Se la montagna non va a Maometto... c'è chi trasforma l'orto in campo da tennis

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Se la montagna non va a Maometto… c’è chi trasforma l’orto in campo da tennis

Arthur Reymond, numero 589 della classifica ATP, per ovviare all’impossibilità di allenarsi ha deciso di costruirsi con le proprie mani il luogo di lavoro. “Francamente non so se lo rifarei”

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Arthur Reymond con suo padre
 

Tra le controindicazioni della pandemia che sta sconvolgendo le abitudini del mondo ce n’è una che in particolare attanaglia l’umore dei tennisti: l’impossibilità di spostarsi da casa, unita alla chiusura coatta dei circoli, ha negato a lungo ai professionisti della racchetta la pratica quotidiana dell’allenamento, ma c’è qualcuno che, con tanta sagacia e maggiore fatica, è riuscito comunque a eludere il problema.

In questo caso il protagonista della storia è Arthur Reymond, ventunenne residente nei pressi di Tolosa attualmente collocato alla posizione numero cinquecentottantanove del ranking ATP. Costretto come tutti a non muoversi dalla propria abitazione, egli ha cercato di tenersi attivo suonando la chitarra e coltivando il proprio hobby principale, ossia riparare motocicli e macchine anziane, ma il richiamo della pallina gialla lo assillava ogni giorno di più.

Ci ricordavamo che nel giardino dei nostri vicini ci fosse un campo da tennis, quindi io e mio padre siamo andati da loro per chiedere se potessimo usarlo e per verificarne le condizioni. Era un campo di patate, quasi nel senso letterale del termine. Non era utilizzabile per nessuna pratica simile al tennis. Una volta a casa mio padre mi ha detto che qualora me la fossi sentita avremmo potuto ricostruire il campo, e ho accettato“.

Il lavoro è subito sembrato in salita, considerata in primo luogo la quasi completa mancanza di attrezzatura a disposizione. “Una pala e una carriola, tutto ciò che avevamo. Abbiamo acquistato da un circolo nei paraggi diciotto sacchi di terra rossa da venticinque chili l’uno, e abbiamo iniziato. Il primo giorno, dopo una fatica orribile, avevamo completato un box del servizio: il nostro vicino pensava che non avremmo mai finito“. Con grave impegno e cocciutaggine, contro pronostico, i Reymond hanno però completato l’opera due settimane dopo. “Devi avere una passione smisurata per imbarcarti in un’operazione simile,” ha proseguito il felice Arthur, “ma non era ancora tempo di cantare vittoria: per pareggiare il dislivello abbiamo dovuto rimuovere uno strato di dieci centimetri di terra, oltre a strappare con mezzi rudimentali radici enormi. Un’impresa, ma anche una grande soddisfazione“.

Abbastanza per poter tornare a sentire la palla, che poi è la cosa principale. Lo sparring disponibile è l’onnipresente padre, che da quasi due mesi quotidianamente si sottopone a sessioni lunghe almeno un’ora per tener caldi i fondamentali dell’erede. Per lui, Arthur, il palcoscenico più luminoso della carriera è stato finora quello calcato lo scorso autunno a Brest, dove ha disputato l’unico incontro a livello Challenger della carriera raccogliendo tre giochi contro Maxime Janvier nel primo turno del torneo. L’obiettivo per il prossimo futuro è migliorare fino a giocarsi l’accesso tra i primi cento del mondo: dovesse andargli male, resterà negli archivi una storia sempre buona da raccontare.

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