Novak Djokovic: quando la testa vince sulle avversità

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Novak Djokovic: quando la testa vince sulle avversità

Il N.1 ATP spiega a Tennis Majors come funziona la sua mente e com’è diventato l’uomo e l’atleta che conosciamo, anche grazie a chi lo ha plasmato

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Novak Djokovic - Bercy 2021 (foto Roberto Dell'Olivo)
 

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Dopo ogni sconfitta in finale a Parigi, ti sei immediatamente risollevato con Wimbledon. Pensi che sarà più difficile questa volta, o hai una sorta di routine che ti permette di superare la cosa velocemente?” Questa fu la domanda della collega Carole Bouchard a Novak Djokovic dopo la sconfitta agli Open di Francia del 2015 per mano di Stan Wawrinka, forse la più tosta della sua carriera. “No, sarà semplicissimo! Insomma, si tratta di andare a Wimbledon e vincere il titolo!”, risponde Djokovic con una risata. 

Lì per lì scherzava, ma indovinate un po’, un mese più tardi, a tenere il trofeo tra le mani c’era proprio Djokovic. Tanti sono gli atleti che, dopo una sconfitta dolorosa, ci propinano la solita storiella: che perdere è una lezione che rende più forti. Ma nessuno nel mondo del tennis è capace di risollevarsi nei tempi rapidissimi di Djokovic.

 

DJOKOVIC: DEVI ASSUMERTI LA RESPONSABILITÀ DELLE TUE AZIONI E DEL TUO STILE DI VITA

Il più recente esempio l’abbiamo visto al Rolex Paris Masters. Dopo una sconfitta devastante nella finale dello US Open (dove ha visto sfumare il tanto agognato traguardo del Grande Slam) e una pausa di 50 giorni, Djokovic ha sollevato il trofeo di Parigi Bercy battendo Daniil Medvedev, contro cui aveva perso a New York. Dopo la conquista del trofeo parigino, alcuni giornalisti serbi gli hanno chiesto che cosa lo spingesse a voler costantemente migliorare il suo livello e come riuscisse a recuperare così velocemente dopo una sconfitta difficile. “Per rimanere in cima alla classifica in uno sport individuale tanto esigente devi sapere che tutto quello che fai ha un peso“, ha spiegato il trentaquattrenne. “Incide quanto ti alleni, come ti alleni, le persone che ti circondano, come mangi, come dormi, ecc. Tutto contribuisce al prodotto finale, cioè il risultato sul campo. Ne sono perfettamente consapevole ora, e questa consapevolezza è arrivata col tempo“. 

Al di là dei tanti titoli conquistati, forse l’eredità maggiore che Djokovic lascerà al tennis sarà proprio la sua personale interpretazione di cosa significhi essere un professionista. Igor Cetojevic, il dottore che diagnosticò a Djokovic l’intolleranza al glutine nel 2011, ha avuto modo di comprendere il modo di pensare di Djokovic.

Ha sempre pensato a lungo termine”, dice Cetojevic, “si proiettava verso il futuro, chiedendosi sempre ‘perché facciamo questo?’. Novak è estremamente intelligente, alla continua ricerca di soluzioni e di risposte. Facevo battute con lui sulla sua mentalità ‘tedesca’, e la responsabilità che sentiva nei confronti di sé stesso. Per esempio, quando decidevamo di provare una nuova soluzione, la testava fino in fondo prima di decidere se lo facesse sentisse a suo agio o meno. In questo è persistente, tenace”.

Secondo Djokovic stesso, il suo atteggiamento e la sua mentalità sono dovuti a come è cresciuto e alle persone che l’hanno aiutato a diventare l’uomo e l’atleta che è oggi. “Oltre ai miei genitori, ho avuto il privilegio di seguire dei grandi del tennis, come Jelena Gencic e Niki Pilic, che mi hanno mostrato la strada da percorrere; sono stati dei mentori incredibili, in ambito sportivo e nella vita in generale”, commenta Novak. “Ho imparato moltissimo da loro, ma questo non significa che il mio lavoro sia concluso”.

