Ecco l'ora di Berrettini. Cerca la prima finale (Crivelli). Si chiama Danilovic e papà la manda sola (Semeraro). Berrettini, qualcosa di nuovo per l'Italia (Paglieri)

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Ecco l’ora di Berrettini. Cerca la prima finale (Crivelli). Si chiama Danilovic e papà la manda sola (Semeraro). Berrettini, qualcosa di nuovo per l’Italia (Paglieri)

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Ecco l’ora di Berrettini. Cerca la prima finale (Riccardo Crivelli, Gazzetta dello Sport)

Il tempo giusto sta per scoccare. Sarà pur vero che Matteo Berrettini ha sempre respinto l’idea di mettersi «in testa un orologio con degli obiettivi che poi magari non riesci a raggiungere», ma intanto le campane cominciano a suonare a festa. A gennaio «Berretto», come lo chiamano gli amici, non aveva ancora vinto una partita ATP, sette mesi dopo si gusta la prima semifinale in carriera a Gstaad, rimanendo sempre fedele a sé stesso e alla sua filosofia: prima del risultato, contano il lavoro dentro e fuori dal campo e la volontà di migliorarsi sempre attraverso tutte le esperienze, vincenti o perdenti. Matteo è arrivato in Svizzera sulla scia di una sconfitta evitabile la settimana scorsa contro Laaksonen a Bastad, ma nel suo mondo ogni evento porta con sé una ragione: «Quella partita mi ha dato una forte botta emotiva e mi ha fatto affrontare questo torneo con una motivazione extra». Feliciano Lopez, 66 del mondo e vincitore sotto le Alpi due anni fa, sarà pur declinante, però resta un pericoloso volpone con quelle traiettorie mancine mai uguali a se stesse e un gioco incastrato su pochissimi scambi. Eppure Berrettini lo disinnesca subito, travolgendolo con il servizio (30 punti su 32 con la prima) e silenziandolo con la risposta sempre aggressiva e colpi da fondo con i piedi ben piantati sulla riga: un match senza macchia e senza paura, come testimonia l’unica palla break concessa nel sesto game del primo set e annullata con personalità.

Oggi lo attende l’estone Zopp, affrontato e battuto a febbraio al Challenger di Bergamo, che sta compilando la classica settimana della vita e che potrebbe trarre vantaggio dal surplus di fatica del romano, in finale anche nel doppio in coppia con Bracciali: «Ho giocato una grandissima partita, pochi gratuiti e tanti vincenti. Secondo me è stata di livello molto alto. Sono molto contento, c’è subito la voglia di fare meglio, di fare di più. Devo affrontare due impegni, però sono contento perché tutta la strada che sto facendo mi sta portando a giocare queste partite. Fa tutto parte del mio percorso, sono al primo anno nel tour e spero di giocare qui tra 15 anni come ha fatto Feliciano». A 14 anni papà e mamma si dividevano i tornei dove portarlo e noleggiavano un camper per contenere le spese, mentre coach Santopadre, che lo segue fin da bambino, lo stimolava a viaggiare, a cercare il confronto anche fuori dall’Italia, perché non cresci se sei il primo in casa ma uno dei tanti quando metti il naso fuori. Matteo ha sfruttato un delicato infortunio al ginocchio nel 2016 per conoscersi meglio come uomo e come giocatore, ha metabolizzato la delusione della mancata qualificazione alle Next Gen Finals dell’anno scorso nell’unico modo che conosce, faticando ancora di più in allenamento per completarsi tecnicamente e fisicamente. Servizio e dritto sono già da top player, il rovescio ogni tanto si perde ma ha trovato nuove certezze nello slice, che gli consente di usare con perizia la palla corta (uno dei colpi che ha fatto più male a Lopez), gli spostamenti laterali dall’alto del metro e 95 rimangono complessi ma la maturazione è costante anche su quel versante… [SEGUE].


Si chiama Danilovic e papà la manda sola (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

