Wimbledon, Djokovic e la ricetta del successo: "Devi avere devozione per la tua professione"

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Wimbledon, Djokovic e la ricetta del successo: “Devi avere devozione per la tua professione”

Alla vigilia dei Championships, Novak Djokovic si esprime sul principale antagonista alla sua difesa della corona londinese: “Non ho bisogno di vedere Alcaraz in tabellone per trovare una motivazione extra”

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Djokovic RG 2023 (Copia)
 

Novak Djokovic, l’indiscusso favorito alla vittoria della 136esima edizione di Wimbledon nonché campione in carica e trionfatore incontrastato a Church Road negli ultimi cinque anni – con l’unica postilla dovuta al 2020 e alla Pandemia -, ha tenuto la consueta conferenza stampa Pre-Torneo in occasione della due giorni del Media Day.

Il 36enne di Belgrado, tds n. 2 del tabellone londinese, esordirà contro l’argentino Pedro Cachin già in campo domani lunedì 3 luglio nel Day 1 del main-draw, aprirà il programma sul Centre Court alle 14:30 – nella prima tappa del suo Tour de Force alla conquista del 24° alloro Slam che lo proietterebbe al pari della leggendaria Margaret Court. Il che significherebbe anche ottavo Wimbledon e aggancio completato ai danni di Roger Federer.

Ecco di seguito la conferenza integrale del campione serbo.

D. Hai vinto la maggior parte dei tuoi titoli Slam, superando per anni e anni sempre gli stessi avversari. Quindi ti chiedo, quanto sia rigenerante e stimolante alla tua età affrontare nuove sfide come quelle contro Carlos [Alcaraz, ndr]? Cosa rivedi in lui del ventenne Novak Djokovic?

Novak Djokovic: “E’ normale che sia così, ogni volta che scendi in campo ti troverai sempre un nuovo rivale con cui confrontarti. E’ sempre stato così, e sempre lo sarà. Carlos è un ragazzo molto simpatico e credo inoltre che si stia comportando in maniera estremamente matura se si considera che hai solto vent’anni. Ha già ottenuto svariati successi e nonostante sia così giovane è stato già in grado di scrivere pagine importanti di questo sport. Penso anche poi, che sia una figura fantastica per il tennis giocato trattandosi di un giocatore che si esprime con tanta intensità, mettendo grande energia in campo. Allo stesso tempo sa essere molto umile e difatti è piacevole trascorrere del tempo assieme fuori dal campo: ha un carattere delizioso con cui è bello entrare in sintonia. In campo, invece, è indubbio che sia impressionante tutto quello che ha fatto e che sta facendo in un periodo così breve, tra l’altro essendo ancora all’inizio della sua carriera. Lavora alla grande, anche perché ovviamente ha Juan Carlos Ferrero [Ferrero, ndr] al proprio fianco, un campione ex numero 1 al mondo che è capace di guidarlo alla perfezione. Funzionano molto bene come squadra. Per quanto mi riguarda, però, sinceramente non ho bisogno di avere Carlos o qualsiasi altro giocatore in tabellone per trovare quella spinta e quella motivazione extra quando approccio ad uno Slam; poiché sono assolutamente consapevole del fatto che debbo vincere sette partite consecutive se io voglia veramente vincere il titolo. Perciò, chiunque io possa trovarmi ad affrontare dall’altra metà della rete, per me non fa differenza. Devo soltanto concentrarmi nel fare quello che so essere necessario compiere per raggiungere l’obiettivo. La maggior parte della mia attenzione è esclusivamente focalizzata sulla cura del mio corpo, della mia mente e chiaramente del mio gioco, provando a portarlo allo stato ottimale di cui necessito e fornendo il meglio di me stesso e di quello che posso in ogni singola partita“.

D. Ti senti più rilassato ora che hai raggiunto il 23° Slam? Come ti assicuri di non perdere motivazioni come invece ti accadde dopo la vittoria al Roland Garros del 2016?

