Dallo zio Toni all'amico Carlos: c'è solo Maiorca nel destino di Rafa (Crivelli). Errani disperata: "Non so se mi rivedrete" (Viggiani). Il doping della Errani ed il male nello sport (Narducci)

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Dallo zio Toni all’amico Carlos: c’è solo Maiorca nel destino di Rafa (Crivelli). Errani disperata: “Non so se mi rivedrete” (Viggiani). Il doping della Errani ed il male nello sport (Narducci)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

 

Nadal e Moya Dallo zio Toni all’amico Carlos: c’è solo Maiorca nel destino di Rafa

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 12.06.2018

 

La seconda e la terza attrazione di Manacor sono le spiagge incontaminate e le due fabbriche di perle artificiali che si esportano in tutto il mondo. La prima, manco a dirlo, è Rafael Nadal, che nella terza città più grande di Maiorca è nato 32 anni fa e con la quale mantiene un legame che va oltre le semplici radici familiari. Perché chi nasce su un’isola lì vuole sempre tornare, al caldo degli affetti e delle amicizie che il senso di appartenenza amplificato dal mare e dai suoi pericoli cementa e fortifica. TUTTO IN CASA Nadal non sarebbe Nadal, l’uomo dei 17 Slam e dell’impresa sovrumana di 11 Roland Garros in 13 anni, se non avesse dentro il salmastro e la serena tranquillità della sua terra: la famiglia allargata a zii e cugini, per anni convivente nello stesso residence e anche adesso raggiungibile con una passeggiata dalla villa in cui vive; gli amici d’infanzia e Xisca, la stessa fidanzata conosciuta sui banchi di scuola; la barca per andare a pescare nei giorni senza tennis e quando l’Accademia che porta il suo nome, un gioiello, non lo impegna con i ragazzini arrivati a frotte per imparare da lui. Con un quadro del genere, era impensabile che Rafa guardasse oltre l’orizzonte maiorchino quando,a fine 2016, si trattò di scegliere l’allenatore che dopo vent’anni avrebbe preso il posto di zio Toni, l’uomo che aveva creato la sua leggenda. La soluzione, *** infatti, era già in casa, nell’isola che non tradisce mai: Carlos Moya, hidalgo della capitale, Palma e primo numero uno spagnolo della storia del tennis, per due settimane a marzo 1999, più vecchio di dieci anni. L’INCONTRO Ed è incredibile come 3640 chilometri quadrati di natura selvaggia e civiltà marinara fino agli inizi del XX secolo, quando esplose il turismo, abbiano prodotto un campione notevolissimo e un fenomeno tra i più grandi della storia dello sport in generale. Ancor più curioso che il loro primo incontro non avvenga sull’isola, bensì a margine del torneo di Amburgo nel 1999, dove il non ancora tredicenne Nadal è ospite di un evento Nike per giovani promesse: «Ne avevo già sentito parlare – ricorda adesso Carlos – perché a otto anni aveva vinto il titolo di Maiorca per gli under 12, perb per me rimaneva soprattutto il nipote di Miguel Angel, il più forte calciatore maiorchino di sempre». L’approccio mostra subito quale tempra vibri nella carne del piccolo Rafa, che ai convenevoli del celebre interlocutore formulati con la frase «Ti auguro una carriera come la mia», risponde (lo racconterà nell’autobiografia) come una lama tagliente: «No, io voglio di più». E Moya in quel momento è re di Parigi e il secondo giocatore del mondo. L’AMICIZIA Non si tratta di spocchia, ma di guardarsi dentro e comprendere che il fuoco sacro richiede ambizioni all’altezza. Ma quando dovrà scegliere la prima racchetta professionale, Rafael sarà molto • L’ex tennista è il suo allenatore da due anni: stesse origini e passione «Quando avevo 24 anni e lui 14 lo battevo a fatica…» chiaro con Zio Toni: voglio quella che ha anche Carlos. E con quella inizia a fare da sparring al connazionale capace di raggiungere il gotha del tennis, diventando un compagno di training con la scorza e la tigna del campione affermato: «Dovevo impegnarmi per batterlo, e aveva solo 14 anni». Due anni dopo, le partite tese in allenamento si sublimano finalmente nella prima sfida ufficiale sul circuito, proprio a Amburgo, un incrocio del destino: in una giornata umida e piovosa, lo sbarbato vince facile in due set. Sul campo è già una belva, ma al momento della stretta di mano abbassa lo sguardo quasi contrito: «Sapevo che in quel momento – dirà Moya – avevo davanti il futuro, mentre il mio era già declino». Alla fine, saranno otto i confronti diretti, con sei vittorie per Rafa. Nel frattempo, perb, il rapporto si consolida, insieme vincono la Davis del 2004 (e Moya ottiene che venga convocato e giochi la finale contro gli Usa) e una fortissima amicizia si cementa anche grazie alla comune passione per i videogiochi: «Ricordo che erano sempre sfide agguerritissime – conferma Carlos – e con punizioni annesse: una volta lui perse e fu obbligato a scendere le scale dell’hotel sulle ginocchia e a raggiungere così la sala da pranzo». CHE COPPIA Insomma, quando due anni fa Rafa si trova di fronte a una decisione che ti pub cambiare la vita, non si rivolge soltanto a un coach che aveva appena seguito Milos Raonic: chiama al suo fianco Che progressi lo spagnolo.

