Berrettini torna in USA. Da domani circoli aperti (Tuttosport). Giocare a distanza (Mecca). «Un bacio indimenticabile» (Valenti)

Rassegna stampa

Berrettini torna in USA. Da domani circoli aperti (Tuttosport). Giocare a distanza (Mecca). «Un bacio indimenticabile» (Valenti)

La rassegna stampa di domenica 3 maggio 2020

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Berrettini torna in USA. Da domani circoli aperti (Tuttosport)

Prove di ripartenza. Non soltanto nei circoli italiani. In Germania, ad esempio, è già cominciato un torneo di esibizione a porte chiuse e senza raccattapalle, con le regole delle Next Gen Finals milanesi. L’evento si chiama Tennis Point Exhibition Series, a Hoehr-Grenzhausen, nella Renania. Torneo per residenti, con Dustin Brown, Yannick Hanfmann, Benjamin Hassan, Constantin Schrnitz, JohannesHaerteis, Jean-Marc Werner e Florian Broska. Ma è pronto a ripartire anche Matteo Berrettini. Dall’8 al 10 maggio il n. 8 del mondo disputerà un’esibizione del circuito UTR Pro Match Series (Universal Tennis Ranking) a West Palm Beach, in Florida. Matteo ha trascorso il periodo di isolamento a Boca Raton, poco distante, con la fidanzata Ajla Tomljanovic. Gli altri partecipanti sono Tennys Sandgren, Reilly Opelka e Tommy Paul. Tutto a porte chiuse e il solo giudice di sedia con i giocatori. Intanto la federtennis Usa ha confermato date (24-agosto-13 settembre) e sede, New York, dell’Us Open. Possibili le porte chiuse. La decisione definitiva sarà comunque presa a metà giugno. La buona notizia, in Italia, è che da domani si ricomincerà. Potranno tornare ad allenarsi tutti i giocatori tesserati Fit che abbiano una classifica di 1a e 2a categoria nel Tennis, nel Padel e nel Beach Tennis. Tutti tenuti ad osservare scrupolosamente, le disposizioni. E queste cambiano di regione in regione. Il tennis nello studio del Politecnico è stato considerato il più sicuro.

Giocare a distanza (Giorgia Mecca, Il Foglio)

Dal 4 maggio, Matteo Berrettini, Fabio Fognini, Jannik Sinner e tutto il team azzurro della racchetta potrà tornare in campo dopo quasi due mesi di pausa forzata. In totale sono quasi duecento, tra uomini e donne, i professionisti riconosciuti di interesse nazionale da parte del Coni che ricominceranno ad allenarsi, tra circoli chiusi, spogliatoi inaccessibili e distanza di sicurezza obbligatoria. “È il primo passo per riaprire la pratica di base in tutti i club“, dice al Foglio il presidente della FIT Angelo Binaghi. “Sono contento che da parte del governo sia stata fatta una distinzione tra sport di squadra e sport individuali non di contatto, come il tennis e l’equitazione, che in altri paesi sono già ripartiti“. Al momento, in Italia, la rete come barriera, il report del Politecnico di Torino che indica il tennis come sport con un fattore di rischio di contagio quasi inesistente (0,1), gli oltre venti metri di campo che separano i giocatori e garantiscono la distanza di sicurezza, sembrano però ancora troppo pochi per i quasi quattrocentomila tesserati della Federazione che non hanno classifiche mondiali da difendere. Binaghi è fiducioso: “Stanno riaprendo i parchi, io credo che sia nell’interesse del paese fare lo stesso con i circoli di tennis, usando i presidenti dei club come persone incaricate di controllare il rispetto delle misure di sicurezza. Dirigenti sportivi e operatori vanno responsabilizzati, solo così si può ricominciare senza timore di contagi“. Buon senso e rispetto delle regole, insomma. La Fit ha stilato un decalogo per i praticanti che prevede mascherine prima di entrare in campo, gel disinfettante a profusione, guanti, nessuna stretta di mano e palline personalizzate per ogni giocatore. Ci si abituerà a tutto, anche a non usare gli spogliatoi, pur di ritornare in campo. E i professionisti dovranno rinunciare ai loro privilegi: niente raccattapalle e ragazzini usati come portasciugamani o reggiombrelli. Il tennis maschile italiano prima dello stop stava vivendo il suo momento d’oro, con otto azzurri tra i primi cento al mondo. “Non sono preoccupato per loro. Berrettini era infortunato e credo che stare lontano dalla racchetta gli abbia fatto bene, Sonego aveva un problema al polso e adesso sta guarendo, Sinner tornerà più maturo di prima. Due mesi non bastano a rovinare un percorso di anni. Ciò che mi terrorizza è il futuro del movimento sportivo di base, i novemila insegnanti che non ricevono lo stipendio da due mesi, i circoli piccoli che rischiano di non riuscire a riaprire dopo questo stop. Ma questi sono problemi che il ministro per lo sport Vincenzo Spadafora conosce molto bene“. “Se non ci saranno scenari apocalittici, gli Internazionali d’Italia si faranno sempre a Roma nel mese di settembre o ai primi di ottobre. L’extrema ratio sarebbe fare un’edizione speciale degli Internazionali, versione indoor, a Milano oppure a Torino. L’ipotesi più ottimistica è quella di garantire le porte aperte al pubblico, con posti distanziati e misure di sicurezza anticontagio.” […] In uno dei suoi ultimi Tweet Federer ha proposto di unire le due organizzazioni che sovrintendono il tennis, quella maschile e quella femminile. “Sono d’accordo con Federer – dice Binaghi – e anzi rilancio aggiungendo anche la Itf, l’organizzazione internazionale del tennis che rappresenta la più bassa categoria del tennis professionistico. Raggruppandole in un’unica associazione sarebbe più facile gestire tutto il tennis internazionale. Avrei anche già un nome per la presidenza – ride – Andrea Gaudenzi“. […]