Novak Djokovic: “Non mi sento più rilassato, ad essere onesto (sorridente). Mi sento ancora decisamente affamato di nuovi successi e traguardi, di altri titoli del Grande Slam. Finché c’è quella spinta interiore che mi muove, so di essere ancora in grado di competere ai massimi livelli. Se invece, un giorno, dovessi perderla allora immagino che dovrei affrontare probabilmente circostanze diverse da quelle con cui mi sono misurato finora ed avere di conseguenza un approccio differente. Ma come detto, fino adesso quel fuoco sacro non è mai mancato. Pochi giorni dopo la vittoria del Roland Garros, ad esempio, stavo già pensando alla preparazione per la stagione su erba e agli aspetti sui quali avrei dovuto lavorare per giungerci il più preparato e pronto possibile. Il calendario è talmente così fitto da non concederti mai la reale possibilità di riflettere su quello che realizzi o goderti quello che ottieni. Certo, in parte l’ho fatto divertendomi con la mia famiglia, ma non per un periodo prolungato proprio perché incombevano nuovi impegni. Anche se, naturalmente, il fatto che molte persone nelle ultime settimane si siano avvicinate per congratularsi, ricordandomi e rimarcando la componente storica del mio ultimo traguardo, fa enormemente piacere, ovviamente ti lusinga ma a allo stesso tempo la mia testa era già diretta verso Wimbledon. E’ sempre questo il mio modo di approcciarmi alla vita da tennista, ‘qual è il prossimo Slam in programma, qual è il prossimo compito?’. Questa, secondo il mio punto di vista, è la vita del tennista professionista. E questo tipo di mentalità è fondamentale se si vuole mantenere un alto livello di intensità con costanza. Se vuoi davvero avere una possibilità e provare a vincere ancora Slam, è necessario far sì che rimanga intatta questa sorte di devozione nei confronti della tua professione. Io, dentro queste vesti mi trovo a mio agio. Naturalmente il voler guardare ai nuovi obiettivi da perseguire, non significa che non sia orgoglioso ed entusiasta di poter essere nella privilegiata posizione di chi detiene nella propria bacheca 23 Slam. Tuttavia, voglio tentare di ottenere altri titoli Slam in questa fase della mia carriera in cui mi sento ancora bene a livello fisico e confortabile con il mio corpo. Ora come ora, infatti, mi sento fortemente motivato per giocare un ottimo tennis e raggiungere altri riconoscimenti“.

D. Hai sempre detto che vincere il Roland Garros sia stato per te ogni volta come scalare il Monte Everest. Mentre probabilmente l’erba ed in particolare Wimbledon, è dove hai mostrato al meglio i tuoi miglioramenti e l’intero sviluppo continuo del tuo essere tennista durante tutta la tua carriera?

Novak Djokovic: “Questo credo sia un ottimo spunto di riflessione. Non ho giocato molto da junior sull’erba. In realtà non avevo mai giocato, neanche una volta, su questa superficie prima di compiere 17 anni. Ho però sempre sognato di vincere Wimbledon. E’ sempre stato uno dei miei più grandi obiettivi. Quando ho iniziato a giocarci, ho da subito percepito che mi trovassi bene, a mio agio e che potessi esprimermi al meglio in queste condizioni. Ho fatto l’ingresso nei primi cento del mondo per la prima volta proprio qui a Wimbledon. Mi sono prima qualificato, poi al primo turno ho giocato cinque set durissimi ma sono riuscito a cavarmela per poi giungere sino al quarto turno, e l’ho fatto che ero praticamente un adolescente. Quindi questo torneo ha un significato speciale per quanto mi riguarda, non solo per i titoli ma anche per ciò che ha rappresentato all’inizio della mia carriera. Successivamente, però dopo l’iniziale buon feeling, per diversi anni ho dovuto lottare tanto con me stesso per prendere coscienza che qualora avessi veramente voluto far evolvere il mio gioco su erba al livello successivo avrei dovuto modificare quasi radicalmente il mio modo di muovermi sul campo da tennis. Poiché mi è sempre venuto estremamente naturale scivolare ma l’erba è certamente la superficie meno indulgente quando si tratta di scorrevolezza degli spostamenti. Quindi ho dovuto imparare a muovermi diversamente, a come leggere i differenti rimbalzi, e tutto il resto. L’erba è la superficie più rara che abbiamo in questo sport, al contrario di quello che avveniva 40, 50, 60 anni fa dove sostanzialmente si giocavano tre Slam su quattro su questa superficie. Al giorno d’oggi non è più così. Ci vuole tempo, più di qualsiasi altra superficie, per abituarsi. Ma allo stesso modo, sono convinto che negli ultimi 10 anni di carriera io mi sia adattato molto rapidamente alla superficie e i risultati ottenuti qui lo testimoniano. Anche il fatto che io non abbia quasi mai giocato un torneo di preparazione a Wimbledon. In realtà ho disputato qualche volta il Queen’ s, nel 2018, Eastbourne nel 2017 ad esempio. Tutto qui. Prima o dopo, non ho mai più giocato neanche una settimana sull’erba pre Wimbledon. È una situazione quantomeno inizialmente complicata perché come giocatore vuoi davvero avere un paio di partite sulle gambe prima di un grande torneo, soprattutto quando avviene il cambio di superficie. Normalmente gioco solamente a Stoke Park o Hurlingham – esibizioni – almeno una o due partite per cercare di mettermi in moto e trovare le sensazioni della partita che sono naturalmente diverse da quelle dell’allenamento. Tuttavia quando entro sul Centre Court, immagino che si risvegli qualcosa in me che mi permetta di esibirmi ad livello molto alto“.