DJOKOVIC: SO DI NON SAPERE

Citando il filosofo greco Socrate, Djokovic aggiunge: “‘So di non sapere.’ Questo è il mio atteggiamento nella vita”. Così quando Djokovic ha accettato di cambiare le sue strategie e fare serve-and-volley per ben 22 volte con Medvedev nella finale di Bercy, o quando nella finale di Wimbledon si è aggiudicato i punti decisivi stando a rete, ha avuto molto a che fare con la sua prontezza al cambiamento. “Mi sforzo di essere mentalmente aperto, di aggiungere sempre nuovi ingredienti alla mia vita – che sia nell’allenamento, nella dieta, nell’approccio mentale o in altro, qualsiasi cosa mi permetta di ottenere un vantaggio e di migliorare il mio gioco, l’atteggiamento o le emozioni sul campo. Certo, ho una mia formula, ma quella formula può essere cambiata, perché io stesso cambio come uomo, proprio come chiunque altro. Dobbiamo adattarci a questi cambiamenti”.

Nel corso della sua carriera, Djokovic ha inserito la pratica dello yoga e della meditazione nella sua routine, con un focus sugli esercizi di respirazione. Ha cambiato tecnica sul suo dritto e i movimenti nel servizio. Da un punto di vista atletico, non si è limitato solo all’allenamento in palestra e sul campo; ha fatto nuoto, ciclismo e trovato tanti altri modi divertenti e creativi per migliorare la sua forma. Uno degli aspetti che lo differenzia dagli altri è la sua elasticità, l’abilità di allungarsi e colpire da posizioni apparentemente improponibili. “È proprio l’elasticità di Novak che l’ha protetto dagli infortuni per buona parte della sua carriera”, dice Miljan Amanovic – fisioterapista di lunga data di Djokovic – sull’importanza dello stretching.

Quei colpi da posizioni impossibili e quelle scivolate avrebbero sicuramente portato infortuni ai legamenti e alle articolazioni a qualunque altro atleta, ma i suoi muscoli sono così allungati che lo proteggono”.

Djokovic dice spesso che il ristagno porta alla regressione: non vuole mai fermarsi e rischiare di diventare compiacente. Goran Ivanisevic, uno dei coach del serbo dai tempi di Wimbledon 2019, ammette che lavorare con Djokovic può essere difficile. “Ci sono tante cose che fa alla perfezione e che non possono essere migliorate”, raccontava Ivanisevic al Tennis Majors ad inizio anno. “Ed è qui che si creano delle divergenze di pensiero, tra il nostro, come coach, e il suo, come atleta. Capita che ci evidenzi qualcosa che vorrebbe migliorare e fare in maniera diversa, ma Marian [Vajda] e io non ci troviamo d’accordo con lui. Poi ci mettiamo a parlare dell’esecuzione del dritto, del rovescio, del servizio…Insomma, a volte ritiene di poter migliorare persino la sua risposta al servizio, che è la migliore di tutti i tempi”.

È normale avere pareri diversi; rende interessante la nostra collaborazione“, aggiunge Ivanisevic. “Con Novak ho imparato tanto e mi sono migliorato come coach. Però vi confermo che gli animi a volte si scaldano e si creano situazioni intense, soprattutto durante le partite. Ma complessivamente lavoriamo molto bene assieme”.

Come ho dichiarato diverse volte, il tennis è uno sport in cui bisogna spesso voltare pagina e focalizzarsi sulla sfida successiva“, conclude Djokovic. “Non c’è molto tempo per celebrare e analizzare i propri successi”.

Traduzione a cura di Giulia Bosatra

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Sabalenka tra passato e futuro: “Pensavo ai doppi falli e non riuscivo a controllarmi. Ora voglio vincere altri Slam”

La nuova numero uno del mondo si racconta a Tennis Magazine, dall’amicizia con Badosa alla sua passione per la velocità

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Aryna Sabalenka - US Open 2023 (foto Twitter @rolandgarros)

Uscita dallo US Open senza quello che sarebbe stato il suo secondo titolo Slam, ma con in mano lo scettro di nuova regina del tennis mondiale, Aryna Sabalenka ha ancora davanti qualche giorno di riposo e allenamenti prima di rientrare nel circuito. La bielorussa ha infatti deciso di saltare il 1000 di Guadalajara e ha optato per la stessa soluzione anche in relazione al 500 di Tokyo. Il suo primo match da numero uno del mondo sarà quindi a Pechino, nell’ultimo ‘mille’ della stagione femminile. Così, nel frattempo, Aryna ha concesso un’intervista a Tennis Magazine in cui ha affrontato argomenti tennistici e non. Innanzitutto, la campionessa dell’ultimo Australian Open ha ribadito ancora una volta la sua fame di Slam, scoperta proprio dopo la vittoria a Melbourne: “E’ stato il risultato più importante della mia carriera fin qui. Le sensazioni provate dopo quel successo sono così meravigliose che non si provano in nessun altro ambito della vita, quindi voglio viverle di nuovo, molte altre volte”.

