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Daniil Medvedev, il numero 1 del mondo dalla nazionalità inopportuna?
Da chi chiede di far partecipare i tennisti russi come “neutrali” a chi li vuole fuori dai tornei: la difficile situazione che ha come involontario simbolo colui che occupa la prima posizione del ranking
Ci sono voluti diciotto anni perché un non Fab 4 tornasse in cima al ranking. Che il candidato più quotato fosse ormai da un po’ Daniil Medvedev era ormai opinione comune, supportata sia dalla posizione in classifica, sia dal rendimento sulla superficie che distribuisce il maggior numero di punti ATP. Certo, un altro russo, dopo che l’ultimo fu Safin nel 2001, sul trono del mondo (tennistico) nei giorni dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia è una coincidenza spaventosa di cui lo stesso Daniil avrebbe fatto volentieri a meno, ma che di sicuro non giova al tennis.
In questi giorni in cui lo sport si unisce nella condanna dell’aggressione, si è fatta sentire anche la Federazione Tennis Ucraina chiedendo all’ITF che Russia e Bielorussia non solo non organizzino tornei nel loro territorio, ma anche che i loro giocatori non vi possano partecipare all’estero, siano essi eventi a squadre o individuali. Tra i tanti tennisti ucraini che hanno alzato la voce, Elina Svitolina ha dichiarato che non sarebbe scesa in campo a Monterrey contro Potapova né in futuro contro altre avversarie russe o bielorusse a meno che, secondo quanto indicato dal CIO, non fossero accettate nei tornei come atlete neutrali.
Seva Kevlych della federtennis ucraina ha detto alla Reuters che Medvedev e gli altri giocatori russi dovrebbero essere banditi dai tornei dello Slam e la Federazione Tennis Russa espulsa dalla Coppa Davis e dalla Billie Jean King Cup, manifestazioni di cui peraltro sono campioni in carica. “Che Medvedev giochi nel Tour ATP” dichiara Kevlych, “ma gli Slam sono eventi ITF e, se gli si toglie la possibilità di partecipare, non potrebbe essere il numero 1 del mondo”. Secondo il dirigente ucraino, “non rappresentare la squadra russa non è una grossa sanzione per Daniil, ma è una grande vergogna dover rappresentare una squadra senza bandiera, inno, storia, e gli farebbe fare la cosa giusta”. ‘Cosa giusta’ che pensiamo significhi farsi volontariamente da parte – un’aspettativa quanto meno illusoria. Ricordiamo che, proprio nell’ultima edizione delle due storiche manifestazioni a squadre, gli atleti russi hanno partecipato come RTF, Russian Tennis Federation, senza inno, simboli o bandiere, ma alla fine i titoli sono stati assegnati alla Russia, quindi è possibile che Kevlych (uno nei cui panni non possiamo osare immaginarci) richieda qualcosa di più radicale.
Per il momento, l’ITF ha rinviato il torneo M15 previsto in Ucraina il prossimo aprile e cancellato a tempo indeterminato gli eventi organizzati in Russia. Misura, anche quest’ultima, non sanzionatoria, bensì esclusivamente adottata per “proteggere la sicurezza dei tennisti e di tutti coloro che prendono parte agli eventi ITF”.
Tornando a Medvedev, domenica scorsa si è affidato a Twitter, ricordando il “monologo del bambino” successivo alla finale dell’Australian Open. Ha scritto di “parlare per conto di ogni bambino del mondo. Tutti loro hanno sogni […] bellissime esperienze in arrivo […] Ecco perché voglio chiedere la pace nel mondo, pace tra i Paesi […] Perché i bambini non dovrebbero smettere di sognare”.
Secondo quanto scrive Simon Briggs sul Telegraph, Daniil non dovrebbe essere cacciato dal tennis solo perché russo, cosa che si rivelerebbe “controproducente, perché Medvedev è tutto tranne che un portabandiera del regime tossico di Putin”. D’altra parte, il tennis è uno sport che travalica i confini degli Stati, come ben dimostrano sfide in cui l’atleta del cuore, magari il Big 3 di turno, è preferito allo sfidante connazionale. In questo senso, un tennista è all’estremo opposto della rappresentativa nazionale, nel cui caso scende inequivocabilmente in campo “la Russia”, portavoce sportiva del regime a prescindere dalle opinioni personali di ogni singolo componente della squadra. Briggs si spinge nell’accostamento tra Medevedev e Rublev con Arthur Ashe per le sue proteste contro l’apartheid o Billie Jean King e Martina Navratilova per l’inclusione della comunità LGBT. Forse è presto per lanciarci in simili paragoni, ma l’esclusione di Medvedev (e degli altri tennisti russi) danneggerebbe il tennis molto più della spaventosa coincidenza richiamata in apertura. A proposito di vetta del ranking, se l’ATP dovesse arrivare alla per ora improbabile decisione di escluderlo dai prossimi tornei, il ventiseienne moscovita perderebbe il primo posto il lunedì successivo alla conclusione del Masters 1000 di Indian Wells, quando gli scadranno i 250 punti del titolo di Marsiglia.
La palla passa ora nelle mani dei vari organi che decidono del tennis: ITF, ATP, WTA, Slam. Sembrava che la WTA avesse rotto gli indugi tra lunedì e martedì, quando sul suo sito erano sparite le bandiere russe di fianco alle atlete nella pagina del ranking, ma sono ricomparse poco dopo. Non è stato chiarito il motivo, ma forse è sintomo della difficoltà nell’affrontare la questione; al più presto, tuttavia, quegli organi dovranno decidere dove tirare una riga.