Finalmente Halep, Nadal per la leggenda (Scanagatta). Halep, che liberazione. Sfatato il sortilegio Slam (Crivelli). Halep, uno Slam da vera numero 1 (Clemente). Il futuro bussa a casa Nadal (Azzolini). Thiem, sfida al Re (Crivelli). Il tennis piange la Bueno. Vinse 3 volte a Wimbledon (La Gazzetta dello Sport)

Rassegna stampa

Finalmente Halep, Nadal per la leggenda (Scanagatta). Halep, che liberazione. Sfatato il sortilegio Slam (Crivelli). Halep, uno Slam da vera numero 1 (Clemente). Il futuro bussa a casa Nadal (Azzolini). Thiem, sfida al Re (Crivelli). Il tennis piange la Bueno. Vinse 3 volte a Wimbledon (La Gazzetta dello Sport)

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Finalmente Halep, Nadal per la leggenda (Ubaldo Scanagatta, La Nazione)

La maledizione che pareva perseguitare Simona Halep è finalmente svanita quando sembrava che, sul 6-3 e 2-0 per l’americana Stephens, campionessa uscente dell’ultimo US Open, dovesse perpetrarsi a dispetto d’una leadership Wta in atto da 32 settimane. Alla finale Slam n. 4, la terza a Parigi, la rumena nata 26 anni fa sulle rive occidentali del Mar Nero (Costanza) ce l’ha fatta (36 64 61) rovesciando completamente il corso del match: ha conquistato dallo 0-2 ben 12 game su 15. Proprio 40 anni fa aveva trionfato qui la prima campionessa rumena, Virginia Ruzici, oggi sua manager (audio-interviste a Ruzici e Ion Tiriac su www.Ubitennis.com). Un anno fa Simona contro la lettone Ostapenko, 19 anni, che non aveva mai vinto un torneo, era avanti 6-4, 3-0 e palla per il 4-0. Finì in lacrime. Come 3 anni prima, quando a batterla fu Maria Sharapova, 64 67 64. Simona aveva mancato 2 palle per il 3-1 nel terzo. In finale all’Australian Open quest’anno, appena perso al terzo set da Caroline Wozniacki, arrivò in sala stampa trovandoci tutti imbarazzati. Così fu lei a rompere il ghiaccio: «Coraggio non è ancora morto nessuno!». Ieri sembrava di essere a Bucarest. Non meno di 3.000 rumeni in tribuna, bandiere ovunque, cori ad ogni punto. Come avevano fatto a procurarsi così tanti biglietti? «Non glieli ho regalati io!» ha giurato Simona ridendo. Sono passati 9 anni da quando si era fatta operare al seno per ridurlo: «Lo feci per il mio tennis. Era così grosso che mi dava fastidio quando servivo e poi avevo sempre mal di schiena». E oggi la sfida delle sfide. Chi vincerà? Nadal per l’undecima volta o Thiem per la prima? Il favorito è sempre il maiorchino, ma l’austriaco che ha battuto il nostro Cecchinato è il solo ad averlo battuto 2 volte negli ultimi 16 mesi sui campi rossi.

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Halep, che liberazione. Sfatato il sortilegio Slam (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

