Fognini può perdere, ma anche vincere il torneo

Editoriali del Direttore

Fognini può perdere, ma anche vincere il torneo

Chi ha battuto Thiem può ripetersi con Nadal. È già successo. Il confronto con 15 azzurri. Gli exploit di un giocatore di talento non devono far dimenticare la maleducazione…

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E ora tutti sul carro del vincitore a dir, dopo l’exploit ai danni di Thiem due volte semifinalista al Roland Garros e recente giustiziere di Nadal, quanto è bravo Fabio Fognini! Certo che è bravo quando gioca bene, così come certo che è maleducato quando si lascia andare a certe imperdonabili intemperanze.

Certo che Fabio è il miglior tennista italiano dai tempi di Adriano Panatta n.4, Barazzutti n.7, Bertolucci n.12. Lo è stato in termini di classifica, n.13 e quindi cinque/sei posti davanti a chi si è fermato a n.18 (Seppi, Gaudenzi, Camporese) o a n.19 (Furlan). E n.21 è stato Cancellotti, mentre n.25 è stato Volandri, n.26 sono stati Caratti e Canè, n.27 Zugarelli e Starace, n.30 Ocleppo, n.36 Bolelli, n.40 Pozzi, n.42 Pescosolido e Sanguinetti. Pochi di questi giocatori – e spero di non averne dimenticato qualcuno – sono stati vicini a quel loro best ranking a lungo. Salvo Camporese che nelle giornate di vena era capace di battere campioni del calibro di Lendl e Ivanisevic, Stich e Moya, come di portare a un long set al quinto (14-12) Boris Becker in Australia nel torneo (1991) che Boom Boom avrebbe vinto diventando n.1 del mondo, tutti gli altri hanno espresso un tennis meno irresistibile di Omar e di Fabio, anche se in tanti anni di carriera è capitato anche a Seppi di battere una volta sia Nadal sia Federer (sia pur dopo 10 sconfitte), a Gaudenzi di superare Courier, a Furlan di centrare qualche brillante exploit.

Ma Fognini a 31 anni, coetaneo di Murray e Djokovic, ha battuto 11 top-ten in carriera, un numero sufficiente a far ritenere che non siano stati risultati casuali, determinati da una cattiva giornata dei suoi avversari o da una sua performance davvero straordinaria. Nessuno su Ubitennis ha mai contestato il suo talento. La capacità di improvvisare tennis ad altissimo livello con una grandissima, spettacolare varietà di colpi, dritto, rovescio, volée, smorzate, lob, tocchi, frustate. Ma nessuno su Ubitennis ha mai voluto neppure censurarsi però per acquisire benemerenze – onde ricavarne interviste “esclusive” e  confidenze – quando occorreva essere cronisti e raccontare anche episodi che allo stesso Fognini (dopo aver dato loro vita…) non gli faceva piacere che venissero sottolineati: a Montecarlo nel match con Tsonga, a Wimbledon con Kuznetsov o a Flushing Meadows nel settembre scorso, i suoi comportamenti sono stati assolutamente inaccettabili e diseducativi. Gli exploit non devono far dimenticare la maleducazione.

Il miglior tennista italiano ha la responsabilità di essere un esempio per i ragazzi che si avvicinano al tennis. Non deve favorire gli alibi dei maleducati che si appellino al suo esempio: “Se lo fa Fognini posso farlo anch’io”. I suoi lanci di racchetta e di palla sono stati talmente tanti che non valeva neppure più la pena segnalarli – sarebbe parso accanimento… non terapeutico, visto che tanto non serviva a cambiarlo – così come le parolacce o le frasi ingiuriose rivolte a questo o quel giudice per una chiamata non condivisa (e lasciamo perdere quel che disse, dandogli di zingaro, all’amico – sic! – Krajinovic).

Ci sono colpe sia dei suoi primi educatori che dei primi maestri se non si è riusciti a correggerlo. E anche di tanti colleghi troppo accomodanti. Soprattutto le testate che non possono permettersi di inviare i loro giornalisti altro che a pochi tornei sono costrette ad accettare il compromesso di mostrarsi compiacenti e di chiudere un occhio nei confronti di un n.1 italiano. Poi è anche una questione di diversa personalità dei giornalisti. C’è chi tende naturalmente ad arruffianarsi con i potenti di turno – e anche i campioni finiscono per esercitare un certo potere – e chi invece vi rifugge, a costo di apparire scostante. Quante volte i potenti di turno non si accorgono di quanti cortigiani li attornino allo scopo di trarne qualche vantaggio personale. Ci cascano – e penso a certi politici – anche persone molto intelligenti. Figurarsi quelli che non lo sono. Ai miei ragazzi di Ubitennis ho cercato di insegnare il principio che un giornalista che vuole fare bene il suo mestiere non può fare l’amico del giocatore di cui deve scrivere, se vuole mantenere la sua autonomia di giudizio e di critica… La nostra forza – forza relativa intendiamoci, non siamo maestri di giornalismo e galateo – è la nostra indipendenza, l’autonomia da vincoli eventualmente condizionanti.