 

Errani disperata: «non so se mi rivedrete»  

 

Mario Viggiani, il corriere dello sport del 12.06.2018

 

La scorsa settimana, smaltita l’eliminazione al primo turno del Roland Garros contro Alizé Cornet, Sara Errani non aveva perso tempo e se n’era andata in Croazia, a Bol, per disputare un torneo 125k Wta e guadagnare punti che le facessero recuperare qualche posizione in una classifica che la vedeva 75 del mondo. Sembrava allegra, in compagnia dell’altra azzurra Jasmine Paolini (s’erano divertite anche a saltare sul tappeto elastico, come due bimbe). E in allegria aveva raggiunto la semifinale. Sabato però non era scesa in campo, contro la polacca Magda Linette: per motivi familiari, ovviamente non meglio precisati. leri s’è intuito quali fossero, i motivi della rinuncia. Forse a Sara era stata anticipata la decisione del TAS, il Tribunale Arbitrale dello Sport, in merito alla vicenda cere l’aveva avuta come protagonista nel 2017: presenza di letrozolo (inibitore degli ormoni femminili, contenuto in medicinali usati contro i tumori ormoni-dipendenti) accertata in un test antidoping Wada del 16 febbraio; sentenza di primo grado da parte dell’ITF, la Federtennis internazionale, con squalifica di 2 mesi (scontati dal 3 agosto al 2 ottobre) e perdita di punti e montepremi guadagnati nel periodo 16 febbraio-7 giugno; ricorsi al TAS della stessa Errani, per riottenere punti e soldi, ma anche di Nado Italia, l’organizzazione nazionale antidoping, che riteneva troppo lieve la sanzione [If specie in riferimento ad altre positività da letrozolo, punite anche in Italia con 2 annidi stop. Il TAS, con motivazioni pubblicate ieri, ha respinto il ricorso di Sara, pur riconoscendo l’involontarietà dell’assunzione di letrozolo (la tesi difensiva è quella di compresse di Femara, medicinale appunto contenente la sostanza vietata, usate dalla madre di Sara e finite nell’impasto di tortellini mangiati dall’intera famiglia il 13 e/o il 14 febbraio, a Massa Lombarda) e accolto invece quello di Nado Italia, aumentando i mesi di squalifica da 2 a 10, con decorrenza immediata degli ulteriori 8 mesi che si concluderanno il 7 febbraio 2019. La reazione della Errani è arrivata sui social: ««Sono davvero nauseata da questa vicenda. Non credo sia mai successa una cosa del genere, gestita in questo modo a mio giudizio vergognoso. Sono sette mesi che vivo pensando e aspettando la sentenza definitiva. Per otto volte mi hanno comunicato una data limite di uscita per poi rinviarla. Otto volte! Senza mai darmi la possibilità di vivere e di giocare con la serenità necessaria per questo sport Questo aumento di squalifica di otto mesi lo trovo una vergogna». Dopo aver ribadito che il doping non è certo la sua filosofia di sport («II Tas ha confermato, perla seconda volta, che si è trattato di un’assunzione involontaria, e per di più di una sostanza che non migliora le prestazioni atletico-sportive»), ha aggiunto di sentirsi «impotente davanti a un’ingiustizia cosa grande e profonda. E lo voglio gridare a testa alta, perché so di non aver più niente da rimproverarmi. Non so se avrò la forza e la voglia di rigiocare a tennis dopo tutto questo». 11’Ias, che ha quindi moltiplicato per cinque la condanna di prima istanza, ha sottolineato come la Errani non abbia accettato la sospensione volontaria dopo la notifica ITF del 18 aprile 2017, esponendosi quindi a squalifiche a posteriori Queil’1TF che peraltro affida i diversi casi sempre a differenti studi legali, con metri di giudizio non certo uniformi… Possibile (probabile?) il ricorso della Faran al Tribunale Federale Svizzero, dove federale non sta per Federtennis locale, ovvio: nel caso per chiede la sospensione della pena, contenstandone la legittimità ma non il merito, in attesa del pronunciamento definitivo dello stesso.

