup di Montreal dell’agosto scorso, vinta contro Federer. «Sono soddisfatto di dove sono arrivato fino a questo momento – ha detto il tedesco dopo aver superato nella semi Pablo Carreño Busta 7-6 (4), 6-2 – adesso spero di poter disputare un’altra grande partita, il miglior modo per cominciare la stagione sulla terra». Zverev contr Isner non ha mai perso Zverev: 3-0 il bilancio, l’ultima sfida a Roma l’anno scorso, ma si conoscono molto bene. «Ho cominciato ad allenarmi con Isner da quando avevo 14 anni – ha raccontato il tedesco – e sono sicuro che sarà una bella partita, difficile perché affronterò un avversario che sta probabilmente esprimendo il miglior tennis della sua vita. Felice per lui perché John è uno di quelli con i quali sono cresciuto sui campi». Due giocatori potentissimi. «Mi sento super fresco» ha dichiarato Isner dopo il successo con Del Potro. Isner, 17 del ranking, domani sarà nuovamente il tennista Usa più in alto in graduatoria e se dovesse conquistare il titolo tornerebbe tra i Top Ten. Per riuscire nell’impresa dovrà combattere contro i precedenti: doppio 0-3, non solo con Zverev, ma anche in tutte le finali di Master 1000 giocate, a Indian Wells (2012 persa con Federer), Cincinnati (2013, Nadal) e Parigi (2016, Murray). Il segreto della sua rinascita dopo un inizio 2018 tanto deludente? Il titolo di doppio conquistato a Indian Wells con Jack Sock. «Era successo anche in passato – ha raccontato – tutte le volte che ho fatto bene in doppio, poi il buon momento si è trasferito nel singolare».

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Palmieri: «Contro la Francia alla pari. Davis malata? No, ci tengono tutti» (Claudio Paglieri. Il Secolo XIX)

Se qualcuno pensava che la Francia di Davis sarebbe venuta a Genova in tono minore, vista l’assenza di tre suoi big come Tsonga, Monfils e Gasquet, o appagata dalla vittoria dello scorso anno, se lo tolga dalla testa. Yannick Noah e i suoi (Pouille, Chardy, Mannarino, Herbert e Mahut) sono arrivati già ieri in Liguria, prima ancora dell’Italia, e hanno cominciato ad allenarsi sui campi del Tennis Club Genova. (…) Il capitano francese ha fascino immutato nonostante la stanchezza: «Arrivo direttamente da New York, non ho dormito» sorride a Sergio Palmieri, che fa gli onori di casa insieme al presidente dalla Fit Liguria, Andrea Fossati, saggia le condizioni del campo esterno, poi esamina quello coperto dal pallone. I francesi danno l’impressione di essere un gruppo solido, che si prepara a dare battaglia dal primo all’ultimo punto.

Palmieri, sorpreso dalle convocazioni di Noah?

Direi di no. Sapevamo che Tsonga non era in condizione, che Monfils e Gasquet avevano problemi di infortuni, c’era un piccolo dubbio su Pouille che ha saltato Miami ma alla fine Yannick ha chiamato i migliori a disposizione. La Francia ci tiene alla Davis, come noi. Noah è un bravissimo capitano, difficile che sbagli le scelte. E le nuove regole lo agevolano perché ci sono cinque giocatori utilizzabili e non più quattro, quindi non deve rinunciare a un doppista.

E il loro doppio è molto temibile…

Herbert-Mahut sono un doppio vero, la prima o seconda coppia al mondo. I nostri giocatori sono più singolaristi, ma anche Fognini e Bolelli formano un doppio forte.

Chi è più da temere tra i loro singolaristi?

Pouille è a ridosso dei primi dieci, gioca molto bene, Mannarino e Chardy hanno battuto Fognini sul cemento, ma Mannarino è più a suo agio sui campi duri. Chardy anche, perché ha gran servizio e gran dritto, ma si adatta bene alla terra. Il pronostico è davvero alla pari, perché noi giochiamo in casa e sulla terra, nostra superficie preferita. Tutti gli incontri sono giocabili.

Fognini è il nostro uomo-chiave. Deve fare due punti.

Fabio ormai è un vero uomo Davis. Vince spesso e quando perde lo fa lottando sempre fino all’ultima palla. È uno che in Davis non molla mai.

Non tutti però vivono la Davis così, e c’è la proposta di cambiarla, concentrandola in un torneo stile Mondiale a fine stagione. Che ne pensa?

Sono contrario, sarebbe un delitto. E penso che alla fine la riforma non passerà. Il bello della Davis è giocare in casa, o in trasferta, ma sempre con una certa atmosfera. Giocare in sede unica a Singapore o Dubai tutte le partite non mi piace… Italia-Francia a chi interesserebbe?

Ma sarebbe un modo per riportare in Davis i migliori giocatori, che spesso la snobbano.

Se guardiamo questi quarti di finale, i migliori ci sono tutti. Nadal per la Spagna, Zverev per la Germania, gli americani… è vero che la Davis ha dei problemi, ma si possono risolvere. In primo luogo la Itf dovrebbe aumentare il montepremi, che è ridicolo rispetto a quelli dei tornei Atp. Poi bisognerebbe ristudiare i calendari. Noi comunque, da vent’anni, mettiamo sempre in campo l’Italia migliore.

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