La nuova vittoria di Fognini al quinto set (Crivelli, Semeraro, Clerici). Dolce Wozniacki, è lungo l'addio (Azzolini). C'era una volta Sharapova (Sisti)

Rassegna stampa

La nuova vittoria di Fognini al quinto set (Crivelli, Semeraro, Clerici). Dolce Wozniacki, è lungo l’addio (Azzolini). C’era una volta Sharapova (Sisti)

La rassegna stampa di giovedì 23 gennaio 2020

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Fognini, il maratoneta (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Chi di rimonta ferisce, di rimonta perisce. Trascinati da un messia piuttosto improbabile e con i baffetti alla Burt Reynolds, all’approssimarsi della mezzanotte australiana i 10.500 tifosi urlanti della Melbourne Arena si danno di gomito al pensiero della parabola evangelica: sta a vedere che quel satanasso di Fognini capace di risalire per otto volte in carriera da 0-2 sotto, stavolta subisce il contrappasso. Un pensiero, tra l’altro, che in quel quinto set infinito alberga a intermittenza pure nella testa di Fabio: «Sì, a un certo punto ho pensato davvero di perderla». Sarebbe stata un’atroce vendetta del destino dopo l’impresa spalmata su due giorni contro Opelka: perché Fognini, stavolta, prende subito il largo contro Jordan Thompson, numero 66 del mondo, e nel secondo set dà perfino spettacolo. Tanto da scomodare un paragone quasi irriverente: «In quel momenti sembravo Federer». Ma quando Fognini non sfrutta due palle break nel primo game del terzo set, il vento cambia: «Per forza, ho fatto il figo e l’ho pagata. Lui faceva numeri che vanno oltre la sua classifica perché io avevo dolori dappertutto: ai piedi, al tendine destro, alla caviglia sinistra. Poi credo di aver avuto anche un calo glicemico. Forse sto cominciando a diventare vecchio». […] Della seconda maratona in 72 ore, però, potrebbe accorgersi il fisico ammaccato, in vista di un incrocio delicato contro l’argentino Pella, che è un mancino fastidioso e ti fa correre molto: «Spero di recuperare bene – ammette Fognini — e non so nemmeno se mi allenerò prima del match, magari mi faccio un giro per Melbourne». […] Intanto, dopo gli squilli di tromba dell’ultima parte del 2019, il tennis italiano si ritrova a ringraziare una volta di più i soliti noti: con Fabio, l’altro ancora in corsa è l’eterno Seppi (gioca nella mattinata italiana con Wawrinka). Non è un passo indietro, bensì il normale assestamento nella crescita imperiosa di Berrettini e Sinner. Matteo per poco non recupera una partita complicatissima contro Sandgren, ma nel quinto un paio di scambi decisivi prendono la strada dell’America: «Questa partita mi servirà parecchio. La caviglia destra mi dà ancora un po’ fastidio, è una questione di struttura fisica e ci devo convivere. Quando mi sono fatto male agli addominali, ho capito che non avrei potuto giocare l’Atp Cup ed era in dubbio anche l’Australian Open, quindi sono già contento di averlo giocato». Quanto a Jannik, l’ungherese Fucsovics è ancora troppo solido ed esperto, anche nel maneggiare il vento: «Non stiamo qui a parlare del meteo, lui ha fatto meglio di me. Devo imparare a battere questi giocatori, i 40, 50, 60 del mondo. Piano piano ci arriverò».

Estasi e tormento, Fognini-show (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