La rete si scuote, il cuore si libera, la maledizione di scioglie e le lacrime di Simona possono finalmente scendere. Quando la risposta della Stephens affonda sotto il nastro, la storia si riscrive e la scimmia scende dalle spalle della Halep con tutti i commenti velenosi che l’avevano accompagnata fino a quell’ultimo punto della finale parigina: un’altra numero uno che non ha mai vinto uno Slam. Missione compiuta, dopo 32 Major giocati e tre ferite brucianti, al Roland Garros nel 2014 e nel 2017 e agli Australian Open a gennaio. Un tabù sfatato e una nuova conferma, se ce ne fosse bisogno, che il tennis femminile di oggi viaggia senza padrone: dagli Us Open del 2016 (Kerber), gli ultimi sette Slam sono stati vinti da sette giocatrici diverse. Tra di loro c’è pure la Stephens, regina dell’ultimo New York, che per un set e due game ripropone a Simona fantasmi fin troppo conosciuti: infallibile da fondo, profondissima nei colpi a rimbalzo, l’americana oppone un muro di gomma alle bordate della Halep. Poi Sloane scende, soprattutto al servizio, e la n. 1 uno comincia a muoversi meglio e a cercare di più gli angoli, recuperando il break nel 2° set, anche se poi, davanti 4-2, concederà un break a zero da sciagurata. Sarà l’ultima palpitazione, la rivale non ne ha più e perde la misura del campo, consegnandosi senza più lottare. E’ l’apoteosi meritata per la ragazza di Costanza, che aveva dalla sua parte tutto lo Chatrier: «Li ringrazio per il sostegno, sul 2-0 sotto nel 2° set mi sono detta “divertiti e non ci pensare”, e lì il match è cambiato. E’ il sogno di bambina che si realizza, ma se avessi perso non sarebbe morto nessuno». Chissà: si sarebbe trattata di un’altra delusione ancor più difficile da smaltire. Soprattutto per la figlia di un produttore di formaggi e di una casalinga, sempre umile, legata alla famiglia e al suo Paese. Un carattere che la rende assai benvoluta in un mondo dove rivalità e invidie proliferano, tanto che i primi messaggi di congratulazioni sono arrivati da Begu, Kvitova e Petkovic, che ci aveva perso al terzo turno: «Per tutti quelli che odiano Simona perché non aveva mai vinto uno Slam: beccatevi questa». La Halep è la seconda romena a trionfare al Bois de Boulogne dopo la Ruzici 40 anni fa. Fu proprio Virginia, oggi sua manager, a coglierne le potenzialità dopo averla vista conquistare il torneo juniores a Parigi, nel 2008, pronosticando alla ragazzina che a 6 anni aveva approcciato il tennis per sfidare il fratello un futuro da stella. Del resto, narra la leggenda che nel 1977 la Ruzici predisse con i tarocchi il successo della Wade a Wimbledon. Contro la maledizione dello Slam, non poteva che servire una magia.

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Halep, uno Slam da vera numero 1 (Valentina Clemente, Corriere dello Sport)

A dieci anni dal titolo vinto nel torneo junior, Simona Halep ha finalmente concretizzato il sogno di sollevare il vero trofeo dello Slam francese. Obiettivo già sfiorato qui a Parigi altre due volte (2014 e 2017) e raggiunto ieri dopo una battaglia di 2h03′ contro Sloane Stephens, terminata 3-6, 6-4, 6-1. Il trionfo della romena è giunto a 40 anni dalla vittoria della connazionale Virginia Ruzici, diventata sua manager nel 2008 quando Simona vinse da junior sulla terra parigina Fin qui la Halep aveva all’attivo tre finali Slam (una in gennaio agli Australian Open, oltre alle due al Roland Garros) e, come la Ruzici ha raccontato a L’Equipe, proprio la conquista della prima posizione mondiale, in ottobre, le ha permesso di prendere maggiore coscienza delle sue capacità e di abbassare il livello di stress in campo: «Simona ha raggiunto oramai un’altra dimensione e questo riconoscimento l’ha resa meno tesa In generale non è una che parla molto, ma preferisce ascoltare. Da quando poi lavora con Darren Cahill si esprime meglio anche in inglese: l’esperienza di una persona del genere accanto è importante, perché è un tipo straordinario, serio, ma allo stesso tempo amante della vita». E se la Halep non è una ragazza di molte parole, sul Philippe Chatrier ieri ha fatto parlare la rabbia e l’emozione: in campo, dopo una lotta intensa, ha saputo travolgere nel terzo set la sua avversaria, e una volta conquistato il titolo, ha mostrato con lacrime e abbracci il vero senso di questo successo per lei. «Ho imparato dal passato: di solito ero sempre io a condurre l’incontro e a perderlo nel finale, quindi sono rimasta calma e mi son detta che avevo abbastanza margine per recuperare. Anche quando eravamo sul 5-0 nel terzo, e lei ha vinto il game, ho cercato di razionalizzare la situazione: le chance erano tutte dalla mia parte. Ci ho creduto e ora vivo il momento più bello della carriera». Già, il sogno di Simona era proprio il Roland Garros, il più bello tra tutti gli Slam ai suoi occhi, e anche l’atmosfera del Centrale, con molti connazionali sugli spalti, le ha dato una marcia in più: «E’ stato qualcosa di unico e voglio ringraziare tutti quelli che mi hanno sostenuto durante il match e in questi anni di lavoro. In particolare Darren che mi aveva predetto la vittoria. Sono entrata in campo con un mix di ansia e fiducia e alla fine ha funzionato. Sognavo questo momento dai miei 14 anni e quando avevo conquistato il trofeo nel 2008 mi ero ripromessa che avrei fatto la stessa cosa da adulta. Sono soddisfatta di me stessa, perché ho mantenuto la parola (sorride – ndr)».

