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Roland Garros: uno Zverev sempre più solido batte il “solito” Dimitrov [VIDEO-commento]
Prestazione opaca di Grigor Dimitrov che sbaglia troppo, raramente impensierisce l’avversario e, quando pare almeno poter allungare il match, crolla. Bene invece Sascha Zverev che sembra pronto a tornare ai livelli di un anno fa

[22] A. Zverev b. [28] G. Dimitrov 6-1 6-4 6-3

Nella ventosa serata del secondo lunedì parigino, lo scontro che vedeva opposti l’ex numero 2 del mondo e l’ex numero 3 si risolve con la vittoria del primo: Alexander Zverev ha battuto in tre set Grigor Dimitrov, 6-1 6-4 6-3 in 2 ore e 17 minuti, raggiungendo per la quinta volta i quarti di finale al Roland Garros, 367 giorni dopo l’infortunio alla caviglia, patito in semifinale contro Nadal su questo stesso campo, che lo aveva fermato per il resto della scorsa stagione.
Sta tornando, Sascha, e lo ha fatto vedere anche in questo match dove la solidità ha vinto lo scontro diretto con l’eleganza per la quarta volta consecutiva – l’unica sconfitta di Zverev quando aveva 17 anni. Dimitrov paga i troppi unforced (50 a fronte di 14 vincenti), l’inferiorità nell’angolo sinistro e quel 2 su 16 sulle palle break che qualcuno potrebbe leggerci una certa fragilità mentale e probabilmente non sbaglierebbe. Bravo Sascha a mettere a nudo quei problemi, e in generale molto concreto anche se con qualche occasionale passaggio a vuoto che un altro avversario potrebbe non perdonargli. Il generoso Grigor ha invece sprecato quattro occasioni del 5-2 pesante nel secondo parziale.
Primo set – Sascha parte centrato, Grisha non pervenuto
Dimitrov mette subito a suo agio Zverev partendo con due doppi falli, ai quali aggiunge altrettanti errori in palleggio per cedere la battuta. Sascha conferma, Grigor cerca variazioni che al momento non impensieriscono l’avversario, regala ancora mentre il dritto tedesco fa un paio di buchi e il 4-0 arriva veloce, troppo veloce. Il rovescio bulgaro non graffia in slice e non incide in top, uscire da quell’angolo in modo efficace è tanto indispensabile quanto complicato. Dimitrov si iscrive a referto, dà l’illusione di poter entrare in partita e invece Zverev chiude il set 6-1 in mezz’ora con la smorzata vincente. 10 prime su 16 in campo gli hanno portato 10 punti, ma è un po’ tutto il suo gioco a girare.
Secondo set – Grigor c’è, solo che è proprio lui
Dimitrov comincia a farsi vedere, Zverev si rilassa un po’ e al terzo gioco concede due palle break da sinistra, ma una volée di dritto che una volta non sapeva fare e un palleggio solido risolvono il problema. La prima tedesca latita, Grisha ne approfitta per comandare lo scambio e sorpassa al quinto game. L’altro riparte sfoderando un vincente bimane lungolinea e guadagna campo caricando sull’altrui monomane, ma la doppia occasione conseguente sfuma per merito di Dimitrov che sale 4-2.
Sascha ha il suo daffare per rimanere in scia, ma annulla le quattro chance per quello che sarebbe stato un allungo bulgaro pressoché irrecuperabile. Un po’ lo fanno i rimpianti, il resto lo fa volée comodissima a campo apertissimo tirata molto forte e abbastanza fuori che gli costa lo 0-30 (ma due gran recuperi di Alexander) e Grigor non vince più un punto. E così break a zero lasciando un lob che ricade un metro e mezzo dentro – certo aiutato dal vento che spira giusto da NNE –, l’altro tiene in scioltezza per il 5-4 e vola 0-40 in risposta: quattordici punti consecutivi Germania. Dimitrov non ci sta ma un po’ sì, quindi recupera, spreca, salva ancora e infine capitola: 6-4 Zverev, dopo le quattro (15-40 e due vantaggi) palle per il 5-2 bulgaro.