Tra i temi extra-campo ma che comunque hanno punti di contatto con il tennis giocato c’è il grande rapporto di amicizia con Paula Badosa, alle prese con un infortunio alla schiena che ha già messo termine alla sua stagione. Le due hanno disputato alcuni tornei di doppio insieme e, in carriera, si sono scontrate quattro volte (con due vittorie a testa): “nessuna delle due si arrabbia e nemmeno esulta per un bel punto – dice però Aryna – durante la partita ci sono momenti in cui si pensa troppo, momenti in cui vorrei urlare, ma so che non devo farlo perché lei è mia amica e non voglio che si arrabbi con me. Continueremo a supportarci a vicenda, come facciamo sempre”.

A proposito di doppi, la bielorussa ha poi spiegato la scelta di ridurre drasticamente il suo impegno in questa specialità, in particolare durante i tornei del Grande Slam: “È molto difficile competere in entrambi i circuiti, anche mentalmente. Ci sono state volte in cui ho disputato singolare e doppio negli Slam, ma durante il doppio stavo lì a pensare al singolare del giorno dopo. Non sapevo se dare il massimo o meno, come gestire le mie energie. Pensavo troppo e poi perdevo il singolare. Nonostante i successi in doppio (ha vinto, in coppia con Elise Mertens, lo US Open nel 2019 e l’Australian Open nel 2021, oltre a due 1000 e altri tre tornei, ndr) il mio obiettivo principale è sempre stato il singolare. Ne ho parlato con la mia squadra e abbiamo deciso di smettere di giocare il doppio nella speranza che la mia concentrazione sul singolo migliorasse. Questo mi ha aiutato molto”.

 

Con un collegamento un po’ forzato, ci spostiamo dal doppio ai doppi falli, che hanno a lungo rappresentato un vero e proprio incubo per Sabalenka. Prima della svolta di fine 2022, Aryna, pur essendo riconosciuta da tutti come un’ottima giocatrice, doveva fare i conti con la poco onorevole nomea di regina dei doppi falli. Con grande abnegazione e capacità di lavorare su se stessa, la numero uno del mondo è però riuscita a mettersi alle spalle questo tormento: “Era una questione innanzitutto psicologica, mi sono successe molte cose negli ultimi anni, molte emozioni nella mia testa, e poi sono arrivati i problemi tecnici. Ho lavorato molto duramente per risolverli, individuando il problema. Ora ho cambiato la meccanica del servizio, sia il mio movimento, sia il lancio, sia l’atteggiamento. Ero in estrema difficoltà, era assurdo iniziare a commettere così tanti doppi falli. Ci pensavo così tanto che non riuscivo nemmeno a controllare il mio corpo o il mio braccio… era come se fossero staccati dal resto. Abbiamo lavorato molto sulla biomeccanica e questo ci ha aiutato”.

Infine, Aryna ha provato a descrivere brevemente la sua personalità fuori dal campo, non così simile a quella a cui siamo abituati: “[Nella vita di tutti i giorni] non sono esattamente come in campo… forse solo quando guido, amo le auto sportive e mi piace guidare veloce. Ma nella vita in generale non sono così impulsiva, mi piace divertirmi, sono abbastanza rilassata, non troppo frenetica. È un buon equilibrio, quindi quando mi ritirerò dovrò continuare a praticare sport per scaricare le energie”.

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Nadal: “Sarebbe fantastico giocare la mia ultima Olimpiade in doppio con Alcaraz”

“Io presidente del Real? Mi piacerebbe, ma Perez è un grande. Djokovic il più forte nei numeri, ma il tennis non è solo questo”. Altra intervista del maiorchino

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Rafael Nadal – ATP Parigi-Bercy 2022 (foto via Twitter @atptour)

Il giorno seguente la sua apparizione video su Movistar+, Rafa Nadal rilascia la prima intervista alla stampa scritta a quattro mesi dall’annuncio del suo temporaneo ritiro. Il resoconto appare mercoledì 20 sul quotidiano sportivo madrileno AS, nel giorno dell’inizio dei corsi accademici all’Università Alfonso X il Saggio, con la quale collaborano sia l’asso di Manacor che il periodico in questione. Nadal si presenta in maglietta bianca, jeans e giacca blu e con la consueta affabilità risponde alle domande in merito alle sue condizioni e al suo futuro tennistico.

