Swiss Indoors: storia di un luogo

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Swiss Indoors: storia di un luogo

Un viaggio alla scoperta della sede del torneo di Basilea: dagli anni ’20 al fortino di Roger Federer, passando per Borg. Edificio modello per gli altri tornei?

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Dopo la prima tappa allo US Open, vi proponiamo un altro approfondimento sui luoghi che hanno fatto la storia del tennis.

di Luca Filidei

Non sarà un torneo del Grande Slam e nemmeno un Masters 1000, d’accordo, ma questo ATP 500 “Swiss made” è comunque una competizione interessante, a partire dal luogo in cui viene organizzato. Ci troviamo a Münchenstein, distretto di Arlesheim, praticamente qualche metro al di là del confine che delimita Basilea. Sull’altro lato della strada si erge il St. Jakob-Park, perfetto esempio di stadio urbano progettato dallo studio di architettura Herzog & de Meuron, mentre oltre la fermata, o meglio la specie di hub del trasporto pubblico che vediamo qui vicino, appare la nuova facade del protagonista di questo articolo: la St. Jakobshalle.

Costruire un dialogo con il passato

Scrivo “nuova” perché, nonostante l’impianto sia stato inaugurato nel 1976 grazie all’inventiva dell’architetto Giovanni Panozzo, la struttura è stata sostanzialmente rivoluzionata appena cinque anni fa, quando gli studi Berrel Berrel Kräutler e Degelo Architekten hanno unito le forze per cimentarsi in un progetto tanto ambizioso quanto delicato. Dialogare in stretto contatto con una preesistenza è un gesto che necessità sempre di grandi doti, tra cui una spiccata sensibilità nel leggere il “progetto dell’altro” con la consapevolezza di stabilire una giusta connessione ma anche, delle volte, innescare una critica conversazione con il costruito.

In questo caso c’era (appunto) il progetto di Panozzo, senza dimenticare il genius loci del sito, fin dagli anni Settanta strettamente legato ad un concetto di “distretto sportivo” con una distribuzione funzionale straordinariamente proiettata in avanti, verso quel progresso che, per certi aspetti, fatica ancora a permeare la nostra società.

Back to the 20s: a Basilea arriva il grande tennis

Ma facciamo un passo indietro. Già, perché lo Swiss Indoors in realtà non inizia in quel periodo ma addirittura negli anni Venti, quando era denominato Swiss International Covered Courts e si definiva “open”, proprio per via della partecipazione internazionale. Resterà così fino al 1959, poi dieci anni di oblio e infine l’idea di un Roger che di cognome non fa Federer ma Brennwald. Siamo nel 1970, il torneo si svolgeva in una piccola pressostruttura e il premio del vincitore consisteva in un orologio da polso… dopotutto eravamo nella patria degli orologiai.

E poi? Be’, da lì in avanti il successo cresce. Badate bene, davvero parecchio. E così rapidamente da imporre un doppio cambio di location: prima, nel 1974, la Fiechtenhalle di Reinach con una capienza di 1.500 spettatori, e appena un anno dopo, nel 1975, proprio la St. Jakobshalle progettata da Panozzo, subito scenografia di una grande sorpresa: la vittoria di Jiří Hřebec sul favorito Ilie Năstase. Ma la storia ovviamente non si ferma a quella finale.

Da Ice Man a McEnroe, fino alla dinastia di Re Roger

Il grande Björn Borg trionferà nella prima edizione sotto il marchio Grand Prix Circuit, nel 1977. E in quella successiva il pubblico scoprirà il talento di uno spettacolare diciannovenne: John McEnroe, sconfitto in finale da Guillermo Vilas e tuttavia autore di una fantastica prestazione. Il riconoscimento come “500”, datato 2009, coincide con la vittoria di Novak Djokovic su Roger Federer, che però riprende lo scettro l’anno seguente, vincendo il suo quarto titolo Swiss Indoors e dimostrando di essere il Re incontrastato della St. Jakobshalle, grazie ai dieci titoli ottenuti a fine carriera.

Una storia di certo affascinante, ricca di infinite sfumature che aprirebbero altrettanti racconti. Uno di questi riguarda proprio l’impianto di Münchenstein. Interessante per il suo rinnovato design, ma anche per un approccio multifunzionale capace di renderlo un’architettura particolarmente innovativa.