Terzo set – Potenziale 4-0 Grigor, ma è 1-3
Al rientro dall’iniezione di insulina, il 198 cm da Amburgo discute con l’arbitro sulla procedura, si ritrova 0-40 ma ne esce anche con un nastro favorevole. Non risolve invece la stessa situazione di punteggio l’avversario, anche perché il nastro è ancora tedesco, e allora sembra che Zverev faccia apposta a perdere di nuovo i primi tre punti in battuta per fargli vedere come ci si salva. In ogni caso, 3-0 per l’uno e 1-14 palle break trasformate per l’altro. Alla fine ce la fa, Grisha, a strappare la battuta all’avversario; magari, con due doppi falli di cui uno sul 30-40, è più Sascha che la perde, ma vale lo stesso.
Un paio di turni di battuta senza sofferenza, poi ne arriva una pessimo di Dimitrov che anch’egli chiude con la battuta fuori bersaglio. Zverev tiene agevolmente e vola ai quarti, troverà l’argentino Tomas Martin Etcheverry, vincitore di Yoshihito Nishioka. Sarà lui l’avversario di cui sopra, quello che non gli perdonerà i passaggi a vuoto? Ma avrà dei passaggi a vuoto questo Zverev, non ancora vicino ma certo ben indirizzato verso il suo miglior tennis?
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WTA Pechino, il tabellone: Sabalenka e Rybakina nella parte alta. Swiatek e Gauff al debutto in Cina
I quattro bye del torneo sono stati assegnati alle quattro semifinaliste del Toray Pan Pacific Open: Pegula, Maria Sakkari, Veronika Kudermetova e Anastasia Pavlyuchenkova.

È stato sorteggiato il tabellone del China Open, l’ultimo evento WTA 1000 della stagione in programma da sabato 30 settembre. Tra conferme e attesi ritorni si rivedono tutte e quattro le prime teste di serie del ranking, a partire dalla numero 1 al mondo Aryna Sabalenka, assieme a Iga Swiatek, Coco Gauff e Jessica Pegula. Swiatek e Gauff sono pronte a fare il loro debutto in Cina. I quattro bye del torneo sono stati assegnati alle quattro semifinaliste del Toray Pan Pacific Open: Pegula, Maria Sakkari, Veronika Kudermetova e Anastasia Pavlyuchenkova.
Nella prima parte di tabellone svetta Aryna Sabalenka, al suo primo torneo come nuova numero 1 del mondo. Assieme a lei, in questa porzione di tabellone, troviamo la campionessa di Wimbledon 2022 Elena Rybakina, la campionessa di San Diego Barbora Krejcikova, e la quindicesima testa di serie Beatriz Haddad Maia. Sabalenka aprirà il suo torneo contro la rediviva Sofia Kenin. Kenin ha già vinto quest’anno su Sabalenka, battendo l’allora numero 2 nel secondo turno di Roma.
Nella seconda parte di tabellone troviamo la testa di serie numero 4 Jessica Pegula insieme alla testa di serie numero 7 Ons Jabeur. La tunisina ha vissuto una settimana intensa a Ningbo, dove ha raggiunto la sua prima finale da Wimbledon e la prima su un campo in cemento dagli US Open del 2022. Grazie al Bye Pegula inizierà il secondo turno contro Donna Vekic o Anna Blinkova. Oltre a loro le teste di serie numero 12 Petra Kvitova e Jelena Ostapenko, testa di serie numero 13.
