Ritorni vicini e lontani: Wawrinka punta Madrid, Murray telefona a Nadal

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Ritorni vicini e lontani: Wawrinka punta Madrid, Murray telefona a Nadal

Wawrinka torna a ruggire, anche se è solo un’intervista. Quasi certamente lo rivedremo a Madrid. Murray lavoro sodo e chiede aiuto al maestro del comeback

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C’è un po’ di magone, è chiaro. Anche per i media, che hanno la pelle indurita da anni di conferenze funeree e annunci di gravi infortuni a danno di atleti ai quali di fatto si deve il mestiere. Insomma pensare che Stan Wawrinka e Andy Murray, gente capace di vincere Slam e di altre cose assai belle sui campi da tennis, siano in infermeria a combattere con un ginocchio malconcio l’uno e a tentare di ricostruire la complessa tenuta muscolare della zona dell’anca l’altro, mette un’invariabile tristezza.

IL PUNTO SU STAN

A lenire un po’ gli effetti dell’assenza di Wawrinka arriva una bella intervista rilasciata in quel di Montecarlo a ‘Le Temps‘, nella quale la parola Madrid viene impugnata solo dall’intervistatore e mai direttamente affermata dallo svizzero, sebbene ogni indizio lasci credere che il suo ritorno in campo avverrà proprio alla Caja Magica, dopo che l’infausto trittico Sofia-Rotterdam-Marsiglia ci ha consegnato uno Stan ‘minore o uguale’ di quello aveva tristemente abbandonato Melbourne. “Il mio obiettivo è tornare al 100% – dirà poi che non se ne pone mai di specifici -, al massimo delle possibilità. Se ci vorrà un mese o sei mesi? Questo sicuramente sarà un anno di transizione e la mia speranza è incrementare il livello fino a ritrovare buone sensazioni a fine stagione, magari mettendo in fila qualche vittoria. Vorrei poter dire ‘non importa la classifica, ora sono al top della forma e posso guardare al 2019 con fiducia’. È questo il piano, ma so che quest’anno dovrà passare attraverso alti e bassi“. Che stia programmando davvero una risalita lo conferma il fatto che si sta guardando attorno per ingaggiare un coach, del quale è sfornito; Stan, al momento, si avvale dell’aiuto del preparatore Paganini e di Yannick Fattebert, che ha tamponato l’addio di Norman.

Lo svizzero non rimpiange la scelta di aver giocato l’Australian Open, sebbene a posteriori sia apparsa ai più avventata, perché ‘dal punto di vista clinico era importante vedere come avrebbe reagito il ginocchio in una situazione di gioco‘; allo stesso tempo non nega lo sconforto provocato da una convalescenza nel corso della quale ‘per ogni ora di allenamento ce ne sono due di riposo‘, una situazione di stallo che può provocare crisi d’astinenza nel corpo di chi per vincere i suoi Slam è stato capace di mettere con le spalle al muro prima Nadal e poi Djokovic, due volte. “A volte mi sono chiesto se avessi la pazienza per andare avanti. In quei momenti, però, subentra la voglia di rivivere le emozioni di una partita vera. Ho vissuto momenti incredibili e vinto grandi tornei, quella sensazione, il pubblico, la necessità di trovare un modo di superare l’avversario, sono tutte cose che mi inebriano”.

L’orgoglio del campione emerge anche quando si parla di quello che accade in sua assenza: “Mi sono reso conto del mio peso nel circuito. E meno male che Federer e Nadal dovevano essere spazzati via! A parte l’Australian Open vinto da Roger, che è stato un bel torneo, Rotterdam dove è tornato numero 1, il resto… non è stato granché. Ci sono quattro giocatori che hanno dominato il tennis per anni e senza di loro si crea un buco. Paradossalmente, gli altri non sanno approfittarne. Troppa pressione su di loro? Intanto i tornei più interessanti sono quelli in cui giocano Roger e Rafa. Vedo Roger in Australia e penso che ha ancora un margine enorme su tutti gli altri, questo mi impressiona; Nadal sulla terra, se non ha un problema fisico, sarà difficile da spodestare. La transizione insomma non è così ovvia“. Forse in cuor suo spera che qualche briciola resti anche per lui, quando e se tornerà ai suoi livelli, e che i giovani pazientino ancora un po’ prima di prendersi il circuito.