 

Il doping della Errani e i mali del tennis

 

Fausto Narducci, la gazzetta dello sport del 12.06.2018

 

E’ vero che le vie dell’antidoping sono infinite ma la prima cosa che salta all’occhio nel caso di Sara Errani è che ci sono voluti sedici mesi dal controllo incriminato per arrivare a questa sentenza definitiva (inappellabile ma fino a un certo punto) del Tas di Losanna. Probabilmente se la metà delle indimenticabili Cichi, sintesi di un tennis femminile italiano che dominava il mondo, non avesse chiamato in causa i tortellini della mamma — arma a doppio taglio dal punto di vista mediatico — oggi non ci ricorderemmo neanche più di un caso di doping apparentemente minore che aveva portato alla prima squalifica nell’agosto 2017. Ma il tennis, più di altre discipline, deve ancora metabolizzare il fenomeno che ha macchiato le ultime vicende dello sport mondiale e ha dovuto esporsi a tutti i passaggi (a vuoto) del «perdonismo» che condiziona anche i tribunali civili. Scegliere di non decidere, come succede troppe volte nel tennis, non può essere una soluzione. La rigorosa condanna della Sharapova ha forse aperto una nuova era ma in questo caso c’è voluto tutto l’impegno di Nado Italia, la nostra agenzia antidoping, per uscire dal clima dei sospetti e chiedere una sentenza super partes. Peccato che con gli strumenti a disposizione anche il Tribunale svizzero sia rimasto a metà del guado. Giustificazione dell’atleta non completamente credibile ma comunque nessuna intenzionalità da parte della Errani. Ed è appunto quando manca il dolo (punito con quattro anni di squalifica) che si entra nel range di pena che va dalla semplice censura ai due anni di squalifica. Fra i precedenti illustri ricordiamo il canottiere Niccolò Mornati, che per un caso di presunta contaminazione alimentare si era accollato due anni di squalifica, e il calciatore del Cagliari Joao Pedro che se l’era cavata con 6 mesi dopo aver rischiato 4 anni di squalifica per la positività a un diuretico. I tre giudici del Tas (uno scelto dal tribunale, uno del clan Errani e l’altro di Nado Italia) hanno messo sulla bilancia l’inequivocabile negligenza della Errani insieme al fatto che il letrozolo non ha evidenti effetti dopanti sull’organismo femminile. Alla fine si sono accordati nel giudicare incongrua l’iniziale squalifica di due mesi dell’Itf ma hanno aggiunto solo otto mesi (meno di quanto richiesto dalla Nado) segnando comunque la possibile fine carriera sportiva dell’arrabbiatissima romagnola. Una sentenza che ha tutti i limiti di quei rigori dubbi decisi dalla Var, ma che è sbagliato definire iniqua. E comunque il tennis farebbe bene a lamentarsi con se stesso per non aver scelto la strada della chiarezza sul doping.

 

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