La terza porzione di tabellone vede protagonista la campionessa degli US Open Coco Gauff, che giocherà il suo primo evento da campionessa major. La numero tre del mondo affronterà Ekaterina Alexandrova al primo turno. In questa sezione ci sono anche la campionessa di Guadalajara Sakkari e Kudermetova, che hanno dei bye al primo turno. Nella parte bassa, al suo debutto nel torneo, la numero 2 del mondo Iga Swiatek guida l’ultimo quarto del tabellone. Con lei c’è anche la campionessa di Wimbledon Marketa Vondrousova e le uniche due ex campionesse presenti nel sorteggio, Caroline Garcia (2017) e Victoria Azarenka (2012). La Swiatek aprirà contro la spagnola Sara Sorribes Tormo.
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Coppa Davis, Jannik Sinner “caso Nazionale”: per me è innocente
Se Jannik ha nella propria scala degli obbiettivi le ATP Finals al di sopra della Coppa Davis gliene possiamo fare una colpa?

Premessa: Fino a pochi giorni fa la rinuncia di Jannik Sinner alla convocazione in Nazionale per il round eliminatorio di Coppa Davis era un argomento di discussione confinato agli appassionati di tennis. Nelle ultime settimane tuttavia abbiamo assistito ad una vera e proprio campagna mediatica da parte della Gazzetta dello Sport, che ha dedicato ampio spazio alla vicenda; il culmine è stato raggiunto sabato scorso, quando la copertina di Sportweek – l’inserto settimanale della rosea – era proprio dedicato a Sinner. Il titolo era eloquente: “Perché il numero uno del nostro tennis ha sbagliato a dire di no alla Coppa Davis”.
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Ci siamo sentiti allora in dovere di ragionare un po’ sulla vicenda e nel seguente articolo potrete trovare le ragioni della difesa. Abbiamo immaginato insomma di trovarci in un’aula di tribunale e vestire i panni della difesa (speriamo che alla fine non ne venga fuori solo una d’ufficio).
Cari lettori, innanzitutto partiamo da un fatto abbastanza curioso che tutti avrete potuto notare: la “rosea”, solita dedicare un trafiletto in prima pagina al vincitore di Wimbledon che impallidisce di fronte a qualsiasi rumor di calcio mercato estivo, ha deciso di dedicare ampio spazio alla vicenda. Per vedere nuovamente Sinner su una copertina di Sportweek come minimo sarebbe necessario una vittoria Slam.
Pertanto, la prima richiesta che vi facciamo è quella di astrarvi dal clamore mediatico che impera in questi giorni è che appare decisamente orientato. Non facciamo dietrologia sui motivi di tali scelte editoriali, semplicemente vi chiediamo di liberare la mente delle impressioni e dei pregiudizi che potreste aver maturato in questi giorni e di dedicare 3 minuti del vostro tempo per seguire quelli che sono i fatti.
È davvero una colpa la sua?
Jannik Sinner quindi lo dobbiamo considerare colpevole? E se sì, di quali colpe si sarebbe macchiato?
Se le parole hanno un significato, allora tutti potremo concordare che nella lingua italiana si parla di colpa per indicare: “ogni azione che per qualsiasi motivo è riprovevole o dannosa, causando un pregiudizio mediante la violazione di obblighi di varia natura, anche morale”
Perdonate la pesantezza della definizione ma a volte un po’ di precisione è opportuna per organizzare un’argomentazione.
Nella definizione procedente di colpa sono due gli elementi che reggono il periodo:
- Una valutazione ex post: c’è colpa quando esiste un’azione che produce degli effetti dannosi.
- Una valutazione ex ante: c’è colpa quando ci si discosta nell’agire da uno standard morale
I rischi della sua assenza
Sotto il primo punto, valutazione ex post, analizzando i fatti, chi scrive considera che gli effetti della rinuncia alla chiamata in nazionale sono stati principalmente:
- Aumentare le probabilità di eliminazione da parte della nazionale italiana. Poiché Sinner era il nostro miglior giocatore, non aver potuto disporre del suo apporto avrebbe potuto portare la squadra azzurra all’eliminazione dal torneo.