Jake LaMotta e Sugar Ray Robinson, ma nella stessa persona. Sangue sulle nocche (per i cazzotti dati alla racchetta, non all’avversario) e polvere magica sulle corde. Il corpo che urla, l’anima che gode. E alla fine le vene grosse sul collo, le mani a coppa sulle orecchie. Il labiale a sferzare la torcida australe: «Come dite? Non vi sento…». Il Fogna, delirio ed estasi, è ancora nel torneo. Dopo i centimetri da pivot dello yankee Opelka, rimontato da due set sotto, ha rispedito a casa anche il local hero Jordan Thompson, che si era illuso di averlo messo al tappeto. Sinner e Berrettini, l’Italia che avanza, hanno fatto check out. Fognini il maratoneta resiste. «Il primo set l’ho vinto ma ho giocato malino – racconta – nel secondo sembravo Federer. Mi riusciva tutto, il guaio è che ho iniziato a pensare troppo. A inizio del terzo ho giocato un game stupido, e ho temuto che la partita mi sfuggisse. Thompson ha iniziato a fare dei numeri che vanno oltre la sua classifica perché io avevo dolori ovunque. Credo di aver avuto 75 matchpoint Poi per fortuna ho giocato un grande tie-break». […] «Ero preoccupato – ammette – perché avevo davvero male a piedi, al tendine destro, alla caviglia destra. Credo di aver avuto anche un calo di zuccheri. Mi sentivo spappolato. In testa mi è passato di tutto». La morale? «Il tennis è uno sport stronzo. E io forse sto diventando vecchio». […] Il sentiero che porta lontano, nello Slam che più di tutti assomiglia a una Via Crucis – ogni turno una sofferenza – passa per un terzo turno con Guido Pella. Caviglia e anagrafe permettendo. Il bilancio dei precedenti è 2-1 per il gaucho, ma l’ultimo se l’è preso in Davis il Fogna. «Altri cinque set? Okay, li gioco. Ma solo se mi dite che vinco…. Lui e un mancino che corre molto e gioca meglio con il rovescio, adesso però non voglio pensarci. Vediamo come mi sveglio e a che ora. Ho tanto di quel tennis nelle gambe che quasi quasi invece di venire qui mi faccio un giro in città». Magari lo fa davvero.

Berrettini poteva pensarci prima, e Fognini ringrazia i 75 match point (Gianni Clerici, La Repubblica)

Non avevo visto il primo turno di Berrettini, vinto facilmente tre set a zero contro lo sconosciuto australiano Andrew Harris, ma mi avevano detto che era in cattive condizioni fisiche. Non ho visto nemmeno il secondo, contro Tennys Sandgren, il n. 100 del mondo, ma ho letto le dichiarazioni di Matteo, che riferisco insieme al risultato della vicenda. «So che questa partita mi servirà parecchio per quelle future. Sono uno che chiede tanto a se stesso, ma alcune volte devo un attimo tranquillizzarmi La caviglia destra mi dà ancora un po’ di fastidio, lavoro tutti i giorni, ma è una questione di struttura fisica». Io mi permetterei quindi di accertare se qualcuno che non è in grado di giocare deve andare sino a Melbourne per accertarsene. Forse è così, ma non poteva finir meglio la partita contro l’americano Tennys Sandgren e poi continuare il torneo con miglior fortuna? Mentre lascio al lettore la risposta mi soffermo a rivedere la partita dell’altro italiano Fabio Fognini, che è riuscito a battere 7-6 (4), 6-1, 3-6, 4-6, 7-6(10-4) Jordan Thompson, dotato di un gran servizio in grado di trascinarlo spessissimo a rete «dopo 75 match point», dirà lui. In realtà sono stati 5, 2 nel 10° game e 2 nel 12, più quello decisivo nel supertiebreak finale. Prima di assistere alla vicenda di Fognini avevo visto ringhiare Serena Williams, ignorando i diritti della volenterosa avversaria, la serba Tamara Zidansek e appariva addirittura disumana nella ricerca del punto che coglieva, quasi al posto della racchetta avesse in pugno un’arma contundente. In tribuna la seguiva compiaciuto di quella violenza il coach Mouratoglou che vorrebbe anche lui, per interposta Serena eguagliare il numero di 24 Slam della vecchia australiana Margaret Court Smith, alla quale è intitolato uno dei tre campi coperti messi a protezione dal clima avvelenato dai recenti incendi australiani. In proposito Alexander Zverev si è segnalato promettendo il suo primo, eventuale premio in danaro, per le vittime, nel caso vincesse il torneo.

Dolce Wozniacki, è lungo l’addio (Daniele Azzolini, Tuttosport)

