Ci restano solo sparuti juniores. Gli altri, più che sparuti sono spariti. Nei tabelloni del grande tennis l’Italia, con le sconfitte degli ultimi due Lorenzo superstiti, non c’è più.
All’inizio del torneo pensavo – come quasi tutti, nessun pensiero particolarmente originale – che Jannik Sinner avesse più chances di chiunque dei nostri azzurri per arrivare alla seconda settimana, ma purtroppo Jannik, come già a Roma con Cerundolo (però avete visto Cerundolo?), ha sofferto con Altmaier l’eccesso di pressione che un po’ tutti, lui compreso, gli mettono addosso.
E’ ancora giovane, ha un tennis ancora incompleto, c’è ancora tanto lavoro da fare, tanti limiti da limare. Nel fisico, nella tecnica, nella tattica, nel mentale quando l’appuntamento è importante. Aspetterei ad emettere sentenze negative e definitive. E’ un top-ten e alla sua età non lo avevamo mai avuto. Un top-ten destinato a durare. Top 5, top 3? Vedremo. Bando a sentenze affrettate.
Ci vuole più equilibrio di quello che di solito manifestano molti tifosi. Non intendo commettere lo stesso errore.
Il discorso vale anche per Musetti e Sonego. Anche nel loro caso ho riscontrato giudizi affrettati, in passato e oggi. Poco equilibrati.
Se dovessi basarmi soltanto sui match di ottavi di finale, i verdetti sarebbero chiari: Sonego, neo n.40 ATP, ha giocato alla pari con Khachanov (n.10 virtuale) finchè ha avuto le energie per farlo, mentre Musetti, neo best ranking a n.17 (virtuale…), non l’ha fatto con Carlitos Alcaraz, apparso superiore sotto tutti gli aspetti, tranne che per gli errori gratuiti che sono stati pari (23)…ma con la non trascurabile differenza che il murciano ha cercato molto di più il punto, in tutti i modi – dalle smorzate quasi sempre imprendibili, ai serve&volley perfetti sia come scelta di tempo che come esecuzione – e il diverso resonto statistico sui vincenti lo sottolinea chiaramente (42 contro 17).
Le due singole partite, di Sonego come di Musetti, andrebbero soppesate nel contesto di tutto il torneo. E anche della storia dei tennisti italiani al Roland Garros.
Vero che l’appetito vien mangiando, ma fino a qualche tempo avere due italiani in contemporanea piazzati agli ottavi di finale nel “campionato del mondo sulla terra battuta” sarebbe stato considerato un successo.
E le partite di ieri non devono far dimenticare quelle dei giorni precedenti.
Sonego aveva palesato una schiacciante superiorità tecnica nei confronti di due discreti giocatori, Shelton e Humbert (giocando in trasferta), e ha ribadito contro Khachanov l’ottima dimostrazione di tennis e di carattere mostrata con Rublev (peraltro già battuto a Roma tempo addietro; ergo non un caso).
Sulle qualità tennistiche di Sonego, più che su quelle guerriere (che furono anche esse messe in dubbio quando Lorenzo perse a Torino da Goyo in Davis, salvo riscattarsi abbondantemente a Malaga 2022 l’anno dopo) parecchi in questi anni hanno continuato a dubitare.
Non Gipo Arbino, il suo coach che lo conosce meglio di chiunque e, al di là dell’affetto paterno, conosce bene anche il tennis per potersi esprimere con cognizione di causa.
E’ certamente vero che Lorenzo ha ancora una fragilità: una sorta di vera necessità “psicologica” di trovarsi in mezzo a match da… corrida, un torneo e un campo importante, tanta gente, tanto tifo, per esaltarsi e dare il meglio di sé quando è carico al punto giusto. Ecco che in questi casi, più eccezionali che ordinari, lui allora riesce a mostrare un repertorio di colpi e soluzioni tecniche tutt’altro che banali. Spesso da campione. Da top-10 e dintorni, più che da top-40. La fiducia di Gipo è quindi ben riposta.
Ha giocato una grandissima partita con Rublev e per tre set si è ripetuto con Khachanov, due top-ten che hanno giocato bene, molto bene. Entrambi. Lorenzo, che certamente aveva parlato con il suo allenatore, è stato molto lucido anche nella disamina post-sconfitta con il secondo russo, grande amico del primo.
