In campo con Matteo Berrettini: la video-intervista di Eurosport

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In campo con Matteo Berrettini: la video-intervista di Eurosport

A poche ore dall’esordio all’Australian Open, vi proponiamo un’intervista molto interessante realizzata da Federico Ferrero e Jacopo Lo Monaco. Sapevate, per esempio, com’era il suo ‘vecchio’ rovescio?

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Matteo Berrettini - Vienna 2019 (foto via Twitter, @atptour)
 

Mancano poche ore all’esordio di Matteo Berrettini, a cui l’urna ha regalato un accoppiamento non certo proibitivo contro la wild card locale Andrew Harris (25 anni, numero 162 del mondo). Matteo scenderà in campo all’una (orario italiano) sulla Melbourne Arena, due mesi dopo l’ultimo impegno ufficiale – la sconfitta contro Taylor Fritz alle finali Davis di Madrid. Berrettini non ha disputato esibizioni né tornei in preparazione all’Australian Open, anche a causa di un piccolo infortunio addominale che l’ha convinto a rinunciare all’ATP Cup.

Durante l’off-season il numero otto del mondo è stato raggiunto a Montecarlo – dove ha residenza e si allena – da Jacopo Lo Monaco e Federico Ferrero per conto di Eurosport, con lo scopo di realizzare una video-intervista che da oggi è disponibile anche sull’on demand di Eurosport Player. Sui campi del Country Club, Matteo si è anche prestato a una breve analisi dei due colpi di cui ha maggiormente modificato l’esecuzione da quando ha cominciato a giocare a tennis, la seconda di servizio e il rovescio, ma ci arriveremo per gradi dopo aver riportato le parti salienti dell’intervista.

Sono nato con la racchetta in mano” è la frase con cui Matteo risponde alla prima domanda di Ferrero. “Non ero un baby-campione, una stella che sembrava dovesse arrivare prestissimo nel tennis che conta, però mi piace confrontarmi con me stesso sin da quando sono piccolo. Vivo qualsiasi cosa con agonismo. Verso i 16-17 anni ho davvero deciso di diventare un tennista“. Prima ancora, quando Matteo aveva 14 anni, è avvenuto l’incontro con Vincenzo Santopadre che probabilmente ha cambiato per sempre la sua carriera indirizzandolo verso uno stile di gioco molto più moderno e adatto alle superfici veloci. Matteo, infatti, era impostato come un giocatore italiano ‘vecchio stile’: “Sono nato e cresciuto a Roma: Roma è terra rossa. Nonostante l’altezza ero abbastanza agile quindi mi piaceva remare e stare dietro, ma quando Vincenzo ha visto che continuavo a crescere tanto mi ha detto tu dovrai fare i buchi per terra con il servizio, non sarai un giocatore che imposterà la partita su tanti colpi‘”.

Non serve sottolineare quanto Santopadre ci abbia visto lungo, e Matteo non ne fa mistero: “Come dico sempre, scegliete un allenatore e fidatevi di lui perché sa cos’è meglio per voi“. Nell’inverno del 2018 per esempio, quello che ha preceduto la stagione della consacrazione per Matteo, si è rivelata vincente la scelta di fargli svolgere gran parte della preparazione su una superficie veloce. “In passato non lo avevo mai fatto. Sono uscito un po’ dalla mia comfort zone, perché nonostante la maggior parte dei tornei si giocasse sul veloce tendevo ad allenarmi molto sulla terra“. Grazie alla cura di questi dettagli, Berrettini è diventato un giocatore competitivo su tutte le superfici tanto da rendergli ardua la scelta della superficie su cui giocare ‘il match della vita’: “Oggi però direi cemento all’aperto“. E se fosse necessario scegliere un compagno di doppio, la scelta ricadrebbe su Federer.

Lo stesso Federer che, battendolo nettamente agli ottavi di Wimbledon nel primo grande torneo giocato da Berrettini, gli ha dato probabilmente la spinta decisiva per salire ancora di livello e raggiungere le semifinali allo US Open. ‘L’incontro con il Papa in Vaticano’, come lo definisce ironicamente Ferrero, si è trasformato in un pomeriggio londinese da incubo. “Wimbledon è stata prima di tutto un’esperienza bellissima, ho vinto tre partite molto significative. Nella prima ero sotto di un set e un break, la seconda è stata l’ultima di Baghdatis e la terza l’ho vinta al quinto set annullando tre match point. Sono arrivato agli ottavi con tante energie sprecate, poi è ovvio che Roger sul centrale di Wimbledon gioca forse uno sport diverso“.