E’ l’ultimo torneo, ma c’è ancora tempo per insegnare qualcosa alle giovani apprendiste. Caroline Wozniacki i modi da professoressa li ha sempre avuti. Paziente, mai esagerata, una che si è costruita la carriera con argomenti solidi. Gambe da corsa, palleggi prolungati, visione chiara della partita. A ventinove anni non è troppo presto per passare la mano, né troppo tardi per avere rimpianti. Ma lei ha deciso. Basta tennis. Vuole fare la mamma e occuparsi d’altro. Caro è stata la numero uno, ha condotto il gruppo quando la sua amica più grande, Serena Williams, ha subito gli infortuni che ne hanno spezzettato la carriera. Lei, atleta a tutto tondo, era “la più forte a non aver mai vinto uno Slam”. Ma alla fine ha chiuso anche quella parentesi che era diventata sin troppo ingombrante… successo due anni fa, proprio a Melbourne. Si è presa lo Slam e ripresa il primo posto in classifica. Per questo ora è pronta a farsi da parte, si è sposata (l’anno scorso, in Toscana, con David Lee, stella del basket) ed è convinta che tutto quello che doveva essere fatto ha trovato alla fine una collocazione nella sua vita. L’unico problema spetta alle altre risolverlo. Chi riuscirà a batterla? Ieri ci ha provato Dayana Yastremska, 19 anni, numero 21 Wta, ucraina dal tennis pesante, muscoloso. «Mi stava soffocando», racconta Woz, «così mi sono detta che era giunto il momento di allungare gli scambi. Non pensavo di crearle così tanti problemi, ma la variazione degli schemi del match le ha tolto sicurezza». E alla fine, ha perso la giovane Yastremska. Avanti un’altra, dunque. Caro è ancora in piedi.

C’era una volta Sharapova. Piatti è l’ultima chance (Enrico Sisti, La Repubblica)

«Dolcissima Maria, non voltarti più», cantava la Premiata Forneria Marconi. Forse Maria Sharapova farebbe bene a seguire il loro lontano consiglio e magari ascoltare quella magnifica canzone. Maria è sotto attacco e non sa più difendersi. Urla come urlava prima: “Solo che adesso“, scrivono in Australia dove Maria ha salutato lo Slam al primo turno, accecata dalla rabbia giovane di Donna Vekic, “Maria urla come le avessero strappato un cerotto dalla pelle più tenera, urla come dopo una telefonata sgradevole, urla perché si rende conto di essere alle prese con una questione ormai più grande di lei, e non può (più) vincere“. I colpi escono ma sono carezze. Maria va capita. Non si torna grandi perché si decide di farlo. Non a 32 anni e non dopo un’operazione alla spalla dalla quale ti risvegli, si, ma pieno di dubbi. Maria non è più stata lei, non ha più servito come prima e vederla muoversi a fondo campo (che già non è mai stata una sua virtù peculiare) era diventato uno strazio: «Uno può anche fare le cose giuste – ha ammesso – ma se non credi in te stessa è tutto inutile». Vero. Quando lei perde, ormai, perde una qualsiasi. Forse è questo che più l’addolora. Se al primo turno di un Australian Open esce la futura n. 366 del mondo, chi volete che ci faccia caso? Nemmeno se è Maria, la ragazza che stravolse il tennis a 17 anni prendendosi Wimbledon come se non avesse fatto altro in vita sua. Il suo grunting l’urlo in campo, era diventato un marchio di fabbrica del nuovo tennis femminile, muscolare, occhi dolci e cuore cacciatore, lunghi capelli biondi e ferocia inaudita. Maria ha cercato di rigenerarsi. Le ha provate tutte. Forse anche qualcosa di troppo. Tanto è vero che l’hanno inchiodata per aver fatto uso di Meldonium, il farmaco sintetizzato in Lettonia negli anni 80, si dice, per aiutare le truppe russe in Afghanistan, e messo fuorilegge dalla Wada con provvedimento postumo. Ma in realtà nessuno sapeva a cosa servisse e forse non lo sapeva nemmeno Maria. A quel punto il sospirato ritorno diventava una scalata a mani nude. Da qualche mese Maria si è messa a disposizione di Riccardo Piatti. Doveva essere solo per un breve periodo. Poi la “belva” si è accorta di trovarsi bene a Bordighera. Piatti l’ha accolta e protetta: «Lasciatela lavorare in pace». Anche per lui, uno dei più talentuosi coach del mondo, era una sfida: «Ho allevato e allenato ragazzi ma non mi era mai capitato di confrontarmi con una campionessa così». Forse, dentro, non le va più. Forse ha voglia di un’altra vita. E stata una meraviglia, Maria. In campo la sua testa andava al doppio della velocità delle altre. Aveva una capacità di concentrazione fuori dalla norma. Aveva. Avrà ancora? Cedeva solo a Serena. Ora dice: «Non ho la palla di vetro. Non ho idea di come sarà il mio 2020». […]

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