Sonego ha fatto capire di aver accusato la stanchezza, la fatica della intensa maratona corsa due giorni prima con Rublev. Senza voler fare il …sapientone del “io sì che me ne sono accorto subito” mi era parso chiaro già a partire da metà terzo set contro Khachanov che Lorenzo era molto meno agile, meno scattante e di riflesso anche molto meno lucido.
I servizi slice esterni di Khachanov erano tremendi. Lo buttavano fuori dal campo (se e quando riusciva a rispondere) e venivano seguiti da terribili mazzate di dritto. Ma anche di rovescio Khachanov ha fatto grandi progressi. Del resto il russo è reduce da due semifinali consecutive negli ultimi due Slam. Quando “Polpo” Sonego doveva compiere i soliti recupero sul suo lato destro, quello del diritto che è abituato a lasciare un tantino più scoperto per poter girare attorno alla palla e colpire più dritti che rovesci dall’altro angolo, faticava più del solito, arrivava con maggior affanno del consueto, la spinta sul dritto era meno …spinta!
Non aveva recuperato lo sforzo. Ha quindi ragione Lorenzo quando dice che deve lavorare sul fisico, per potersi permettere in futuro anche due maratone in 48 ore. Djokovic e Nadal hanno vinto tutto quel che hanno vinto perché al di là del talento sono – erano? – due mostri anche atleticamente. Capaci di tenere la massima intensita come nella finale australiana del 2012 anche oltre le sei ore in un giorno solo. E Nadal nel 2009 – cito a memoria – vinse un Australian Open alla domenica recuperando lo sforzo di una maratona pazzesca in rimonta di poche ore prima con Verdasco. Quando qualunque altro tennista sarebbe stato moribondo.
Lo stesso Sonego riposato di venerdì contro Rublev avrebbe probabilmente vinto anche contro Khachanov, anche se questi sono discorsi teorici perché poi ogni partita fa storia a sé. Khachanov ha altre armi rispetto a Rublev – il servizio e la potenza devastante dei fondamentali soprattutto – anche se è meno agile. Resta tuttavia molto agile anche lui considerata la stazza.
Chiudo con Sonego per dire che la stanchezza si manifesta non solo nella minor rapidità e reattività, ma anche nella diversa lucidità. Avanti 4-0 nel tiebreak del terzo set ha sbagliato un dritto per lui comodo proprio per mancanza di freschezza mentale. Fosse salito sul 5-0 non avrebbe quasi certamente perso quel tiebreak. Ma forse non avrebbe poi vinto ugualmente. A meno che Khachanov, più fresco, non si fosse innervosito. Aveva perso malamente il servizio sul 5-4.
Lorenzo era stanco, se non stravolto, perché le rincorse cui lo aveva costretto Khachanov con quel bombardamento da fondocampo avevano fiaccato perfino la sua non comune resistenza. Si portava dietro la lotta con Rublev. Poca lucidità ha mostrato anche in almeno 3 o 4 occasioni in cui poteva giocare il passante da situazione di gioco favorevoli e invece, dimentico del vento, ha cercato il lob passante ad effetto. Tutti sbagliati. Tutti abbastanza inutili.
Poi, per carità, Sonego può rimpiangere di non aver inferto il colpo del probabile k.o. già nel secondo set quando ha avuto 4 pallebreak per salire 3-1 – e nessuno può sapere come avrebbe reagito Khachanov trovandosi sotto 6-1,3-1 – mentre non può rimproverarsi nulla per il setpoint mancato nel tiebreak. Khachanov gli ha servito un missile a 199 km l’ora. Semmai quella steccata di rovescio quando era ancora avanti di un minibreak, sul 5-3. Ma, insomma, di punti su cui si può recriminare in un match di 3 ore e 3 quarti ce ne sono sempre a bizzeffe.
Lorenzo sistemi il fisico – e sì che lo ha già buono…, certo migliore di Berrettini, Sinner e Musetti tanto per esser chiari! Tuttavia non basta mai se si vuol fare strada negli Slam, quando almeno una o due partite durissime ci sono sempre – e si caverà belle soddisfazioni.
