Trash-talk e tennis: il binomio può davvero funzionare?

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Trash-talk e tennis: il binomio può davvero funzionare?

Da Gauff a Pegula, passando per Badosa e Jabeur: sarebbe possibile nel tennis, come già avviene in molti altri sport, provocare l’avversario senza essere giudicati?

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Nick Kyrgios - US Open 2022 (foto Twitter @atptour)
 

Da diversi giorni il mondo del tennis si interroga sulla possibilità di apportare un cambiamento radicale nella storia del nostro sport. Da sempre riconosciuto come simbolo di eleganza, sacrale tradizionalità e incorruttibile moralità, più di qualcuno inizia a pensare che il tennis abbia bisogno di un rinnovamento. Sulla scia di molti altri sport – dal basket al calcio, dal football americano fino alla boxe e alle arti marziali – si invoca una sorta di svilimento di racchetta e pallina, quasi un abbassamento di stile necessario ad attirare una fetta di pubblico più ampia, a partire da quella giovanile.

L’argomento in questione, l’avrete abbondantemente capito, è il trash-talk. Il portale di psicologia State of Mind lo definisce come un susseguirsi di “scambi verbali dal contenuto ‘sotto la cintura’”, alludendo evidentemente ai colpi proibiti del pugilato. Cambridge etichetta questa attività come il rivolgersi a qualcuno in modo offensivo, specialmente nello sport verso un avversario”, mentre la psicologa clinica Linda Silverman – fondatrice e direttrice del Gifted Development Center, in Colorado – lo descrive come una Strategia non ortodossa con possibili risultati favorevoli. In soldoni, è un’arte (secondo lagiornatatipo, che nutre i suoi fedeli lettori di racconti e aneddoti di basket) che ha lo scopo di manipolare l’avversario, entrandogli subdolamente nella testa nel tentativo di destabilizzarlo, facendogli perdere la concentrazione e – perché no? – anche il senno.

Ricordate la testata di Zidane a Materazzi durante la finale dei Mondiali del 2006? Oggi l’italiano sarebbe considerato un astuto interprete dell’arte provocativa, capace di far perdere il controllo al suo rivale fino a fargli compiere un gesto estremo, di cui il difensore ha poi beneficiato vista la conseguente espulsione di Zizou. Nel basket i maestri del trash-talking sono innumerevoli, tanto che Fox Sport ha persino tentato di racchiudere una top10 i migliori trash-talker nella storia dell’NBA, con Larry Bird sul gradino più alto del podio davanti a Michael Jordan e Reggie Miller.

Trash-talk nel tennis? Gauff e Pegula scagliano la prima pietra

Nel tennis la situazione è leggermente più complessa. Che esso sia uno sport individuale non pare un’argomentazione solida per giustificarne la mancanza. Se è vero che nel basket, nel calcio o nel football americano provocazioni e insulti sono all’ordine del giorno, altrettanto certificato è che durante un incontro di boxe – o, ampliando il nostro sguardo, anche ad esempio durante un round a poker – si è spesso fatto ricorso ad artifici retorici non proprio cortesi nei confronti dei propri avversari.

La ragione per cui (finora) il tennis non è ancora stato contaminato dal trash-talk pare dunque eminentemente tradizionale. Pare, questa, la più classica attuazione del perché cambiare se si è sempre fatto così?. Una convinzione che, tuttavia, qualcuno sta lentamente cercando di smontare.

A lanciare l’amo sono state Cori Gauff e Jessica Pegula, dopo che il duo statunitense ha trionfato nella finale di doppio femminile del Miami Open. Potrebbe esserci qualche battuta in più qua e là – ha commentato la classe 2004 a WTA Insider. “Basta solo non prendere nulla sul personale: nel basket, ad esempio, durante la partita i giocatori si provocano, ma poi dopo escono tutti insieme”. Coco è convinta che una piccola dose di trash-talking farebbe bene al tennis: Credo lo renderebbe più interessante e che attirerebbe più fan. È una pratica ormai comune in ogni altro sport e anche nel tennis del college se ne fa ampio uso.