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Il futuro bussa a casa Nadal (Daniele Azzolini, Tuttosport)

Il Club più esclusivo del mondo è sotto attacco. C’è un ragazzo che vuole entrare, e non chiede permesso. Ha i modi spicci dei giovani di oggi, colpisce più forte di ogni altro, certi suoi match hanno il ritmo dei videogame, spari e avversari che saltano come birilli. Dominic Thiem ha fretta, è stufo di sentirsi apprendista. È la prima volta che a chiedere l’iscrizione è un ragazzo entrato nel professionismo dopo il 2010. II Circolo dei Più Forti riunisce la Società degli Slammer e l’Associazione dei Fab Foux è il sancta sanctorum del tennis. Fino a ieri, inarrivabile. Riservato a sette giocatori, gli unici che abbiano vinto un Major negli ultimi venti anni. Federer e Nadal, Djokovic e Murray, poi Wawrinka, Del Potro e Cilic. L’esame del nuovo accolito sarà svolto da Rafa Nadal, il professore più severo sul rosso. Al Roland Garros non ne ha ancora promosso uno, giocando dieci finali, tutte vinte. Mastro Rafa conosce bene l’allievo, lo stima, ne parla con riguardo. «Ha colpi prodigiosi, grande reattività, spinge il tennis ai limiti». In nove confronti ne è uscito battuto tre volte, sempre su terra, mai pero quella di Parigi. L’ultima sconfitta ha preso forma a Madrid, torneo mai molto amato da Rafa, per le strambe condizioni tennistiche che impone l’altura, e per il gioco di ombre della Caja Magica, lo stadio del tennis madrileno. Nadal è nato per la terra di Parigi. Qui il suo tennis si trasforma in una costruzione precisa e ben calibrata, con i tempi giusti per i tremila e duecento giri al minuto che l’ex ragazzo di Manacor impone alla palla colpita da quei tremendi top spin. C’è in gioco anche la supremazia su una superficie del tennis che tutti considerano la più tosta e faticosa, al punto da non mettere praticamente mai in discussione il dominio di Rafa Nadal. Eppure, una seconda vittoria di Thiem nell’anno in corso potrebbe aprire una falla nelle sicurezze e nelle stesse convinzioni del numero uno. Parigi è la sua riserva privata di caccia ai titoli che fanno la storia e Nadal non ha mai smesso di inseguire Federer, il quale resta avanti di quattro Slam (20 a 16). Ma una pagina di storia in cui lo spagnolo è avanti è quella dei titoli vinti nello stesso torneo: undici a Monte-Carlo, undici a Barcellona. Federer ne ha nove ad Halle, otto a Wunbledon. Figuratevi quanto Rafa possa desiderare l’undicesima a Parigi. Ma qualcosa sta cambiando. Dall’inizio dell’anno la presenza dei giovani nelle finali dei tornei è quasi raddoppiata. Sono ventuno con dieci vittorie. Nel 2017 dodici presenze e otto successi. Ora questa stagione ci offre il primo assalto di un ragazzo al titolo dei grandi: «Ho un piano», ha dichiarato Thiem, «non lo vengo certo a dire, ma ce l’ho. So bene che a Parigi il favorito è lui, ma con il mio coach (Gunther Bresnik, ndr) abbiamo studiato qualcosa che potrà dare fastidio a Nadal». Sparge un po’ di benzina sul match, l’austriaco, pure questa è tattica. Ma un piano lo ha anche Rafa. Quello che da queste parti ha sempre funzionato al meglio: scendere in campo e vincere.