D. Dopo quello che abbiamo visto nel mondo del golf con i sauditi, adesso l’Arabia Saudita sta esplorando anche il Pianeta tennis per captare se da parte di ATP e WTA ci sia l’intenzione di mettere in piedi alcune negoziazioni e progetti che possano portare il tennis nel Paese. Un regno che possiede molti soldi, ma si tratta anche di un Paese che obbliga a porsi molte domande legittime sulla situazione relativa ai Diritti Umani, sulla condizione delle donne e sui diritti LGBTQ. Come Leader del tuo sport, cosa ne pensi della prospettiva di un accordo con l’Arabia Saudita per magari far sì che possano ospitare alcuni tornei del Tour?
Novak Djokovic: “Innanzitutto, penso che sia dovere del Presidente dell’ATP e di quello della WTA rispondere a queste domande al meglio di me, e sicuramente con più informazioni di quelle in mio possesso, soprattutto perché solo loro sono a conoscenza della strategia che vogliono portare avanti per il bene del tennis. Personalmente credo fosse solamente una questione di tempo prima che sia arrivasse effettivamente ad un qualche tipo di negoziato o dialogo che permettesse loro di entrare anche nel business del tennis. Lo hanno fatto praticamente in tutti gli altri sport, tranne forse solo nel basket. Vediamo cosa sta già accadendo nel calcio negli ultimi anni, con le stelle che si trasferiscono lì in cambio di enormi quantità di denaro. Non parliamo della Formula 1, del golf, e di tutti gli altri sport.. Lei ha parlato in particolare di golf. Beh, noi facciamo parte del tennis che essendo uno sport individuale a livello globale, è molto accomunabile al golf. Io penso che proprio dal loro esempio si possa imparare molto, alcuni aspetti positivi, altri negativi, come per esempio che la ricerca di nuove strutture nelle quali sviluppare nuovi accordi commerciali vada nella direzione corretta della salvaguardia e della tutela dell’integrità, della tradizione e della storia dello sport in questione. Tuttavia bisogna permettere che esso possa continuare a crescere, altrimenti non potrebbe mantenere inalterato il suo fascino“.

D. Hai dichiarato che solamente pochi giorni dopo il Roland Garros, tu abbia già iniziato a pensare a quello che avresti dovuto fare per arrivare preparato al meglio delle tue possibilità per la stagione su erba. C’è un processo mentale che ti ha attraversa dopo aver centrato un grande traguardo come la vittoria di uno Slam, e che ti conceda il tempo necessario per decomprimere l’emotività di quello che è accaduto e fornirti la propedeutica carica per ripartire? Che cosa fai? Puoi portarci con te dentro quel cammino interiore. Come sono i primi giorni dopo una vittoria di quel tipo e poi cosa succede, ti svegli la mattina e ti senti pronto a ricominciare?

Novak Djokovic: “Dipende dalle situazioni e dalle varie circostanze. Per esempio, questa volta sono partito con mia moglie in viaggio, solo noi due. Siamo andati a fare delle escursioni. Dunque, in realtà è stato un riposo abbastanza attivo dopo il Roland Garros. Ho quindi svolto molte attività immerso nella natura per cinque, sei giorni: insomma la settimana dopo Parigi. Ho trascorso del tempo con mia moglie, un tempo di qualità. Poi, una volta rientrato a casa mi sono invece dedicato ai bambini trascorrendo del tempo con loro. Dopodiché, invece, ho ricominciato davvero ad allenarmi. Però devo dire, che già su quell’isola dove siamo andati in vacanza, ho fatto sessioni di allenamento in palestra (sorridente). È questo tipo di mentalità, di cui ho parlato anche all’inizio, con il tempo e l’esperienza di una lunga carriera diventa di fatto uno stile di vita: cioè prendersi cura sempre e comunque del proprio corpo. Per me, è più che lavoro in verità, è una routine abitudinale che mi permette di prendermi cura del mio corpo in modo adeguato dandomi perciò la possibilità di competere ancora ai massimi livelli. Anche perché come già detto, si ha pochissimo tempo tra la finale dell’Open di Francia e il primo turno di Wimbledon. Non puoi scatenarti e mangiare tutto quello che vuoi; oppure non dormire, non allenarti. Se mi comportassi così, non riuscirei in alcun modo a mettermi in forma nel giro di sette o otto giorni ed essere pronto per giocare uno Slam. Questo non è lavorare“.

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