Rafa torna ovviamente sulla questione delle sue condizioni e, riprendendo quanto già esposto nell’intervista precedente, parla del buon evolversi delle proprie condizioni fisiche ma anche delle incertezze legate al livello che riuscirà a raggiungere una volta che riprenderà con continuità in mano la racchetta. La stagione potrebbe essere per me l’ultima, ma non è detto: dipenderà da quanto io potrò essere competitivo. Sinceramente non mi attira fare come Murray, ossia giocare e non vincere. Vedremo” – continua il campione iberico – “potrei anche non tornare del tutto se non mi riprendo davvero, ma spero proprio di no”.

Il discorso passa poi a due argomenti tennistici che stanno molto a cuore di Rafa: la Coppa Davis e le Olimpiadi. E qui il 22 volte campione Slam, ispirato dalle domande del giornalista, confessa un sogno “olimpico”. Il mio paese è stato appena eliminato dalla Coppa Davis, altrimenti avrei potuto provare a farmi trovare pronto per novembre. Ma ovviamente così non sarà.

 

“Per quanto riguarda le Olimpiadi sì, terrei molto a giocarle, tutti sanno quanto io ami il clima olimpico e le sensazioni meravigliose che ho provato vivendolo. Per quanto riguarda un doppio con Carlos, premetto che né io né lui ne abbiamo parlato, ma sarebbe bellissimo poter giocare la mia ultima Olimpiade insieme alla stella nascente di questo sport”.

Il discorso scivola subito sulla finale di Wimbledon e il maiorchino parla con grande ammirazione del suo connazionale. “Ritengo” – è il suo pensiero – “che Carlos stesso non sia affatto stupito dei risultati che ha ottenuto fin qui. In questo momento è l’unico vero avversario di Djokovic, è un gradino sopra gli altri. Quando lui è in campo per il 90% delle volte tutto dipende dal suo talento. La grande notizia per questo sport è proprio il livello che Alcaraz riesce a raggiungere e il tempo che ha davanti a sé per tagliare nuovi traguardi”.

Lo spagnolo non si sottrae all’inevitabile domanda su un confronto con Djokovic su chi sia il più forte; lui riconosce il valore dell’asso serbo, pur andando oltre i freddi numeri dei titoli vinti. “Non c’è dubbio che se ci mettiamo a contare, lui ha vinto più di me e più di ogni altro. Non ho un ego così forte da negare l’evidenza. Mi complimento con lui, che da questo punto di vista è il migliore della storia.

“Tutto il resto possono essere considerazioni, come il numero maggiore di infortuni che ho avuto, e poi anche gusti personali, ispirazione, sensazioni ed emozioni che ognuno di noi trasmette e che raggiungono il cuore degli appassionati. Sicuramente” – chiude l’argomento – io sono pienamente soddisfatto di quello che ho saputo fare”.

Alla domanda sul suo non impossibile ingresso nel Real Madrid, Nadal non si nasconde ma nello stesso tempo glissa. “Concettualmente non mi dispiacerebbe essere il presidente del Real Madrid o avere un ruolo nel club ma questo non vuol dire che succederà. Soprattutto perché non sono certo il più preparato per il ruolo, che oltretutto oggi è ricoperto da uno dei migliori di sempre, Florentino Perez. Quindi la risposta è sì ma nello stesso tempo magari non accadrà nulla”.

Nel finale della chiacchierata con Nacho Albarran protagonisti sono i sentimenti. “La cosa più bella e più difficile da spiegare è quello che provo quando rientro a casa e vedo l’allegria sul volto di mio figlio. Inoltre” – racconta Rafa – “ovunque sia stato in questi mesi, ho trovato grande affetto. In Grecia, per esempio, non sapevo di essere così popolare. Anche alla mia Accademia ricevo tutti i giorni visite, tantissimi bambini e testimonianze di vicinanza. Per questo sono grato a tutti”.

