Testa da Sinner: "La mente conta il 70%, il fisico il 20%, solo il resto lo fanno i colpi"

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Testa da Sinner: “La mente conta il 70%, il fisico il 20%, solo il resto lo fanno i colpi”

“Se penso che pochi anni fa non riuscivo a tenere la racchetta in mano, non mi spaventano i tanti progressi che devo ancora fare”. Jannik a tutto tondo su Sky Sport: “A volte farei a meno delle interviste”

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Jannik Sinner - Roland Garros 2020 (foto Twitter @Rolandgarros)
 

Ha solo diciannove anni, e si tenta a crederlo, per quanto già si è parlato di lui. La trentasettesima piazza del ranking ATP alla fine della disgraziata stagione 2020, e soprattutto i quattro quarti di finale, le due semi e il titolo, quello da precoce rockstar della racchetta conquistato a Sofia, farebbero pensare chiunque a un tizio dalla carta d’identità meno verde. Eppure.

Se ci penso bene non sono passati molti anni da quando, piccoletto, non riuscivo a mandare la palla di là. Nemmeno ero abbastanza forte da tenere la racchetta in mano, a dire il vero: la strascicavo per terra fino a quando mi arrivava la pallina, allora la sollevavo all’ultimo istante“. Ci fu persino un maestro, nel corso di un raduno nazionale, che si arrischiò a definire il piccolo Jannik dodicenne ‘uno che non sa fare due palleggi‘; non una grande dimostrazione di lungimiranza. Certo, di progressi l’atteso messia del tennis italiano ne deve e dovrà fare parecchi, ma la strada percorsa sembra già lunga nello specchietto retrovisore. Considerato che l’aggettivo “adolescente” è ancora quello più appropriato per definirlo, diciamo che per ora non ci si può lamentare.

Nel corso di un’esaustiva intervista concessa a Stefano Meloccaro di Sky Sport, Sinner ha tracciato un opportuno bilancio della sua breve vita lungo i 24 metri del court, che restituisce l’immagine di un ragazzo con le idee discretamente chiare anzichenò. “Mi hanno sempre affascinato lo sport, la competizione e la velocità. Per questo, oltreché per fisiologica cultura della zona da cui provengo, ho messo gli sci ai piedi da ragazzino. Andavo bene, vincevo tanto, ma quando il tennis è entrato in competizione con le discese sulla neve ha cambiato i miei orizzonti. L’ho preferito da subito, anche se agli inizi perdevo abbastanza spesso. Il fatto è che lungo un match puoi sbagliare, avere momenti difficili, terribili cali di tensione. Ma hai tempo di rimediare. Nello sci no: fai un errore e finisci ventesimo. Non ho mai accettato quel tipo di risultato“.

L’amore a prima vista con la pallina di feltro ha presto iniziato a flirtare con l’idea di professionismo, che non ha fatto fatica a fare breccia. “La vita dell’agonista di mestiere mi piace al 90%. Le parti meno attraenti? Non vorrei sembrare sgarbato, ma a volte farei a meno delle interviste. I viaggi e la routine quotidiana invece mi appassionano, del resto sarebbe impensabile condurre questa esistenza se pensassi il contrario“. La passione, come primo e imprescindibile caposaldo, condizione necessaria ma per nulla sufficiente a compiere il fatidico salto. “Per svoltare, per giocare a tennis ai livelli più alti, la testa conta il 70%, il fisico il 20, il resto è responsabilità dei colpi. Devo migliorare in ogni aspetto, com’è ovvio“.

Jannik Sinner – Sofia 2020 (foto Ivan Mrankov)

La fotografia del suo straordinario 2020 non può che essere “la vittoria in finale a Sofia su Pospisil, ho giocato molto bene“, ma nonostante i costanti peana dedicati alla stella Sinner, il protagonista di cotante attenzioni sa che lo sguardo va necessariamente indirizzato al futuro: “Perché anche se avessi perso avrei imparato qualcosa di importante. Si impara sempre qualcosa di importante. La sconfitta di Roma con Dimitrov mi è servita moltissimo, ho preso ad allenarmi meravigliosamente per non commettere più certi errori“.

Detto che almeno durante la off-season, breve come un soffio, sarebbe opportuno allontanarsi in parte dalle tensioni agonistiche – “il tennis è il mio primo pensiero ogni mattina, ma quando stacco, stacco del tutto” – uno sguardo alla stagione entrante è ovviamente obbligatorio. Con quali aspettative? “Giocare almeno sessanta partite, mettere su qualche chilo e migliorare gli aspetti tecnici più carenti, soprattutto servizio e gioco a rete, ma ho solo diciannove anni, spero ci sia tempo“. A proposito di fondamentali, quali sono i migliori nel circuito? “Prendo il servizio di Isner, il dritto di Federer, il rovescio di Djokovic, mentre a Rafa Nadal ruberei gioco a rete e forza mentale“. Real knows real, direbbero gli anglofoni.

Jannik Sinner è ancora un teenager, com’è giusto impegnato ad apprendere più che a insegnare, ma i ragazzini ‘più ragazzini di lui’ già lo prendono a esempio e presumibilmente appiccicano la sua faccia lentigginosa ai muri delle proprie camere. Quali sono i tre consigli che si sentirebbe di dare a chi sogna di emularne le gesta? “Direi loro di cercare di muoversi sempre meglio, di acquisire una fluidità sempre maggiore con le gambe: a volte il tennis è come la musica, occorre essere sciolti, rifuggire dalla rigidità. Poi di allenarsi sempre con quelli più forti, ma soprattutto guardare cosa fa l’avversario, analizzarlo, tanto a livello tattico quanto a livello comportamentale“.

Read and react, leggere la partita, imparare a trovare risposte a domande complicate in tempo reale. Una sentenza che dice molto dell’intelligenza naturale del fenomeno da Sesto Pusteria. Per fortuna Riccardo Piatti, il mentore, la guida che sta provando ad accompagnare Sinner ai piani alti dell’edificio ATP, definisce il suo pupillo “quello normale. Sono gli altri a essere complicati, per questo faticano a prenderlo come esempio“. Se quello normale è lui, buonasera.

Jannik Sinner con il trofeo – Sofia 2020 (foto Ivan Mrankov)
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