A Miami è tennis-show nel tempio del football (Crivelli). Jannik, l'elogio della semplicità cresciuto sotto il segno di Federer (Bertellino). «Torino, chance enorme» (Bertellino)

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A Miami è tennis-show nel tempio del football (Crivelli). Jannik, l’elogio della semplicità cresciuto sotto il segno di Federer (Bertellino). «Torino, chance enorme» (Bertellino)

La rassegna stampa di mercoledì 20 marzo 2019

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A Miami è tennis-show nel tempio del football (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Esordio bagnato, esordio fortunato. La pioggia rinvia di un giorno il via ufficiale del combined event di Miami, rinviando la scintillante apertura del sipario sulla location da sogno della ripartenza dopo 32 edizioni a Key Biscayne: l’Hard Rock Stadium, la casa dei Miami Dolphins nella Nfl. L’idea di usufruire di uno dei templi del football americano risale al 2017, quando la ricchissima famiglia Matheson, proprietaria dell’area, decise di non concedere l’autorizzazione all’ampliamento da 40 milioni di euro di Crandon Park, dove il torneo veniva svolto dal 1987. L’evento, che negli anni 90 era il più vicino agli Slam per valore tecnico e montepremi, che ha tenuto a battesimo la prima sfida Federer-Nadal nel 2004 e la prima chiamata arbitrale con l’Occhio di Falco nel 2006, rischiava seriamente di scomparire e allora Stephen Ross, proprietario dei Dolphins, offre a quelli dell’IMG la lussuosa casa del suo team, ricevendo un milione e mezzo di euro dalla contea di Miami-Dade per aver tenuto l’appuntamento in città e riuscendo così a realizzare il sogno di fare dell’Hard Rock una location per eventi tutto l’anno. La sinergia produce una riconversione dell’area che moltiplica la qualità delle strutture, riportando il Masters 1000 di Miami ai fasti del passato. Innanzitutto, il Centrale da 14.000 posti viene ricavato all’interno dello stadio, appoggiandosi alla tribuna Sud, mentre sugli altri tre lati vengono innalzate tribune modulari e smontabili. I lavori per il Centrale iniziano ogni anno subito dopo l’ultima partita dei Dolphins. Tuttavia è il contorno che può davvero definirsi spaziale: Grandstand permanente da 5000 posti, Campo 1 e Campo 2 da 3000 e 1500 posti su tribune rimuovibili. Ci saranno 29 campi permanenti (più il Centrale temporaneo), 20 con l’illuminazione, due palestre, una all’aperto e una indoor, gli spogliatoi saranno più grandi del 70%, e l’area dedicata alla players lounge triplicherà. Non ci saranno il mare e le palme, è vero, ma sembra davvero un dettaglio.


Jannik, l’elogio della semplicità cresciuto sotto il segno di Federer (Roberto Bertellino, Tuttosport)