Matteo Berrettini e Roger Federer – Wimbledon 2019 (via Instagram, @matberrettini)

Slam successivo, Matteo approda a New York e fa il botto. Aveva sempre avuto la sensazione che quello fosse il ‘suo’ posto? “No, anche perché la stagione precedente avevo perso al primo turno una partita ‘così così’ (contro Denis Kudla, ndr) e poi preferisco l’atmosfera di Wimbledon a quella caotica di New York. Ricordo che durante un allenamento non riuscivo a sentire quello che diceva Vincenzo dall’altra parte della rete, tra brusii e aerei che passavano. New York è una città che ti porta via tante energie. Non arrivavo con l’aspettativa di fare un torneo del genere, poi evidentemente me lo sono fatto andare giù“.

È stato ovviamente il torneo che più degli altri gli ha permesso di ottenere i punti necessari a disputare le ATP Finals, dove Matteo è stato eliminato a testa alta nonostante le sconfitte contro Djokovic – primo incrocio in assoluto – e ancora Federer. Avendo affrontato anche Nadal a Flushing Meadows, Berrettini ha già avuto modo di confrontarsi con i tre giocatori più forti di questa epoca. Cos’è che li rende così difficili da battere?

Si parte con il numero uno del mondo: “Di Nadal non va mai sottovalutato il fatto che è mancino. Il rovescio dà molto fastidio perché la palla arriva molto tesa, ha una grandissima mano; è completo a tutti gli effetti. Poi sai che non ti mollerà neanche un quindici, questa è una cosa che lui ti fa sentire“. Poi è il turno di Federer: “Di Roger mi ha impressionato la facilità con cui riesce a fare tutto. Ti studia e sa che può fare qualsiasi cosa, non c’è un colpo giocato il quale puoi dire ‘adesso lui per forza dovrà giocare lì’. A Wimbledon mi ha confuso perché non faceva mai due volte la stessa cosa e così è difficile perché ti toglie i punti di riferimento. Allo stesso tempo sta molto vicino al campo e ti toglie il tempo, e quando viene a rete sembra un muro. Ho pensato ‘adesso che faccio, gli sparo?’“. Si chiude con Novak Djokovic: “Credo che sia il miglior risponditore del circuito. Ha una elasticità impressionante, difende in maniera paurosa e ha molta facilità con il rovescio. Anche il servizio è un colpo molto sottovalutato perché varia molto. Ho visto le statistiche del match che ho giocato contro di lui alle Finals: ho servito il 73% di prime e 200 all’ora e lui rispondeva sempre profondo. Disinnescata quell’arma, per me diventa complicato fare il punto“.

IN CAMPO

Per avere l’opportunità di esibirsi nello stesso contesto di questi campioni, Berrettini ha dovuto migliorare molto. Non è lo stesso tennista di due anni fa, anche in ragione di un paio di miglioramenti tecnici per ottenere i quali è stato decisivo l’intervento del suo team. “Dalla parte sinistra del campo ho fatto un grande salto di qualità, riesco a mischiare bene le carte con lo slice quindi sono più imprevedibile sotto quel punto di vista. Ho anche incrementato molto velocità e imprevedibilità della seconda palla, ma anche la solidità perché altrimenti si rischia di fare troppi doppi falli. Ho lavorato anche sul dritto, sulle situazioni in cui la palla mi arriva con meno rotazione facevo un po’ di fatica“.

Matteo e Jacopo Lo Monaco prendono in mano la racchetta per mostrare praticamente in cosa consistono le evoluzioni tecniche compiute dal tennista italiano, come evidenziato da questa clip pubblicata da Eurosport su Twitter.

Quando ero piccolo, sul rovescio, aprivo con il gomito alto e un po’ piegato” racconta Matteo, “e abbiamo lavorato anche sulla rotazione del busto perché arrivavo un po’ in ritardo“. Berrettini si esibisce prima nel vecchio rovescio e poi in quello attuale (eseguito con le braccia tese), che a detto dello stesso Santopadre ha dovuto imparare quasi da zero soprattutto nella variazione in lungolinea.

Berrettini mette anche a confronto la ‘vecchia’ seconda di servizio con quella che ha messo a punto lo scorso anno, “un colpo con il quale ho iniziato anche a cercare il punto, soprattutto quando mi sento meno sicuro da fondocampo. La seconda che giocavo in passato aveva molta rotazione, la mettevo spesso dentro ma era troppo prevedibile e non faceva male”. Quella che gioca adesso, come conferma lo stesso Lo Monaco dall’altra parte del campo, “arriva molto prima”. La lucidità di analisi di Matteo è la consueta, una qualità che tra le altre cose gli ha consentito di progredire oltre le aspettative. Adesso però è nuovamente il tempo di far parlare il campo.

Matteo Berrettini – Australian Open 2020 (via Twitter, @AustralianOpen)
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