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ATP

Matteo Arnaldi: “Dopo la sconfitta con Alcaraz ho capito che non sono distante dai top player”

Le parole dell’azzurro su ciò che resta della stagione: “L’esordio in Davis è stato positivo. Ma con la squadra al completo non c’è posto per me”. Per l’immediato furuto: “Punto ad essere testa di serie in Australia”

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Matteo Arnaldi – Coppa Davis 2023 (foto di Roberto dell'Olivo)

Sulla carta, stando ai calcoli del computer, è il n.4 d’Italia. Nella pratica, può essere definito pienamente in questo momento il n.2, per le emozioni suscitate e i progressi costanti mostrati. Matteo Arnaldi infatti sta compiendo una crescita vertiginosa, ma non precipitosa, bensì graduale, a piccoli passi. La prima vittoria ATP, prima vittoria su un top 10 (Ruud), primi ottavi in un Major, fino alla soddisfazione dell’esordio in Coppa Davis. Tutto questo in nove mesi scarsi, in cui ha saputo salire alla ribalta delle cronache, iscrivendosi a pieno merito anche nel tennis del presente, oltre che come speranza del futuro. Ma, nonostante le prestazioni, i grandi avversari affrontati, rimane sempre un ragazzo di 21 anni, in cui l’emozione sgorga facilmente, specie guardandosi indietro e rendendosi conto di dove sia arrivato. E, la Nazionale, come rivela in un’intervista a Tuttosport, per Matteo è l’ideale culmine di questo percorso.

L’emozione Davis non ha eguali

Non so esprimere fino in fondo le emozioni provate nel giocare per il mio Paese“, spiega il n.48 ATP, “devo dire che mi piace giocare con la pressione del pubblico: bello sentire il tifo tutto per me, un’iniezione di energia. All’inizio non ero neppure convocato, poi essere io a condurre la nazionale alle fasi finali è una cosa pazzesca. Però è stato un lavoro di squadra, non solo merito mio“.

Umiltà e spirito di sacrificio, due elementi che sono parte fondante dell’essere di Arnaldi, il cui gioco è anche spesso contraddistinto dall’entusiasmo e la passione che sa mettere in campo, come dimostrato nelle vittorie contro Borg e Garin. Ma specie in quella sul cileno: “Le mie due vittorie sono state entrambe importanti, però se devo scegliere diciamo che la prima non si scorda mai…Una settimana veramente fantastica, ho giocato più di quanto mi sarei aspettato. Ma da un certo punto di vista penso di averlo meritato: venivo da New York dove ho disputato il miglior torneo della mia vita, avevo un buon feeling e abbastanza fiducia in me stesso“.

 

Anche dalla sconfitta si impara

Lo US Open ha lanciato Arnaldi in prima pagina, e soprattutto sull’Arthur Ashe, dove si è arreso, a testa alta, a Carlos Alcaraz. Una partita, seppur persa, che il sanremese considera un punto di svolta della sua giovane carriera: “L’avventura agli US Open mi ha permesso di vivere il debutto in azzurro con meno apprensione. Giocare nello stadio più grande del mondo, pieno di gente e contro il n.1, è stata l’esperienza migliore da portarsi dietro. E ne sono uscito con la consapevolezza di non essere distante dai top player. Certo, ci sono ancora tanti aspetti da migliorare, ma il match con Alcaraz è stato un punto di riferimento per capire ciò che questi campioni fanno meglio“.

Il primo obiettivo stagionale, grazie a questo e i tanti buoni risultati accumulati (vedasi la prima semifinale ATP), è stato raggiunto, con l’ingresso in top 50. Ma Matteo non si pone limiti, guarda sempre più in alto: “Sono uno che ha sempre aspettative alte su sé stesso, con continue sfide. La prima è appunto mantenere la top 50, difendo un centinaio di punti da qui a fine anno e non è un traguardo scontato. E uno degli obiettivi stimolanti può essere cercare di chiudere il 2023 in modo da essere testa di serie all’Australian Open“.

Senza dimenticare che c’è anche un’Olanda che ci aspetta in Andalusia, ad aprire il percorso delle Final 8 di Davis, dal 21 al 26 novembre. Un ennesimo scalino che sarebbe la realizzazione di un ulteriore sogno per Arnaldi, consapevole certamente della folta schiera da cui ha da scegliere capitan Volandri. “Nella squadra al completo non credo ci sia posto per me“, ammette con tranquillità e lungimiranza Matteo, “per il momento mi godo l’esordio. Malaga è tra due mesi e ci sono altri giocatori davanti a me in classifica“.

In fin dei conti ci spera, di poter essere nei rappresentanti di quella che potrebbe essere una storica Final 8 per i colori azzurri. E ha ampiamente dimostrato che, quando spera e crede in qualcosa, ben presto fa in modo di realizzarla.

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