Il segreto di colui sul quale il tennis italiano, e non solo, sta volgendo lo sguardo, ovvero il non ancora diciottenne Jannik Sinner (numero 322 Atp), è la semplicità. Lo conferma Riccardo Piatti, coach che ne segue con Andrea Volpini la crescita da quando quattro stagioni fa è arrivato a Bordighera. «Jannik ha una grande propensione al lavoro e ha tutte le caratteristiche per diventare un giocatore di alto livello – assicura Piatti -. Stiamo operando in tal senso e l’obiettivo oggi non sono i risultati, ma la verifica della sua crescita e del superamento degli step che stiamo affrontando. E’ determinato, consapevole e fa le cose in assoluta semplicità. Cosi è facile programmare. Anche le sue risposte non sono mai banali, sia in campo che fuori. Ora stiamo preparando la stagione sul rosso che non è ancora definita». Jannik ha appena terminato un allenamento e con grande disponibilità si racconta. «Inizialmente ho provato molti sport, spinto da mio padre, e il tennis era un puro divertimento – la parole dell’altoatesino di San Candido -. Facevo sci, vista la mia origine, e non andavo male. Il tennis però mi dava e dà maggiore soddisfazione perché appaga di più il mio desiderio di gioco. Il fatto che una partita sia molto più lunga di una discesa sugli sci è più motivante. Ed anche meno pericoloso, perché con gli sci è un attimo farsi male e perdere l’intera stagione». Così, a soli 14 anni, ecco il trasferimento dalle montagne altoatesine alle atmosfere marittime. «In principio un po’ di difficoltà l’ho provata perché sei lontano da casa, dalla famiglia, dagli amici. Mi sono adattato però velocemente perché ho trovato un ambiente ideale per crescere. Cosi il tennis è diventato la mia quotidianità. A Bordighera l’impegno è di 5-6 ore quotidiane tra campo e preparazione atletica». In stagione due vittorie hanno portato Jannik sotto la luce dei riflettori: quella nel Challenger di Bergamo e nel future di Trento. «Sono solo due step nel mio percorso di crescita, anche se fa piacere vincere. La prima è stata in un certo senso più semplice perché è arrivata dal nulla e dopo un inizio di stagione non eccezionale. La tensione è salita nel corso del torneo ma l’ho saputa gestire. La seconda è stata un po’ più ostica, anche se dopo il primo turno difficile mi sono sciolto. Gli occhi di tutti erano puntati su di me, ma è ovvio che man mano che si cresce questo succeda». Tra i segreti del giovane campione, anche la tranquillità trasmessa dalla famiglia. «Un serbatoio di certezze – prosegue Sinner – perché i miei genitori mi seguono ma senza crearmi assilli e pressioni. Soprattutto in questa fase della carriera lo ritengo un atteggiamento fondamentale, almeno per me. Per altri casi magari è diverso ma io lo apprezzo e ne traggo beneficio». Sinner non si tira indietro quando gli si chiede di indicare un campione tra i campioni. «In assoluto Federer, perché il suo stile e la sua naturalezza di gioco sono esemplari. Al pari del suo comportamento in campo». Tecnicamente Jannik si sente più adatto al veloce: «E’ la superficie sulla quale ad oggi mi esprimo meglio ma occorre saper essere competitivi su tutte e anche in tale chiave stiamo lavorando. La terra rossa mi piace molto perché permette di scivolare e compiere recuperi a volte impensabili». Logico il paragone con un altro tennista che proviene dalla sua terra, Andreas Seppi. «Ci conosciamo e a volte ci incrociamo al centro di allenamento. Non ci siamo confrontati molto e non abbiamo un dialogo continuo, ma penso che ognuno debba trovare la propria strada indipendentemente dai percorsi altrui. Andreas è un modello di professionalità».


«Torino, chance enorme» (Roberto Bertellino, Tuttosport)

Riccardo Piatti conosce bene Torino perché alle Pleiadi di Moncalieri, circolo collocato nella prima cintura del capoluogo, ha costruito a fine anni ’80 e inizio anni ’90 parte della sua professionalità allenando tutti i migliori azzurri del epoca, da Caratti a Furlan, da Camporese a Pescosolido. Oggi è un coach di riconosciuta fama internazionale e così parla delle Atp Finals che Torino sogna: «Si tratta del torneo dei tornei. Arrivano a giocarlo i migliori otto della classifica mondiale, dopo un anno di sfide su ogni tipo di campo, atmosfera, condizione. Il meglio del meglio nel quale ognuno è motivato e cerca di dare il massimo. Le ho vissute in cinque occasioni e sono stato a Londra da coach due volte con Raonic e una con Gasquet. Se arrivassero a Torino sarebbe una cosa enorme, per il movimento del tennis in Italia e per tutti noi che ne facciamo parte». Difficile raggiungere gli standard organizzativi di Londra? «Sono molto alti – risponde Piatti – ma ritengo che Torino abbia dimostrato nel recente passato di saper organizzare bene anche i grandi eventi, vedi l’Olimpiade del 2006, e credo saprà ripetersi qualora ottenga l’assegnazione. E’ un’occasione irripetibile. Personalmente credo che mantenere l’appuntamento in Europa sia fondamentale per la sua riuscita, soprattutto sotto il profilo dell’interesse. A Torino arriverebbero appassionati da tutto il mondo. Quando sono state organizzate in Cina c’erano solo i cinesi o quasi. L’Atp conosce bene tale aspetto e penso sia la prima a non voler spostare le Finals dall’Europa». [segue]

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