Identikit statistici: Andy Murray

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Identikit statistici: Andy Murray

Uno sguardo statistico al gioco del campione scozzese

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Andy Murray - Wimbledon 2021 (via Twitter, @wimbledon)
 

Per molto tempo si è pensato che la carriera di Andy Murray fosse destinata a essere etichettata con “grande tennista, ma purtroppo è stato sfortunato a essere contemporaneo dei Big Three”. Sembrava infatti che Andy fosse, per così dire, il meno fab dei fab four, ovvero il meno favoloso dei favolosi quattro, espressione che identifica i Beatles ma anche, nel mondo tennistico, il quartetto Federer-Nadal-Djokovic-Murray. Ma il campione scozzese, oltre a grandi colpi e indiscutibile talento, ha dimostrato un carattere eccezionale e ha saputo cogliere le sue occasioni. Raggiunge la vittoria Slam, che per tanto tempo gli era sfuggita, a Flushing Meadows nel 2012 e poi, per ben due volte (2013 e 2016), sull’erba di Wimbledon, il torneo di casa, interrompendo un digiuno che per i tennisti britannici durava da 77 anni, dai tempi di Fred Perry.

Nel 2016, il coronamento di un lungo, difficile ed entusiasmante percorso: a fine anno, Andy Murray è numero uno del mondo. Purtroppo, gli anni successivi sono funestati da un brutto infortunio all’anca, che si pensa addirittura possa rappresentare la fine della carriera. Ma Andy torna in campo e, a giudicare dal match di primo turno dello US Open che lo vede opposto al numero 3 del ranking Stefanos Tsitsipas (perso al quinto set dopo quasi cinque ore di gioco, con il greco che non offre una grande prova di sportività, dando l’impressione di sfruttare i toilet break per rompere il ritmo dell’avversario) sembra intenzionato a fare ancora parlare di sé nella stagione 2022, come testimonia la finale raggiunta nel torneo di Sydney, risultato purtroppo non confermato a Melbourne (Murray esce al secondo turno, per mano di Taro Daniel).

Prima di analizzare il gioco di Murray esaminando i suoi match di Grande Slam degli ultimi dieci anni (2011-2021), per provare a intuire quali sorprese potrà ancora riservare il suo percorso, ripercorriamo le tappe fondamentali della carriera dello scozzese fino a questo momento.

PALMARÈS

Già a livello giovanile Murray fa la conoscenza di Rafa Nadal e, proprio a seguito di tale incontro, chiede ai genitori di potersi trasferire in Spagna per confrontarsi con avversari di maggiore valore (in Scozia Andy non ha rivali). Poco dopo, nel 2004, a 17 anni, Murray si aggiudica lo US Open juniores. L’anno successivo, grazie a una wild card, esordisce a livello ATP nel torneo di Barcellona, e viene sconfitto, dopo essersi aggiudicato il primo set, da Jan Hernych. La prima vittoria, molto netta (6-1 6-2) arriva sui prati del Queen’s, e a fine stagione Murray si piazza già tra i primi cento giocatori del mondo.

L’anno successivo, il talento di Andy si rivela al mondo: vince il suo primo torneo a San Jose, sconfiggendo Andy Roddick (allora numero 3 del mondo) in semifinale e Lleyton Hewitt, ex numero uno del mondo, in finale, rimontando dopo aver perso il primo set per 6-2. A fine stagione, Andy è già in Top 20. Nel 2007 il tennista scozzese difende con successo il titolo di San Jose e si aggiudica il torneo di San Pietroburgo. Complice la semifinale raggiunta al Master 1000 di Miami e i quarti di finale a Parigi-Bercy, la scalata continua, e Murray chiude la stagione all’undicesimo posto della classifica ATP.

L’anno successivo, Murray raggiunge la quarta posizione in classifica, vincendo i suoi primi tornei Masters 1000 (Cincinnati e Madrid). E ha occasione di fare conoscenza, sempre più da vicino, con una sorta di “soffitto di vetro”, rappresentato dai Big Three: in particolare, in quel momento, da Federer e Nadal, con Djokovic in ascesa ma non ancora così vincente. Allo US Open Murray sconfigge Nadal in una grande semifinale, disputata in due giorni causa pioggia, ma il giorno successivo, prosciugato di energie, non può nulla contro Federer, cui si arrende in tre set.

Arriverà in una finale Slam nel 2010 e nel 2011 in Australia, poi a Wimbledon nel 2012. In tutte e tre le occasioni viene sconfitto: due volte da Federer, una da Djokovic, che nel 2011 vive una stagione straordinaria e sembra essere il nuovo uomo da battere. Nel 2012 però, Andy ha un’altra occasione: l’occasione di una rivincita ai danni di Federer, che lo aveva costretto alle lacrime dopo la finale persa a Wimbledon.