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Thiem, sfida al Re (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Quando sei piccolo, devi provare a farti largo con i muscoli. Ecco perché Schwarzenegger è l’eroe nazionale dell’Austria dei tempi moderni: bicipiti d’acciaio e i nemici crollano. Una mitologia così radicata da quelle parti che perfino il tennis ne è rimasto contagiato. E così si è passati da Musterminator, al secolo Thomas Muster, uno che con le gambe spezzate si allenava legato a una sedia a rotelle, a Dominator, alias Dominic Thiem, che si è temprato ad alto livello attraversando a nuoto canali ghiacciati. Dopo 23 anni, un austriaco tornerà a giocarsi il titolo del Roland Garros: nel 1995 Muster batté Chang nel pomeriggio dell’apoteosi della sua seconda carriera, mettendo sulla mappa un Paese che non aveva alcuna tradizione con la racchetta, che non fosse quella da sci. Thiem allora aveva appena due anni e non ricorda nulla dell’accoglienza che Vienna riservò al trionfatore, ma quel successo ha rappresentato una linea ingombrante che ha accompagnato ogni ragazzino di quelle lande che si fosse avvicinato al tennis. E a maggior ragione per lui, figlio di due maestri e a 15 anni già il più promettente campioncino in patria. Dubbi, adesso, non ce sono più: Dominic è dove tutti immaginavano dovesse stare fin da quando, nel 2016, proprio a Parigi raggiunse per la prima volta la semifinale in uno Slam (battuto da Djokovic). Cioè a inseguire la Coppa dei Moschettieri, per giunta sulla superficie preferita. Solo che davanti gli si parerà Nadal, uno che su fisicità, resistenza e propensione al sacrificio ha costruito un’avventura leggendaria e successi inimitabili: sul rosso magico dello Chatrier, oggi pomeriggio, potrebbe addirittura inginocchiarsi vincitore per l’11^ volta. Thiem ne è consapevole: «Quando affronti Rafa qui, è la sfida più ardua che ti possa capitare». Eppure, nei confronti di un fenomeno che su questi campi ha vinto tutte le finali che ha disputato, l’austriaco troverà conforto nel fresco passato, nei due successi contro il mostro a Roma l’anno scorso e Madrid un mese fa, le uniche cadute di Nadal sulla terra in due stagioni. Con gli altri, non ha mai perso. Però il Roland Garros è un’altra cosa, vero Dominator? «Le condizioni sono perfette per lui, sa come muoversi — analizza l’austriaco — e soprattutto si gioca tre set su cinque, che è tutta un’altra storia. Ma io penso di avere un piano per poterlo mettere in difficoltà, quando sei in finale a Parigi contro di lui non hai niente da perdere e dunque la pressione è sulle sue spalle». Lui, il guerriero a caccia dell’Undecima, mostra rispetto: «Thiem era candidato da tre anni a questa partita, è l’avversario più forte che mi potessi aspettare, sarà fondamentale alzare il livello». Il Nadal del secondo e del terzo set contro Del Potro sembra inavvicinabile, quello che ha dovuto giocare un tie break contro Bolelli, un altro contro Marterer e ha lasciato un set a Schwartzman, apre degli spiragli. Decideranno il servizio e la risposta, cioè il controllo dello scambio: l’austriaco possiede fondamentali a rimbalzo pesantissimi, ma deve azionarli da una posizione di dominio, mentre se è obbligato a correre è molto meno intenso. Soprattutto, il n°8 del mondo non potrà permettersi, come accaduto contro Cecchinato, di rimettere in bilico set già vinti, perché lo spagnolo non perdona il minimo calo di tensione. Il pubblico, per una volta, si dividerà e forse avrà il cuore più biancorosso, perché Thiem è fidanzatissimo con la ragazza di casa, Kristina Mladenovic. Dettagli. Moya, coach di Nadal, ne è sicuro: «Partita dura, ma Rafa sulla terra ha sempre una soluzione». Anche contro Schwarzenegger.

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Il tennis piange la Bueno. Vinse 3 volte a Wimbledon (La Gazzetta dello Sport)

È morta a 78 anni la brasiliana Maria Esther Bueno, regina del tennis mondiale negli anni Sessanta, tre volte vincitrice a Wimbledon. Considerata fra le più grandi di sempre, era da tempo ricoverata in un ospedale di San Paolo (Bra) a causa di un tumore alla bocca che l’aveva colpita un anno fa. In carriera aveva vinto per 3 volte a Wimbledon (1959, 1960 e 1964) e nel 1965 e 1966 fu finalista. Per 4 volte Maria Esther Bueno aveva trionfato anche agli Us Open, (1959, 1963, 1964 e 1966). Nel 1959, 1960, 1964 e 1966 è stata n. 1 del ranking mondiale. Campionessa precoce, aveva solo 19 anni quando vinse il suo primo titolo a Wimbledon. Altrettanto precoce, a soli 29 anni, il ritiro dall’attività agonistica per seri problemi di salute.

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