- Incrinare potenzialmente il clima e la coesione di squadra in quanto Jannik ha anteposto le proprie esigenze di programmazione alla chiamata in Nazionale.
Tralasciamo per un attimo il fatto che la Davis sia una manifestazione che in questo momento sta attraversando un periodo di appannamento e di rinnovamento, che non assegna punti ATP e che ha perso di appeal. Tralasciamo che spesso e volentieri i migliori giocatori al mondo hanno declinato cortesemente più di una convocazione in nazionale, quando confliggeva con le loro esigenze di programmazione. Tralasciamo quindi che in questo momento storico la Coppa Davis è generalmente più attraente per quei tennisti che si trovano in posizioni di rilievo ma comunque fuori dalla top 20 e che il richiamo comincia a farsi sentire solo nelle fasi finali. Tralasciamo tutti questi elementi di contesto e concentriamoci sui punti richiamati in precedenza.
Rispetto al punto 1. – inficiare le possibilità di qualificazione della squadra italiana – il danno era da considerarsi oggettivamente modesto alla data in cui Jannik ha espresso il proprio rifiuto.
Il Canada era privo dei sui migliori giocatori, la Svezia non era un avversario temibile e il Cile poteva contare solo su un buon Jarry. Oggettivamente la qualificazione, giocando in casa anche con i vari Sonego, Musetti e Arnaldi era data pressoché per scontata.
Sotto questo punto di vista pertanto il danno arrecato da Sinner sembrava essere molto relativo. Se le probabilità di passare il turno con Jannik a Bologna avrebbero sfiorato la certezza matematica, anche senza il ragazzo di San Candido l’Italia rimaneva comunque nettamente la favorita per il passaggio del turno.
Il rischio di eliminazione c’è stato
Sfortunatamente con la sconfitta contro il Canada siamo arrivati a un passo dall’inferno e si è scatenata la solita caccia al colpevole per trovare un capro espiatorio; e allora non deve stupire che mentre Sonego e Musetti combinavano la frittata contro il Canada, il primo pensiero di tanti, Gazzetta inclusa, era quello di cercare il colpevole altrove.
All’indomani della sconfitta con il Canada allora la colpa di Jannik ha assunto ben altre proporzioni come se la squadra azzurra fosse un’armata Brancaleone come la Grecia, a cui se togliamo Tstsipas resta solo qualche buon seconda categoria.
Ma ribadiamo, il girone di Bologna sembrava benigno e la vittoria del Canada contro gli azzurri era data tanto a poco da tutte, ma proprio tutte, le agenzie di scommesse. Per cui sotto questo profilo, la colpa che poteva essere additata a Sinner va calcolata rispetto al momento in cui ha annunciato il proprio forfait ed è senz’altro lieve.
Per quanto riguarda il punto 2. – incrinare il clima di coesione di squadra – il discorso è probabilmente più complicato. Il fatto che Sinner sia considerato da tutti il miglior tennista italiano in circolazione al momento è opinione condivisa. E storicamente è un fatto che le star delle rispettive Nazionali abbiano sempre goduto di trattamenti di favore. Vi immaginate forse un pacioso Severin Luthi cazziare Federer e Wawrinka quando non si presentavano?
Non stupisce allora che anche per Jannik valgano logiche simili e che la Federazione e il capitano Volandri non abbiano nessun interesse ad entrare in rotta di collisione con la loro star.
Certo è che in Davis, Jannik ancora non ha dimostrato acuti pesanti tali da giustificare tale status. Sinner ha vinto 6 dei 7 match giocati finora in Davis con la nuova formula, ma il match più difficile è stato contro Marin Cilic, un buon giocatore, ma che nel 2021 non era certo il temibile top ten del 2017 e del 2018.