Subito dopo quella sconfitta, ancora in campo, Andy dichiarò: “So piangere come Roger [con ogni probabilità Andy si riferisce alle lacrime di Federer dopo la finale persa con Nadal in Australia, nel 2009, ndr], ma purtroppo non so giocare come lui”. Poco dopo però, i tennisti migliori del mondo si ritrovano ancora a Wimbledon, per le Olimpiadi di Londra. E la finale è ancora una volta Federer-Murray. Qualcosa però è cambiato, e oltre alle consuete ed eccezionali doti di “difesa attiva”, colpi che non soltanto raccolgono le bordate dell’avversario ma cercano di ribaltare lo scambio, Andy mette in mostra un tennis più propositivo e d’attacco, giocando più vicino alla linea di fondo, e sfruttando meglio l’ottimo tocco sotto rete.

Murray vince e poco dopo trionfa anche a Flushing Meadows, conquistando il suo primo Slam, battendo Djokovic in cinque set dopo essere stato rimontato da due set a zero. L’anno dopo vince finalmente a Wimbledon per il tripudio del pubblico, battendo ancora una volta Djokovic. Poi, purtroppo, è vittima di un infortunio alla schiena che non gli consente di dare il massimo nella stagione 2014. Nel 2015 però Murray rientra di gran carriera, aggiudicandosi la Coppa Davis con Team GB e, data la grande regolarità ad alto livello, la seconda posizione mondiale. L’anno successivo, come ricordato nell’introduzione, impreziosito dalla prima finale sulla terra di Parigi, dal secondo trionfo olimpico a Rio e da un finale di stagione entusiasmante, coronato dalla vittoria delle ATP Finals, Andy riesce a chiudere davanti a tutti, in cima al ranking.

Poi, i problemi all’anca: le due operazioni, nel 2018 e nel 2019. C’è grande incertezza sulle possibilità di rientro dello scozzese ai suoi livelli. In seguito, però, in un anno particolare come il 2021, ancora caratterizzato dalla pandemia, proprio a fine stagione Murray mostra tutto il talento e il carattere che gli sono valsi l’affetto di milioni di tifosi in tutto il mondo.

Ma quali sono i segreti che permettono al campione scozzese di esprimersi a un livello così elevato per tanto tempo, pur in presenza di avversari formidabili? Proviamo a capirlo analizzando le sue partite giocate in tornei del Grande Slam negli ultimi dieci anni, dal 2011 (compreso) in poi.

UNO SGUARDO D’INSIEME

Prima di approfondire l’analisi, alla ricerca di pattern vincenti e perdenti, cerchiamo, nei limiti del possibile, di averne una visione d’insieme, inquadrando lo stile di gioco di Murray degli ultimi dieci anni con una serie di statistiche i cui valori medi sono mostrati in Figura 1, separatamente per superficie di gioco.

Figura 1. Statistiche medie di gioco per Andy Murray, match di singolare in tornei del Grande Slam dal 2011 in poi

Non stupisce certo la capacità di Murray di produrre colpi vincenti su tutte le superfici, ma colpisce come il saldo tra vincenti ed errori non forzati sia significativamente migliore sull’erba, forse la superficie più congeniale al gioco del campione scozzese (e su cui, in effetti, ha raccolto alcuni tra i suoi maggiori successi, a cominciare dall’oro olimpico a Londra).

A differenza di altri tennisti, Murray non sembra essere particolarmente più (o meno) propenso a cercare la via della rete in funzione della superficie: mediamente, si presenta a rete tra le quindici e le venti volte per match, sia su erba che su cemento che su terra.

Un secondo set di statistiche, mostrato in Figura 2, può esserci d’aiuto nel farci un’idea ancora più precisa:

Figura 2. Altre statistiche medie per Andy Murray, match di singolare in tornei del Grande Slam dal 2011 in poi

Da questo secondo plot, è evidente in primo luogo la costanza di rendimento ad alti livelli, con una percentuale di match vinti che si aggira, su tutte le superfici, sempre intorno all’80%. Notevole anche la capacità di Murray di salvare palle break, in particolare sull’erba dove sfiora il 75%, a testimonianza di una grande forza mentale e di una notevole capacità di reazione, nei momenti più critici.

I PATTERN PIÙ SIGNIFICATIVI, GLI ELEMENTI-CHIAVE DEL GIOCO DI MURRAY

Dopo questa panoramica, proviamo a chiederci quale o quali tra le varie statistiche di gioco (che rappresentano le nostre variabili di input) si rivelino decisive, e in che modo, rispetto alla vittoria o alla sconfitta nel match (che rappresenta la nostra variabile di output). Impostiamo cioè, in altre parole, un problema di classificazione.