«Un bacio indimenticabile» (Gianni Valenti, Sportweek)

La vita di Francesca Schiavone è come un film d’azione. Trentanove anni intensi, ricchi di emozioni, gioie, fatiche e dolori. La storia di una donna cocciuta, forte come l’acciaio, un po’ ribelle ma sempre coerente con le sue idee. Una donna per la quale o è bianco o è nero, che ha fatto della libertà personale, sua e degli altri, un valore irrinunciabile. Una campionessa che ha reso grande lo sport italiano nel mondo conquistandosi un posto nella storia del tennis con la vittoria al Roland Garros del 2010. «Questi dieci anni sono volati, quando mi volto indietro sembra davvero ieri. E invece una generazione del tennis è finita, tante di noi hanno smesso. Ma io sono contenta di aver vissuto quel periodo perché, probabilmente, è stata una delle epoche più importanti della storia del nostro sport. Oggi tutto è più veloce però mancano al circuito giocatrici di spicco come Monica Seles, Justine Henin, Kim Clijsters e le sorelle Williams nel pieno del rendimento, tanto per citare solamente alcuni nomi. Loro erano in grado di fare vero spettacolo».

E allora proviamo a riavvolgere il nastro dei ricordi. Parigi, ore 14 di sabato 5 giugno 2010. Spogliatoio del Court Philippe Chatrier, un’ora alla finale contro Samantha Stosur. Chi c’era assieme a te? Che cosa facevi?

Ero sola, dentro uno stanzone immenso. Dall’altra parte c’era la mia avversaria. Non la vedevo. né la sentivo. Ogni tanto entrava l’addetta dell’organizzazione per controllare che tutto fosse a posto. Io camminavo, camminavo. E poi mi sedevo sui divanetti per cercare la concentrazione. Provavo una sequenza continua di stati d’animo diversi: paura, eccitazione, felicità. Così per una mezz’ora. Poi il riscaldamento in un corridoio stretto stretto con il mio preparatore storico Stefano Barsacchi. Nel tunnel prima di entrare in campo Samantha era davanti a me, di fianco c’era la supervisor del torneo, anch’essa australiana. Stavamo per entrare ed è partita la musica del Gladiatore, la canzone di uno dei miei film preferiti, che ho visto decine di volte. È stato un attimo, mi sono connessa immediatamente con le mie emozioni da guerriero, lo stress è sparito.

Lei era la favorita. Dopo un’ora e trentotto minuti di battaglia hai vinto 6-4 7-6. Come l’hai battuta?

Con una scelta tattica. Il giorno prima, durante l’allenamento con Corrado Barazzutti, gli ho detto: “Lavoriamo principalmente sulla risposta”. Avevo deciso che contrariamente al solito avrei aggredito il suo servizio. Lei giocava molto bene il kick, soprattutto sul rovescio. La mia scelta è stata fare due passi dentro al campo per colpire la pallina nella fase ascendente, d’anticipo. Sapevo che l’avrei sorpresa, non se lo sarebbe mai aspettato. Perché è molto difficile rispondere in questo modo giocando a una mano. Cosi è stato. Avere uno schema preciso prima di entrare in campo voleva dire aver già fatto più del cinquanta per cento per vincere. E in ogni caso nella mia testa c’erano anche un piano B e un piano C.