Ricordatevi questo nome, Olga. Con il cognome è più facile: Danilovic. La 17enne figlia del grande “Sasha”, miglior cestista europeo del 1998, “guardia” rimasta nella storia del Partizan Belgrado e della Virtus Bologna, è già in una semifinale del circuito WTA, per la precisione a Mosca, dove nei quarti ha rispedito a casa Julia Goerges, n. 10 del mondo e semifinalista due settimane fa a Wimbledon. Era il suo primo match contro una Top Ten. Se l’è preso in due set, 6-3 6-3, da lucky loser, ripescata, quando era a spasso sulla Piazza Rossa, nel tabellone della Moscow River Cup – un “International” da 750.000 dollari su terra battuta – dopo aver perso nelle qualificazioni contro la non travolgente Paula Badosa Gibert. Un po’ quello che è capitato a Marco Cecchinato in aprile a Budapest: il tennis, come la vita, è fatto di occasioni. «Olga è stata brava a coglierla», spiega il suo ex manager Fabio Della Vida. «Se si allenerà come deve, può diventare molto forte: tira il diritto e ancora meglio il rovescio, serve benissimo, a rete è brava e coraggiosa. Come i purosangue, però, quando non è in giornata non entra proprio in partita». Stessa grinta del padre Predrag (da cui ha preso anche l’altezza: è già 1,80), stessa bellezza e gusto per lo spettacolo di mamma Svetlana Radosevic, l’Ilaria D’Amico serba, presentatrice tv della RTS, che spesso la accompagna ai tornei. Papà “Sasha”, invece, nonostante l’amicizia con Novak Djokovic, preferisce stare a casa («Il tennis mi rende nervoso, rischio di perdere la calma») e occuparsi della sorella minore, che gioca a pallavolo, e del fratello, che nonostante l’ingombrante ombra paterna ha scelto il basket.

Danilovic senior in patria è un personaggio stranoto, un monumento dello sport che in carriera ha giocato anche nella Nba con i Miami Heat. «Il passato di mio padre non mi pesa, io gioco a tennis, lui giocava a basket e non mi ha mai raccontato nulla della sua carriera», fa però spallucce Olga, che dal 2016 si allena in Spagna nell’academy di Alex Corretja e nei tornei è seguita da Juan Lizariturry. «Da noi ha lasciato un ottimo ricordo», spiega Luigi Cenci, organizzatore del torneo Under 18 di Salsomaggiore, dove Olga è arrivata due volte in semifinale (è invece stata finalista al Lemon Bowl romano nel 2011, da Under 10, sconfitta da Elisabetta Cocciaretto). «Sempre disponibile e sorridente, specie con i bambini». L’altra faccia di una piccola diva capace di mollare gli allenamenti per correre a farsi un selfie con Djokovic (con cui ha palleggiato agli US Open), o di stupirsi perché gli organizzatori di un torneo dopo averle concesso una wild card non le avessero mandato anche un autista. Da junior ha raggiunto i quarti agli US Open nel 2017, e conquistato 3 Slam su 4 in doppio (le mancano gli Australian Open) con 3 compagne diverse, quest’anno a febbraio ha debuttato in Fed Cup nel match fra Serbia e Lettonia, vincendo i suoi tre singolari, compreso quello con la n.20 WTA Anastasjia Sevastova. La semifinale di Mosca le vale almeno il n.144 WTA (era 187), oggi alla prova del nove l’attende Aliaksandra Sasnovich, numero 42 del mondo… [SEGUE].


Berrettini, qualcosa di nuovo per l’Italia (Claudio Paglieri, Secolo XIX)

A Genova, nel match di Coppa Davis contro la Francia dello scorso aprile, Matteo Berrettini non venne fatto scendere in campo. Sul 3-1 per la squadra di Noah, a risultato acquisito, il pubblico lo avrebbe visto volentieri ma venne deciso – chissà perché – di non disputare l’ultimo singolare. Peccato, perché i genovesi avrebbero potuto ammirare dal vivo il nostro giovane più promettente. Ieri, a Gstaad, Berrettini ha confermato quanto aveva fatto intravvedere nell’Aon Challenger 2017 (uscì al primo turno), negli allenamenti a Valletta Cambiaso e anche fuori dal campo, mostrando un’umiltà e una voglia di lavorare che non tutti hanno. Il 6-4 6-3 che ha rifilato in poco più di un’ora a un giocatore esperto e fastidioso (mancino e attaccante) come Feliciano Lopez è stato molto confortante. Il ventiduenne romano approda per la prima volta a una semifinale ATP, nella quale affronterà l’estone Zopp, che ha eliminato Fognini. Berrettini ha portato nel nostro tennis maschile un tipo di giocatore che abbiamo avuto di rado: alto (1,93), fortissimo al servizio, con un dritto capace di chiudere in fretta il punto, è uno che tiene agevolmente il proprio turno di battuta (a Gstaad non lo ha ancora perso, in tre partite). Tanti dei nostri migliori giocatori, da Fognini a Volandri a Gaudenzi a Furlan, avevano caratteristiche diverse. Sanguinetti e Seppi, dotati di buon servizio, non erano al suo livello. Forse solo Camporese, e Panatta ai suoi tempi, potevano contare su una battuta altrettanto efficace. Berrettini può avere un futuro importante e aggiunge un’arma in più all’Italia di Davis, rendendola pericolosa anche sulle superfici veloci. E non solo: a Gstaad si sta confermando ottimo doppista, tanto che in coppia con l’esperto Bracciali (40 anni, quasi il doppio dei suoi) è approdato in finale.. [SEGUE].

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