Ritratti: quelli che... non hanno vinto Wimbledon

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Ritratti: quelli che… non hanno vinto Wimbledon

Il ‘Middle Sunday’ ci consente di fare un nuovo tuffo nel passato. Dopo i maestri dell’erba, i campioni mancati. Da Ilie Nastase a Ivan Lendl, passando per Tim Henman e Pat Rafter

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Pat Rafter - Wimbledon 2001 (foto @Gianni Ciaccia)
 

Wimbledon: breve storia dei recenti maestri dell’erba

Quello è il corridoio che porta al Paradiso. Malivai lo percorre come se conducesse all’Inferno. Paradiso o Inferno, una unica uscita, il Centre Court di Wimbledon. Finale dell’edizione 1996. Malivai Washington avverte sulle sue spalle il peso dell’attesa di tutta la nazione afroamericana, primo dopo Arthur Ashe. Alle donne è riuscito prima. Althea Gibson vinse Wimbledon nel 1957 e 1958. Sei anni prima di Malivai, Zina Garrison ha giocato la finale contro Martina Navratilova, che da buona padrona di casa, le ha dedicato il tempo di un the con biscotti. Zina era una ottima tennista e la sua carriera ebbe altre soddisfazioni, Malivai da ricordare solo l’altisonante cognome.

Buon tennista, ma una finale di Wimbledon manco nemmeno sognata. Richard Krajicek, vincitore su Pete Sampras, l’unico ad esserci riuscito a Wimbledon tra il 1993 e il 2000, ne fece un boccone solo in un match senza storia. La nazione afroamericana avrebbe dovuto aspettare solo pochi anni per vedersi trionfante nel pianeta tennis. Le sorelle Williams erano al check in, pronte per il decollo. L’anno dopo Wimbledon avrebbe riproposto una nuova finale a senso unico, tra Sampras e Pioline, per divertirsi a disquisire sulle implicazioni psicologiche causate dal (non) giocarsi due finali in due Slam diversi, contro il tennista più forte di tutti i tempi, del momento.

Tra il 1983 e il 1984, incontrare John McEnroe in un campo da tennis non era fatto gratificante a meno di non essere fieri di aver partecipato ad una performance d’arte motoria nel ruolo di spalla. A Chris Lewis nel 1984, andò meglio che ad altri, poiché gli capitò in finale, una delle più anonime che si ricordino. Troppo lo squilibrio delle forze in campo. L’anno dopo SuperMac fece ancora meglio, non riscaldandosi nemmeno per battere Connors, lasciandogli appena 4 games in tre set.

Due anni prima Jimbo gli aveva fatto lo sgambetto e John, capriccioso com’era, doveva esserla segnata. Connors aveva vinto una finale con punteggio netto nel 1974 contro Ken Rosewall, lasciandogli 6 games in 3 set, potendo così vantarsi di essere l’unico tennista a Wimbledon capace di averle date e prese di santa ragione e poterne testimoniare la differenza. In campo femminile se ne ricordano diverse di finali mai iniziate e dai punteggi imbarazzanti. Billy Jean King vs Evonne Goolagong nel 1975: 6-0 6-1; Navratilova vs Jaeger nel 1983: 6-3 6-0; Graf vs Seles nel 1992: 6-2 6-1; Kvitova vs Bouchard nel 2014: 6-3 6-0.

Una finale a Wimbledon vale una carriera. Può essere un sogno per molti, per alcuni un incubo. Ivan Lendl è sicuramente uno di questi. Lendl è stato il giocatore più forte della sua generazione. Ha attraversato quella di McEnroe, passando per Wilander, Becker ed Edberg finendo con quella di Sampras. Ha vinto 8 Slam, 5 Masters ed è il terzo giocatore ad essere stato più a lungo numero 1 del mondo. Ivan Lendl si affacciò nel tennis dei grandi da giovanissimo, portando due novità.

Una solidità fisica frutto di maniacale lavoro atletico che comportava un tennis caratterizzato da pesantezza di palla, ritmo e accelerazioni sconosciute all’epoca e soprattutto il colpire di diritto ogni volta che poteva girando intorno alla palla, spesso dando quella traiettoria oggi chiamata inside-out, con la quale martellava il rovescio degli avversari per aprirsi il campo dal lato opposto. Questa tecnica l’avrebbe sempre più affinata negli anni, divenendo un must adottato poi da tutte le scuole e accademie tennis del mondo. Lendl vinse tutto. Gli mancava Wimbledon.