La fotografia che incornicia la tua carriera è quella che ti immortala mentre baci il campo del centrale del Roland Garros dopo la vittoria. 11 sapore di quella terra lo ricordi ancora?

Sì, assolutamente. Per alcuni secondi c’eravamo solo io e lei, la mia terra. Mi sono stesa e l’ho baciata. Bellissimo, indimenticabile. Il rosso è stato il terreno dove sono cresciuta come tennista e dove ho vinto di più.

A proposito, a Parigi potevi fare il bis l’anno successivo contro la Li Na. E invece?

L’arbitro di sedia, Louise Engzell, incredibilmente giudicò dentro una palla della cinese che invece era nettamente fuori, lo dimostrarono anche le immagini televisive. Eravamo sul 6-5 per me, 40 pari nel secondo set. Sarebbe stato il set point e andavamo al terzo. Io ero in crescita, lei in discesa. Insomma me la sarei giocata fino in fondo. Quella scelta sbagliata mi mandò in tilt e persi la partita. Non ho mai chiesto all’arbitro il perché di quella decisione. Spero vivamente fosse convinta della sua chiamata.

Nelle emozioni della tua vita dove collochi la vittoria del Roland Garros?

Al secondo posto. Al primo c’è la vita. Essere in vita.

Già, l’altra tua grande finale è stata quella contro il tumore, cominciata nel maggio dello scorso anno su un terreno ben diverso: da un lato l’ospedale di Tor Vergata, a Roma, dove ti sei sottoposta alle cure, dall’altro il rifugio nella tua casa di campagna, nella provincia bresciana.

Inutile dire che è stata la battaglia più dura della mia vita, non è comparabile con nessuna altra cosa che mi è successa. Alle volte ci penso ancora e so che un po’ sono nelle mani di Dio e un po’ nelle mie. D’altra parte non è che con il tumore chiudi la partita e finisce tutto. Adesso sto bene ma dentro un po’ di paura rimane, in particolare nei momenti in cui mi avvicino agli esami di controllo. E sarà così ancora per qualche anno. Quando ti trovi lì e devi aprire il referto… beh, non è facile. Poi vedi che è tutto ok e allora vai a bere una coppa di champagne. È una paura molto diversa da quella che in passato ho provato sul campo da tennis. È stata, e a tratti lo è ancora, una paura che ha un nome talmente forte che nessuno conosce, perché nessuno è ritornato da quel mondo. Ecco, solo l’idea che un giorno potrei rivivere quei dolori fisici e mentali è davvero pesante.[…]

Molto spesso in casi come il tuo ci si avvicina o riavvicina alla religione per trovare conforto, appoggio. È successo anche a te?

Nonostante le pazzie che ho fatto durante la mia vita, sono sempre stata una persona che quando aveva la possibilità andava a messa e diceva le sue preghierine prima di andare a dormire. Questa pratica è notevolmente aumentata durante la malattia. Mi ha dato una forza incredibile. Spesso ero da sola in casa con i miei pensieri e in quei momenti ho chiesto tantissimo. E ho fatto un paio di promesse: una la sto portando avanti, l’altra ancora la devo mantenere. […]

Detieni ancora un record particolare: hai giocato la partita più lunga della storia del tennis femminile agli Australian Open dei 2011 contro la russa Svetlana Kametsova vinta al terzo set (16-14) dopo 4 ore e 44 minuti.

Ricordo bene quel match, lei tirava a duecento all’ora di dritto e io rispondevo pan per focaccia, incredibile. Giocavamo bene, è stato vero spettacolo. E non finiva più. Basti pensare che gli highlights durano ventisette minuti. Il giorno dopo non riuscivo praticamente a muovermi. Lo sforzo era stato enorme.

Hai avuto amiche nel tennis?

No.

E Flavia Pernnetta?

La conosco da quando era nana e rompiscatole. Negli anni il nostro rapporto si è rafforzato sempre di più. Ma l’amicizia, quella vera, bellissima, è sbocciata l’anno scorso mentre io ero sotto chemioterapia e lei stava aspettando la bambina, Farah. Avevamo più o meno le stesse reazioni fisiche originate però da qualcosa di diverso.[…]

Quando questo virus sarà finalmente alle spalle cosa ci aspetta?

All’inizio vivremo in un mondo dove ci sarà più amore. La gente stando a casa si è resa conto di tante cose. Di quanto siamo fortunati, di quanto importante è avere degli affetti. Poi, però, riprenderemo il ritmo pazzo dell’essere umano e ognuno farà i propri interessi.

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