Per maggiore chiarezza, facciamo in modo che l’algoritmo di classificazione utilizzato restituisca automaticamente, sulla base delle variabili a disposizione, un modello costituito da un insieme di regole, che rappresentano i pattern statisticamente più significativi che conducono Murray alla vittoria o alla sconfitta. Di seguito, illustriamo le tre regole più significative così calcolate:

  1. Se Murray si procura almeno quattro palle break, e se non ne concede più di otto, allora si aggiudica la partita”. Il pattern si è verificato in cento occasioni e, in tutte e cento, Murray ha vinto il match.
  2. “Se Murray ha un rendimento a rete di almeno il 3% superiore al suo avversario, e se l’avversario non mette a segno più di 6,9 vincenti per set più di lui in media, allora lo scozzese vince la partita”. Il pattern è altrettanto generale, e quasi altrettanto preciso: si è verificato 102 volte, e per 101 volte Murray si è aggiudicato la vittoria.
  3. “Se Murray commette mediamente oltre 1,8 errori gratuiti più dell’avversario per set, e se trasforma meno del 21,1% delle palle break, allora viene sconfitto”. Il pattern è molto specifico, ma anche molto preciso: si verifica sette volte, e si tratta di sette sconfitte di Murray.

Sulla base di regole come queste, considerando che quanto più una caratteristica del gioco compare come condizione rilevante all’interno di tali pattern, tanto più potremo definirla un elemento-chiave del gioco del campione scozzese. Potremo quindi, sulla base dei dati, stilare un feature ranking, ovvero una sorta di classifica dei vari aspetti del gioco, distinguendo quelli che, in misura maggiore, da soli o in combinazione con altri, si rivelano decisivi.

Figura 3. Feature ranking associato ai match di Grande Slam di Murray, dal 2011 in poi. La lunghezza della barra rappresenta la rilevanza della feature, la direzione rappresenta il verso della correlazione (diretta per barre che si sviluppano verso destra, inversa per barre che si sviluppano verso sinistra)

L’elemento più significativo, forse un po’ sorprendentemente, è la differenza tra il rendimento a rete di Murray e quello dell’avversario. Ricordiamo però che, effettivamente, lo scozzese ha sempre mostrato, anche all’apice della propria carriera, di soffrire un po’ i giocatori particolarmente aggressivi, che cercano spesso (e con successo) la via della rete. Pensiamo, ad esempio, alla sorprendente sconfitta in quattro set nel match di primo turno con Mischa Zverev all’Australian Open 2017. Possiamo quindi provare a interpretare questo dato come la rappresentazione del fatto che l’elemento più rilevante per Murray è riuscire a giocare la propria partita, in progressione, senza subire repentine accelerazioni nel ritmo dello scambio da parte dell’avversario.

Seconda, terza e quarta posizione del feature ranking sono tutte dedicate alle palle break e rappresentano rispettivamente la differenza in termini di rendimento nella trasformazione delle palle break (seconda feature), il numero di palle break dell’avversario (terza) e di Murray (quarta). Interessante il fatto che, ancora una volta, la priorità di Murray sia di impedire all’avversario di crearsi delle occasioni. Soltanto in seconda battuta è rilevante il numero di palle break che lo scozzese riesce a costruire. Forse possiamo leggere questa evidenza statistica come segue: col procedere della partita, dato il suo talento, lo scozzese avrà senz’altro delle occasioni. L’importante è che, fino a quel momento, chiuda la porta all’iniziativa dell’avversario, mostrandosi aggressivo.

Come quinta feature, troviamo un dato davvero controintuitivo: la differenza media, in termini di errori gratuiti per set, è correlata inversamente con la vittoria di Murray. In altre parole, è leggermente più probabile che lo scozzese vinca se, nel complesso, commette qualche errore gratuito più dell’avversario. Naturalmente, tale elemento non va interpretato come un invito all’autolesionismo tennistico ma, ancora una volta, come conferma dell’importanza, anche a costo di qualche errore, di tenere il pallino del gioco, giocando più vicino alla riga di fondo e senza lasciarsi tentare dalla prospettiva di sfruttare le sue doti atletiche e difensive per giocare soltanto di rimessa.

Basteranno le indubbie capacità e la grande tenacia di Andy a garantirgli un ritorno al vertice, o perlomeno qualche fiammata delle sue? Forse, data la posizione attualmente non ancora brillante in classifica ATP (a seguito del periodo complesso per via dell’infortunio) Andy avrà bisogno anche di qualche tabellone favorevole per riprendersi, di un po’ di fortuna insomma. Fortuna che, senz’altro, gli augurano tutti gli appassionati e i molti tifosi.

Nota: l’analisi e i grafici inseriti nell’articolo sono realizzati per mezzo del software Rulex


Genovese, classe 1985, Damiano Verda è ingegnere informatico e data scientist ma anche appassionato di scrittura. “There’s four and twenty million doors on life’s endless corridor” (ci sono milioni di porte lungo l’infinito corridoio della vita), cantavano gli Oasis. Convinto che anche scrivere, divertendosi, possa essere un modo per cercare di socchiudere qualcuna di quelle porte, lungo quel corridoio senza fine. Per leggere i suoi articoli visitate www.damianoverda.it

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