IL PUNTO SU ANDY

All’altro capo del filo della nostalgia c’è Andy Murray, che nell’aiuola del suo ritorno in campo ha piantato il seme di ‘s-Hertogenbosch: 11 giugno, quando saranno passati 11 mesi dalla sua ultima apparizione a Wimbledon contro Querrey. Le altre indicazioni sulla sua programmazione riguardano la partecipazione al torneo di Washington (30 agosto) e la possibilità che giochi il challenger di Loughborough (cemento indoor, 21 maggio): il torneo precede di una settimana il Roland Garros, e sembra proprio l’intenzione di disputare questo torneo il motivo per cui Murray non ha ancora cancellato il suo nome dalle liste dello Slam parigino (un cavillo regolamentare glielo impedisce).

Tornare dall’infortunio stavolta si sta rivelando più dura. Ci sono stati molti più alti e bassi, è stato un problema più lungo e molto più complicato di quello alla schiena. In quel caso fu più facile perché poco dopo l’operazione chirurgica ero già di nuovo in campo a giocare tornei. Io e il mio team stiamo riflettendo su una programmazione diversa da quella che ha funzionato in passato. Potrebbe essere un po’ più elastica. È questo il passaggio più rilevante dell‘intervista telefonica che Ava Wallace, reporter del Washington Post, ha potuto intrattenere con l’ex numero 1 britannico. Conferma che le difficoltà ci sono state e ci sono, che servirà cautela nonostante i sintomi dell’astinenza da scariche di ormone surrenalico, la volgare quanto preziosa adrenalina, siano lì a foraggiare la sua convalescenza esattamente come nel caso di Wawrinka: “Quando ti capita un infortunio come questo ti rendi conto di quanto ti manca giocare, di quanto è importante per te. Mi piace la pressione, mi manca, è qualcosa che non ti arriva dalla quotidianità ed è qualcosa che ha fatto parte della mia vita per 13, 14 anni, da quando sono un professionista”. Dio li fa, vincere uno Slam li accoppia.

Mentre lo scozzese ancheggia per capire se e quanto fa ancora male, lo fiancheggia amichevolmente un altro ‘discreto’ slammer, Rafa Nadal, che tramortendo ogni avversario ha reso così scontate le sue conferenze monegasche da rivelare che ha avuto una conversazione telefonica (pure lui!) con Murray un paio di settimane fa. Tra i due c’è un ottimo rapporto, come le reciproche dimostrazioni di stima hanno sempre dimostrato, e l’esperienza quasi accademica di Rafa nell’arte del comeback ha reso logica la richiesta d’aiuto da parte di Andy.

Ho parlato con Andy e gli ho suggerito alcune cose che per me hanno funzionato. Sono stato nella sua situazione, so quanto possa essere frustrante lavorare sodo ogni giorno e non vedere alcun miglioramento. Giorno dopo giorno, provando diversi trattamenti, le cose andranno meglio; è quello che gli auguro davvero perché la sua presenza è davvero importante nel circuito”. 

Lo spagnolo non ha voluto addentrarsi in ulteriori dettagli e ha esaurito l’argomento a metà tra incoraggiamento e rigurgito lapalissiano: “La cosa più importante è stare bene. Se Andy è sano, tornerà. Magari non vincerà subito, ma non avrà certo dimenticato come si gioca a tennis“. L’investitura di Rafa è tanto scontata quanto doverosa, e probabilmente anche foriera di sensazioni positive per chi al momento non può far altro che colpire, colpire e ancora colpire, nella speranza che se proprio il rientro in campo non deve essere trionfale come quello di Federer, almeno non sia tumultuoso come quello di Djokovic. Comunque meglio avere Nadal come confidente che un guru ormai stagionato…

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