Anche Pegula si colloca sulla stessa lunghezza d’onda: Gli uomini ne fanno certamente più uso rispetto a noi donne, che al massimo ci diciamo qualcosa alla stretta di mano. Al cambio campo, ad esempio, ogni tanto si parlano. Semplicemente sono più bravi di noi a divertirsi con il trash-talking: le giocatrici lo prenderebbero troppo sul personale. Non so perché, penso potrebbe essere divertente”.

Nel corso dell’intervista, Gauff si è anche soffermata su un’inevitabile questione culturale che aleggia sul mondo del tennis. “Io non posso fare le stesse cose che fa Caitlin Clark (giovane stella del basket statunitense, ndr), anche se alla gente piace quello che fa lei. Non c’è niente di male, rende lo sport interessante. Le regole non scritte del tennis, al contrario, rendono la nostra situazione totalmente diversa: se io avessi alcuni suoi comportamenti twitter impazzirebbe. Mi piacerebbe molto poter fare trash-talking, credo faccia anche parte della mentalità americana.

“Mi piacerebbe fosse diverso” – ha aggiunto ancora Pegula. “Nel basket puoi dire ciò che vuoi senza che nessuno ti senta. Nel tennis invece, se dici qualcosa alla tua avversaria da fondo campo, sentono tutti: dal pubblico all’arbitro, e poco dopo anche su twitter si griderebbe allo scandalo. Arriva poi anche una proposta da parte della n°3 del mondo: Dovrebbe esserci un torneo in cui è tutto consentito. Non tutte le settimane, sia chiaro, ma qualche evento in cui si sa già che lì non ci sono limiti”.

Anche Badosa e Jabeur favorevoli al trash-talk

Nei giorni successivi sono state diverse le giocatrici che hanno fatto eco a queste dichiarazioni, molte delle quali hanno parlato direttamente da Charleston. È toccato prima a Paula Badosa aprire le porte ad un eventuale ingresso del trash-talking nel tennis: Ci sto! Tradizionalmente il tennis è sempre stato uno sport gentile ed educato, ma perché non provare? Siamo una nuova generazione, potrebbe essere divertente. Anche da parte della spagnola, tuttavia, emerge qualche dubbio sull’effettiva applicabilità delle provocazioni nel tennis femminile: “Non so se alle donne in generale piacerebbe. Forse alcune lo prenderebbero troppo sul personale. Negli uomini, invece, credo possa funzionare molto meglio”.

Anche Ons Jabeur – dall’alto della sua splendida ironia – non ha esitato a prendere una posizione che, a questo punto, pare quasi unanime: “Sarei d’accordo, anche perché potrei essere la miglior trash-talker! Alla fine del match, però, so che mi scuserei con la mia avversaria e le darei un abbraccio. Non riuscirei a durare per tanto tempo”.

È il cambiamento di cui il tennis ha bisogno?

In attesa di ascoltare anche qualche opinione contraria (che statisticamente ci dovrà pur essere se, per dire, venisse fatta la stessa domanda ai primi 50 giocatori e alle prime 50 giocatrici del mondo), è indubbio che il tennis necessiti di un cambiamento radicale. Che può partire dalla promozione e pubblicizzazione dei propri circuiti – in particolare quello femminile – e passare attraverso alcune semplificazioni su diritti TV e lo snellimento di calendari estremamente probanti per il fisico degli atleti.

L’urgenza del tennis di concentrare su di sé una fetta di pubblico più giovane è appurata. Il trash-talking potrebbe forse essere utile in tal senso, ma non deve essere visto come la panacea in grado di risolvere tutti i problemi. Sempre che, come accaduto nel corso dei decenni – e non soltanto nello sport – il modello americano non sia destinato a prendere il sopravvento.

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