Insomma, a Jannik è stato fin qui concesso credito illimitato, che però a questo punto dovrà per forza ripagare a Malaga. In un’ipotetica semifinale contro Djokovic, Sinner dovrà dimostrare di meritare i galloni di leader, altrimenti poi sarà difficile tenere a bada i legittimi mugugni degli altri ragazzi che invece a Malaga la squadra ce l’hanno portata e che magari finiranno con l’essere esclusi dal team. Intendiamoci, non è che pretendiamo una vittoria su Nole, ma almeno una partita maiuscola, quello sì. Pertanto, sotto questo secondo punto, il giudizio è sospeso.
A giudizio di chi scrive il problema potrebbe porsi in futuro qualora Sinner continuasse a richiedere un trattamento di favore senza però trascinare la squadra con le sue vittorie nei match che contano, quelli che decidono poi se si vince o si perde il trofeo. A quel punto probabilmente ci si aspetterebbe da Volandri una programmazione e un impegno da parte dei propri uomini che richieda un’adesione completa al team, e non solo quando si allineano gli astri o quando c’è odore di trofeo.
In sintesi, se parliamo di colpa sotto il profilo di danno provocato, a Sinner si può imputare ben poco; ribadiamo, considerare a inzio settembre prima dell’avvio del girone Jannik come essenziale alla qualificazione sarebbe sembrato quasi offensivo nei confronti degli altri singolaristi, che sono tutti ampiamente nei primi 100 al mondo.
L’aspetto morale
Passiamo adesso a considerare la questione sotto un punto di vista morale, la componente che abbiamo chiamato ex ante della definizione di colpa.
In tal caso i termini del problema – come impostato dalla Gazzetta – possono essere inquadrati a piacimento. Basta qualche piccolo espediente retorico per presentare la vicenda sotto la giusta angolatura e smuovere le passioni.
Ad esempio, una delle obiezioni mosse a Jannik è quella di essere stato egoista e di essersi dimostrato insensibile alla chiamata della Nazionale. In tal caso però il contesto è importante per emettere un giudizio.
In primo luogo il tennis è uno sport individuale, che viaggia a ritmi spesso estremi, nel quale la gestione fisica è fondamentale. Se Jannik ha nella propria scala degli obbiettivi le ATP Finals al di sopra della Coppa Davis gliene possiamo fare una colpa? È un desiderio legittimo, semmai valeva la pena essere coerenti e comunicarlo chiaramente. Un po’ come Roberto Mancini che legittimamente ha scelto la strada di allenare la Nazionale saudita per una motivazione chiaramente economica ed è stato crocifisso sulla pubblica piazza. La dinamica era simile, e così come a Sinner, al Mancio può solo essere imputato di non avere rivendicato con maggiore forza la propria scelta senza trincerarsi su questioni secondarie.
In secondo luogo, mantenendo il paragone con l’ambito calcistico, quello più noto ai più, andrebbe anche ricordato che Jannik non ha disatteso una chiamata alla fase finale dei Mondiali. Il paragone più consono sarebbe quello di una mancata risposta ad una convocazione per una gara di qualificazione contro la Macedonia. Poi se la squadra incappa in una giornata dannatamente storta contro un avversario mediocre e si fa fregare, la colpa davvero è degli assenti?
Infine, sempre per restare nel campo dei giudizi morali, un ulteriore aspetto che potrebbe aver svolto un effetto moltiplicatore è quello relativo alla figura di Jannik. Sarà politicamente scorretto dirlo, ma Sinner con i suoi modi puliti, poco empatici e le origini altotesine – piaccia o meno – scatena in tanti (fortunatamente non in tutti eh!) una discreta antipatia e al ragazzo non gli si perdona quindi il minimo sgarro. Allora se Sinner si sfila e rifiuta la convocazione non è solo colpevole, è über-colpevole.
Ma pure su queste dinamiche, il povero Jannik che colpa ne può avere? Perché di questo stiamo parlando, Jannik è responsabile delle proprie azioni, non di altro. Se poi oltre a giocare bene a tennis si pretende che frequenti pure un corso di dizione questo è un altro discorso. Ma che rasenta la follia.