Credo di aver visto dal vivo buona parte di queste splendide vittorie di Fabio con i top 10 – credo più della metà – anche se ora lì per lì mi vengono in mente soprattutto quelle delle lezioni inflitte a Murray in Davis a Napoli e poi anche un anno fa qui a Roma, della rimonta a New York con Nadal che non aveva mai perso un match dopo essere stato avanti 2 set a zero. E mi vengono in mente anche tante sue maratone vinte in Coppa Davis. Mi crediate oppure no – e il clan Fognini sarà certo del no – ma vi assicuro che mi sono entusiasmato nel vederlo trionfare, con quei top ten ma anche con giocatori meno titolati. E non per interesse, per un puro calcolo dell’editore di una testata di tennis  che trae indubbio vantaggio da ogni exploit centrato da un tennista italiano. Mi sono entusiasmato nel vederlo giocare colpi che onestamente quei tennisti italiani che ho citato sopra non avrebbero mai saputo fare – ribadisco, salvo il miglior Camporese – e che anche ieri con Thiem ha sciorinato con una disinvoltura impressionante. Mi sono rimaste impresse alcune smorzate giocate quasi di controbalzo, un lob passante dopo uno scambio allucinante, una dropvolley dopo che Thiem aveva giocato un splendido tweener, una doppietta di smash fantastici.

Se Fabio avesse potuto rimediare a giornate meno brillanti con un gran servizio, come fanno e possono fare tanti, avrebbe ovviamente vinto molto di più che non cinque tornei in una quindicina di finali. Gli si rimprovera scarsa continuità, perché quasi mai è riuscito a giocare cinque, sei, sette grandi partite di fila. Ma il fatto è che il suo è un tennis ad alto, altissimo rischio basato sull’anticipo e quindi su una condizione atletica che deve essere sempre al massimo – non per tutti è così – e i cui margini di errore sono sempre risicati. Allora – e questo è un parallelo che mi sta a cuore perché lo usavo per un altro giocatore assai brillante, Adriano Panatta – basta che Fabio arrivi un nano secondo in ritardo rispetto ad un altro giorno, che la sua palla vada 10 km più piano, che la lunghezza e la precisione dei suoi colpi sia meno accurata per cinque centimetri e il suo rendimento complessivo calerà quasi impercettibilmente. E una partita vinta si trasformerà in un match perso.

È un po’ come il saltatore in alto che salta 2m e 35 ma non 2 metri e 40… se non ci fosse l’asticella con le misure, chi se ne accorgerebbe? Solo che mentre chi salta una volta, falliti i sei o i tre salti è costretto a fermarsi perché eliminato, chi gioca a tennis invece lo fa per due, tre, quattro ore. E la frustrazione per una giornata no, monta game dopo game, fino a che a qualche tennista più fragile di nervi questi saltano. A Fognini basta poco perché saltino. E non solo sul campo, ma anche fuori, magari anche in una conferenza stampa se arriva una domanda non gradita (o anche non capita: è successo un’infinità di volte sotto ai miei occhi).

A me tutto sommato interessa molto poco che Fabio mi parli o che non mi parli. Non mi cambia assolutamente nulla. Per me è molto più importante che vinca di più, che vada avanti in questo torneo, raggiungendo per la prima volta i quarti in 11 partecipazioni e magari battendo, dopo quel Gojowczyk che rappresenta una sorta di prova del nove, anche Nadal – lo ha già battuto 3 volte no? – per raggiungere una prestigiosa semifinale come a suo tempo Filippo Volandri. Filippo approfittò, lungo il cammino coronato da vittorie su Berdych e Gasquet, di una condizione molto molto incerta di Roger Federer e anche se oggi lui racconta che quella è stata la sua miglior partita di sempre io che c’ero – e che ne ho viste tante altre di Filippo, come ad esempio quella pazzesca giocata contro Robredo in Davis a Santander – vi assicuro che gliene ho invece viste giocare di migliori. Solo che oggi quasi nessuno si ricorda più di come stava Federer in quei giorni e allora suona bene raccontarla così, dal momento che Federer è una leggenda vivente e Robredo – ad esempio – non lo è e quindi non farebbe lo stesso effetto su chi ascolta le imprese che non ha visto.

Tutto ciò per dire che se Fognini battesse dopo Gojowczyk anche un Nadal sottotono, fra qualche mese non se ne ricorderebbe più nessuno. Che batta tutti quindi. Se vincesse il torneo – in fondo Thiem sembrava l’ostacolo più temibile per il superfavorito Nadal – e Zverev è sì meritatamente il terzo giocatore del mondo… ma in fondo per un set anche Berrettini è riuscito a rendergli dura la vita. Insomma, Fabio può perdere oggi, ma anche raggiungere una semifinale da giocare nel giorno in cui suo figlio Federico compierà un anno – auguri a lui e Flavia – e, perché no, arrivare anche fino in fondo. Il pubblico che anni fa lo ha fischiato pesantemente è pronto e carico a trascinarlo con il suo tifo entusiasta anche fino alla vittoria finale. Quella che il tennis italiano aspetta dal 1976 e da Adriano Panatta.

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