Assoldò Tony Roche, una delle volée migliori di ogni tempo e sacrificò tutto o quasi per alzare il trofeo londinese. Imparò a volleare come un buon giocatore di volo, qualche piccola mancanza sulle volée basse, ma niente di invalidante e ad avercene nel tennis attuale. Tra il 1983 e il 1990 fece 5 semifinali e 2 finali che perse entrambe in 3 set, quella del 1986 con Becker e quella del 1997 con Cash. Non si fosse trovato nell’epoca dei migliori specialisti del serve&volley del tennis contemporaneo, probabilmente un titolo lo avrebbe portato a casa ed anche meritato.

Nastase aveva piedi velocissimi, gran fisico, gran talento, lingua biforcuta e un carattere focoso che gli ha reso fama e (dis)onori non meno delle sue capacità tennistiche. Fu sconfitto in finale due volte, la prima nel 1972 da Stan Smith, giocatore ricordato più per il nome che ha dato a delle scarpe che non per i notevoli meriti sportivi e la seconda nel 1976 da Bjorn Borg, cosa capitata a molti. A Nastase anche senza titolo di Wimbledon non andò male. Un US Open nel 1972, un Roland Garros nel 1973, 4 Masters.

Tim Henman, giocava bene, specie a Wimbledon. Lo chiamarono Timbledon. Grandissimo giocatore d’erba, perfetto esecutore del serve & volley e gran rovescio, fu competitivo un po’ dappertutto, anche sul rosso dove fece semifinale a Parigi nel 2004. Come Lendl, si imbatté nei migliori specialisti del gioco su erba che gli impedirono la conquista del titolo. Fu 4 volte semifinalista tra il 1998 e il 2002, sconfitto da Pete Sampras 2 volte, da Ivanisevic nel 2001 e da Hewitt nel 2002 che è la sconfitta che fa male per il livello degli altri semifinalisti, non certo paragonabile alle edizioni passate. Gli inglesi lo fanno meglio anche quando non lo fanno. Avrebbero adottato uno scozzese anni dopo pur di assegnarsi un titolo.

Rafter è considerato l’ultimo rappresentante della gloriosa scuola australiana ed era un predestinato. Pat di nome, come Cash, vincitore di Wimbledon 1997. Un segno anche questo. Meraviglioso interprete del serve&volley, giocatore abile un po’ su tutte le superfici, nel 1997 e 1998 vince gli US Open. Sempre nel 1997 è semifinalista al Roland Garros. Da un australiano però ci si aspetta vinca Wimbledon e tutto questo sembra solo un preludio. Wimbledon 2000. Rafter è in finale. C’è Sampras di mezzo, ma prima o poi qualcuno dovrà anche batterlo nel match conclusivo. Pat parte bene, vince il primo set. Pete vince il match, ribaltandolo piano piano, faticando nel secondo e nel terzo set, di slancio il quarto. Rafter partecipa così per la prima volta ad una storia scritta dal destino: l’ultima vittoria di Sampras a Wimbledon.

Quel che lo aspetta nel 2001 però ha del diabolico. Tutto sembra procedere a meraviglia nella sua direzione. Sampras viene eliminato agli ottavi da Roger Federer, promettentissimo talento svizzero che poi a sua volta si fa cacciar via da Henman. Tim è forte, ma non ha il punch del fenomeno, quindi meglio lui avanti che non Pete o Roger. Dopo aver battuto facilmente Enqvist, Rafter ritrova Agassi e lo batte in semi come l’anno prima ed è in finale. Aspetta il vincente tra un sorprendente Ivanisevic che nemmeno doveva esserci al torneo tra un infortunio e un essere un quasi ex tennista, ed Henman che oramai appare chiaro che Wimbledon per decreto del Fato non lo vincerà nemmeno se dovesse giocare la finale da solo.

La finale è con Goran Ivanisevic. Sembra tarantolato Goran. È la sua ultima, insperata occasione e anziché incartarsi parte subito avanti. Vince il primo, perde il secondo, vince il terzo, perde il quarto. Al quinto tutti scommettono su Rafter e sul crollo emotivo di Ivanisevic. Scommessa persa. Dopo un finale di set che sembra scritto dal duo Omero&Freud, Ivanisevic alza la coppa e Rafter si ritrova per la seconda volta ad essere stato scelto da una forza oscura per un accadimento sovrannaturale. Pat Rafter resterà, in epoca moderna, il tennista più forte a Wimbledon a non averlo mai vinto.

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