In conclusione per farla breve, il can can mediatico sollevato dalla Gazzetta è più che altro una panna montata che trova scarso fondamento nei fatti. Insomma a giudizio di chi scrive Jannik – seppure in modo silenzioso e senza rivendicarlo esplicitamente– dà l’impressione di sapere che il suo status all’interno della squadra è privilegiato. Malaga in questo senso sarà un crocevia importante, avrà i fari di tutti puntati addosso e sarà vietato sbagliare. D’altronde, come si dice, oneri e onori vanno di pari passo.
Coppa Davis
Coppa Davis, Jannik Sinner “caso Nazionale”: per me è colpevole
Immagine, uguaglianza e spirito di squadra: perché pensiamo che Jannik Sinner abbia sbagliato a rifiutare la convocazione in Coppa Davis

“Sfortunatamente non ho avuto abbastanza tempo per recuperare dopo i tornei in America e purtroppo non potrò far parte della squadra a Bologna. È sempre un onore giocare per il nostro paese e sono convinto di tornare in nazionale al più presto. Un grosso in bocca al lupo ai ragazzi, ci vediamo” recitava il tweet di Jannik Sinner.
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Immagine pubblica, modelli e confronti
Nonostante la chiusura con un cuore e la bandiera italiana e il durissimo match allo US Open perso con Zverev dopo 4 ore e 41 minuti, a molti la decisione non è affatto piaciuta, una motivazione giudicata insufficiente, una scusa. Tra le critiche, ha ventidue anni, c’era più di una settimana per recuperare, e allora Djokovic, che di anni ne ha trentasei e a New York ha disputato tre match in più, eppure ci sarà? Il confronto a prima vista impietoso in realtà dimentica che Novak gioca un circuito a parte in cui si presenta quando gli fa comodo (come le regole gli permettono). Nole era ancora nella fase di riposo post-Wimbledon quando Jannik vinceva Toronto, lo slam americano è stato il suo decimo torneo dell’anno (diciassettesimo per Sinner) e avrebbe poi saltato l’intera tournée asiatica.
Nonostante tutti i distinguo elencati, pensiamo (questa e ogni altra prima persona plurale da intendersi come opinione di chi scrive) che Jannik abbia sbagliato a chiamarsi fuori. Non perché l’Italia abbia rischiato l’eliminazione (quello che è successo dopo il rifiuto qui non ci interessa) e nemmeno, a prescindere da quanto detto, dalla presenza di Djokovic. Questo secondo motivo ha invero una sua validità, poiché la percezione spesso conta quanto e più di una realtà articolata. E la percezione di molti appassionati e addetti ai lavori si è risolta in un pollice verso. In alcuni casi superando il limite (sempre a nostro avviso), con frasi come quelle apparse su Sport Week della Gazzetta: “E se Jannik Sinner, il Peccatore, chiedesse scusa del suo peccato? Non all’Italia o agli italiani ma a se stesso”.
Parliamo della programmazione sportiva di un giovane atleta, non di rappresentanti delle istituzioni che calpestano la Costituzione. Perché finché si scherza sul cognome di Jannik è un conto, ma usarlo impropriamente (Sinn in tedesco significa senso, non peccato) per montare quella che sa di stantia retorica cattolica, anche no. Al contempo, troviamo ragionevole il concetto di fondo.
Tornando alla percezione, all’immagine pubblica – oltre all’innegabile fatto che un top player è anche un modello per giovani e giovanissimi –, non possiamo non rilevarne l’importanza per un professionista, anche in forza della correlazione tra apprezzamento dei tifosi e sponsor, tanto che valutazioni commerciali possono mettersi di traverso con quanto hanno in mente coach, fisio e preparatori atletici. Citiamo solo i recenti casi di Matteo Berrettini, ancora non in condizione al Boss Open di Stoccarda, e di Emma Raducanu, che ha saltato la BJK Cup (se non rimandato gli interventi chirurgici) in favore del Porsche Tennis Grand Prix di… Stoccarda. A proposito di Berrettini, l’assenza bolognese di Jannik è stata ancor più rumorosa per la presenza in panchina di Matteo: “Il suo è stato un comportamento da leader” ha commentato il presidente della FITP Angelo Binaghi.