Passo all’altro Lorenzo.
E non dimentico, non sarebbe giusto farlo, quanto bene ha giocato tutte le sue altre partite, Ymer, Schevchenko, Norrie. Non solo tennis bellissimo a vedersi. Ma anche tennis efficacissimo. Puntuale. Ineccepibile sotto tutti i punti di vista.
Contro Alcaraz, invece, match da junior. Da dimenticare…senza dimenticare tuttavia anche che Alcaraz è Alcaraz. Una potenza impressionante e una flessibilità altrettanto impressionante nella capacità di alternare colpi terribilmente potenti a smorzate delicatissime. Come se invece di avere un solo braccio ne avesse due. Uno per tirare forte, un altro per accarezzare drop-shot irraggiungibili. Come pigiando un bottone. Sempre o quasi sorprendendo l’avversario. Qualsiasi avversario per quanto si è visto nelle giornate di vena. Ha battuto quattro volte su quattro Tsitsipas, mi aspetto che lo faccia per la quinta. Perché sul lato sinistro Tsitsi è troppo debole e quando colpisce i suoi topponi monomani di rovescio finisce col corpo all’indietro: una manna per chi sa giocare le smorzate con l’abilità di Carlitos.
Diversa storia potrebbe essere semmai fra Carlitos e Djokovic. Se Djokovic riuscisse a ripresentarsi in quei panni che per adesso non gli ho ancora visto reindossare.
Ma torno su Musetti. L’ho “bollato” poco sopra dicendo che ha giocato come uno junior. Sì, senza il giusto approccio mentale, senza la voglia di lottare come è invece indispensabile. Del resto lo ha ammesso lui stesso a fine match. Leggete le sue dichiarazioni.
Fin dall’inizio, quando ha cominciato con l’illusorio break, è sembrato troppo Narciso. Più intenzionato a cercare il colpo strappa-applausi, che la sostanza. Ogni volta che è stato scavalcato da un lob ha cercato impossibili tweener. Ogni volta! Senza mai l’umiltà di una difesa meno arrogante e pretenziosa.
Idem sulle rare smorzate sulle quali, partendo da così lontano, era riuscito ad arrivare. Ha sempre cercato di tirar fuori il coniglio dal cappello del mago prestigiatore.
Ingenuo. Presuntuoso. O più semplicemente – nell’occasione eh, non sto esprimendo giudizi assoluti sul personaggio Musetti, mi sto riferendo soltanto a questa singola partita e si sa che ogni partita fa storia a sé – giovane, giovanissimo.
Credo che imparerà la lezione. Il talento non si discute. Ma lui non ha bisogno di sottolinearlo a tutti i costi. Anche perché il costo alla fine si chiama sconfitta. E con Alcaraz si è trattato di sconfitta pesante. Non è mai stato in partita, non ha mai dato l’impressione di poterci entrare, di poterla rovesciare. Sembrava che ci fossero due categorie di differenza.
Ci sono? Può essere, oggi come oggi. Ma non è detto che ci saranno sempre. Perfino Alcaraz ha i suoi bassi, non solo alti. Lo abbiamo visto a Roma. Quando anziché a comandare tutto, gioco e punteggio, si trova . inopinatamente per lui e per gli altri – sotto, indietro, si innervosisce, si smarrisce, può commettere errori giovanili lui pure. In fondo i 23 errori gratuiti di domenica non sono pochissimi.
Carlitos è fortissimo, in tutti i sensi, anche tatticamente. Quando decide di venire avanti, seguendo il servizio oppure in controtempo, non sbaglia quasi mai il momento, il tempo, la scelta. Indubbiamente un fenomeno. Fa paura pensare che certamente migliorerà ancora. Ma migliorerà anche Musetti che, a suo modo, ha qualcosa di straordinario anche lui. E non solo la bellezza di certe sue invenzioni. Si assottiglierà o si approfondirà il gap fra i due? Nessuno può saperlo.
Ma se la vittoria di Amburgo non era da prendere per oro colato, perché Carlitos non era ancora quel che è oggi, anche questa batosta del Roland Garros non va presa per oro colato. Il gap c’è, indubbiamente, ma non credo sia così profondo come è sembrato nell’occasione. Ad Maiora.