Uno per tutti, tennis per uno
A favore della scelta di Sinner, l’obiezione per cui il tennis è uno sport individuale: il giocatore rappresenta sé stesso e decide il meglio per la propria carriera. Forse a un calciatore del Napoli non importa della propria carriera solo perché durante quei novanta o quaranta minuti passa (o non passa) la palla a un compagno libero? Calciatori, cestisti, pallavolisti, tutti possiedono verosimilmente il cosiddetto “spirito di squadra”, caratterizzato dal senso di appartenenza, dalla condivisione degli obiettivi, dalla cooperazione. Però, la squadra che si nutre di questo spirito è l’Inter, è la Virtus, è il Modena Volley, non la nazionale. Dopotutto, se il pallavolista gioca lo stesso sport che si tratti di Serie A o Mondiali, lo stesso vale per il tennista in un torneo individuale o in un incontro a squadre: Musetti era in campo da solo allo US Open ed era in campo da solo a Bologna in Davis. E, probabilmente, rappresenta più l’Italia uno dei nostri tennisti in giro per il Tour che un club del pallone in Coppa dei Campioni. Non si chiama più così? Sta’ un paio d’anni senza seguire il campionato e ritrovi un altro mondo.
Al passo con i tempi
Senza dunque grosse differenze a seconda che in campo ci siano uno o più atleti, la convocazione dovrebbe in ogni caso essere percepita come un onore: scelto per rappresentare tutti i giocatori, dagli amatori a salire, e, in ultima analisi, il Paese stesso di fronte al mondo. Se l’obiezione è, sai che sorpresa, sono il più forte di tutti, in genere le primedonne non riscuotono i favori del grande pubblico. Ma ci torneremo.
Prima è necessario considerare anche la possibile diversa percezione di questo onore tra le nuove generazioni. Perché il fatto che le critiche più aspre siano arrivate da Adriano Panatta e da Nicola Pietrangeli, il capitano della “Squadra”, quella che ha vinto la Coppa Davis nel 1976, fa nascere questo dubbio. Qui però si corre il rischio di generalizzare, di nascondere “tutte le facce dietro una sola, che è quella dei sondaggi di opinione: i giovani qua, i giovani là, i giovani un gran paio di maroni” (citazione a memoria di Ligabue, 1995) e non possiamo fare molto più che interrompere l’allenamento dei ventenni con cui condividiamo la palestra per scoprire che preferirebbero giocare nel Milan (o quella che è) che nella Nazionale. Resta vero, e lo riconoscono gli stessi Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli, che il calendario e le priorità sono cambiate rispetto a quei tempi. Quando c’era ancora la mezza stagione, signora mia.
Restando in tema di (bei?) tempi andati, c’è poi la scusante “non è più la Davis di una volta”, quindi a chi importa se ci va o no. Perché regga, però, non può essere immaginata, vale a dire che il tennista di turno lo deve dichiarare, “questo formato è una schifezza, rifiuto di esserne parte”. Novantadue minuti di applausi, poi succeda quel che succeda.
Regole: per molti ma non per…
Dallo Statuto FITP 2023: “Gli atleti selezionati per le rappresentative nazionali sono tenuti a rispondere alle convocazioni e a mettersi a disposizione della FITP, nonché ad onorare il ruolo rappresentativo conferito” (art. 10, c. 2). La violazione della norma prevede che siano “puniti con sanzione pecuniaria e con sanzione inibitiva fino ad un massimo di un anno” (Regolamento di Giustizia, art. 19, c. 1). In caso di sanzione definitiva, stessa punizione per il coach (c. 3).
Ammettiamo di non aver letto l’intero Statuto neanche ai tempi dell’esame da ufficiale di gara e non possiamo quindi escludere l’esistenza di un’eccezione. Il riferimento è alle parole “assolutorie” di Angelo Binaghi: “Se l’obiettivo continua ad essere, e deve continuare ad essere, quello di vincere gli Slam – il giorno in cui questo mostro che si chiama Djokovic che tra tre, quattro anni avrà circa quarant’anni e giocherà un po’ meno – bisognerà farsi trovare pronti […]. Dunque, in questi casi bisogna fermarsi.”.
Una disparità di trattamento che non può e non deve essere legittimata, non solo in quanto l’uguaglianza di fronte alle regole è un principio basilare, bensì perché rischia di minare il citato spirito di squadra e la passione per la rappresentativa azzurra, arrivando a far percepire il “giustificato” come una primadonna che impone e antepone i propri capricci ai compagni.
Tra l’altro, se il metro di giudizio che vogliono vendere è “chi potrebbe vincere Slam fa quello gli pare”, sarebbe quantomeno opportuno che venisse delegato uno bravo a fare previsioni, dal momento che Simone Bolelli, nel 2008 oggetto di pubbliche ire binaghiane per il suo “no” alla convocazione, uno Slam l’ha poi vinto. Mentre Sinner (con quelli della sua generazione) è stato invero certificato dal proclama federale al pari dei componenti della Lost Generation e degli Original Next Gen: tennisti che per vincere titoli pesanti altro non possono fare che attendere il ritiro dell’essere mitologico chiamato Big 3, pur rimasto con una sola testa.
Fraintendimenti faziosi
Anche se non dovrebbe esserci bisogno di chiarirlo, tifare per la nazionale o sentirsi onorati di vestirne i colori nulla ha a che fare con il peggior lato del nazionalismo, che invece di bearsi dell’unicità della propria nazione la ritiene superiore a tutte le altre, quel nazionalismo che ha portato alle relative dittature del secolo scorso e alla seconda guerra mondiale, quell’ideologia che ora ritrova nuova linfa anche grazie alle risposte ignoranti (al)le sfide della globalizzazione e del nuovo millennio. No, sperare che la rappresentativa del proprio Paese vinca i mondiali di pallavolo, gli ori alle Olimpiadi, la Coppa Davis, così come credere che Jannik abbia sbagliato a rifiutare la convocazione, non c’entra nulla con quanto sopra e con il Deutschland über alles urlato dagli spalti a Zverev (gran presenza di spirito da parte di Sascha nella reazione, peraltro).
Perché, parlando con un amico, una persona può scherzare sul proprio figlio, definirlo anche un po’ scemo, ma mai accetterebbe che a chiamarlo così fosse l’altro. Allo stesso modo, quando Pietrangeli parlando “in generale” ha avuto quell’uscita infelice, quel “se non sei fiero di giocare per il tuo Paese fatti fare un certificato medico fasullo” all’interno di un discorso altrimenti sensato – condivisibile o meno, siamo qui per questo –, noi possiamo spingerci nella satira dicendo che quel certificato è forse il vero simbolo dell’italianità. Ma se ce lo rinfacciassero un francese, un russo, un americano, beh, non gliele manderemmo a dire.
In conclusione, a dispetto degli infiniti episodi di becera quotidianità, non viviamo nel caos e accettare con entusiasmo la convocazione significa anche rappresentare un ideale di cooperazione alla cui altezza nessuno di noi è in grado di vivere. Per questo, pur rifiutando la dicotomia innocentisti/colpevolisti, soprattutto nella parte in cui si addossano colpe, riteniamo che Jannik abbia sbagliato. E che Volandri sbaglierebbe se lo chiamasse per la fase finale di Malaga. Poi, il 2024 è un altro anno.