Un edificio proiettato verso il futuro

Il merito va senza dubbio concesso a Giovanni Panozzo, senza dimenticare il pregevole lavoro svolto da Berrel Berrel Kräutler e Degelo Architekten durante il rinnovamento dell’edificio. Adattare un impianto degli anni Settanta alle attuali esigenze, senza per questo privarlo della sua identità, collegata al brutalismo e a qualche dettame del Bauhaus, stabilisce infatti un obiettivo allo stesso tempo complesso e delicato. Per riuscirci, i due studi svizzeri hanno cercato di interpretare l’opera originale, sottolineando il chiaro stile architettonico espresso da Panozzo e la spiccata resilienza, attuata in un periodo in cui questo termine non era per nulla diffuso. Nella sua hall, infatti, oltre allo Swiss Indoors si sono succeduti match di hockey su ghiaccio, concerti rock, raffinate opere liriche, persino spettacoli televisivi… insomma, era la versatilità il leitmotiv della St. Jakobshalle, un aspetto che è diventato spontaneamente il punto di partenza del progetto di ristrutturazione.

Essere di ultima generazione senza compromettere la scala umana

Un progetto che però, come anticipato, vive di un riconoscibile autonomia. L’entrata principale, ad esempio, è stata spostata dalla Brüglingerstrasse alla St. Jakobsstrasse, modificando in tal modo la lettura dell’orientamento della struttura. L’approccio da parte del pubblico avviene così da una prospettiva differente, più di scorcio, stabilendo una migliore connessione con le fermate del trasporto pubblico ed entrando in dialogo, anche spaziale, con la facciata urbana della St. Jakob-Park, dall’altra parte della strada. In pratica si crea una urban square con una stretta continuità tra spazio esterno ed interno, definendo anche una “promenade” architettonica che conduce lo spettatore verso il foyer, quattro volte più grande del precedente.

Qui l’attenzione viene rapita da un enorme masso che svolge il ruolo di “fondazione” di un altrettanto imponente pilastro: un azzeccato gesto formale per conferire personalità al luogo, oltreché rimandare al rapporto artificio-natura data la provenienza del macigno, trasportato fin qui dal Massiccio del San Gottardo. E se innalzerete lo sguardo resterete allibiti da quella copertura che ha fatto trascorrere notti insonni al partner ingegneristico Schnetzer Puskas, autore di uno sbalzo di 19 metri lungo la facciata nord-est, anch’essa capolavoro della tecnica grazie ad una facade di vetro e acciaio progettata da Jansen.

Progettare non solo per i “pro”

Viene naturale scrivere che le sorprese non finiscono mai, qui all’interno della St. Jakobshalle. E non mi riferisco solo all’arena principale, il “Centre Court” del tennis, estremamente flessibile con il suo layout che può variare da 1.460 posti a 11.680, ma anche al resto dell’edificio, praticamente un vero e proprio “core” sportivo. Dal 1976, infatti, questa architettura contiene una serie di spazi destinati a varie pratiche sportive e utenze: dagli studenti impegnati nei tornei scolastici ai soci dei club sportivi. Oltre all’arena principale, sono stati realizzati 6 campi e una piscina da 25 metri di lunghezza con 5 corsie. Gli sport praticabili sono moltissimi: dalla pallamano al volleyball, dal badminton al basket, fino ovviamente al tennis.

E poi ci sono i volumi destinati alle attività “collaterali”, che in realtà in un’infrastruttura sportiva di ultima generazione devono rivestire un ruolo centrale, proprio per la capacità di rendere attivo l’edificio nell’arco dell’intera giornata. In questo caso, quindi, ecco altri sette spazi, a cui si possono aggiungere il foyer e la stessa Centre Court, sempre seguendo la logica di una architettura adattabile ad ogni esigenza, o più semplicemente alla contemporaneità.

Swiss Indoors: un modello per gli altri tornei?

È questo il concetto alla base del rinnovamento di Berrel Berrel Kräutler e Degelo Architekten e, prima ancora, dell’innovativo progetto di Giovanni Panozzo per la St. Jakobshalle. Un edificio che è molto di più di un semplice “parterre” per lo Swiss Indoors. Anzi, un edificio che dovrebbe diventare un modello per il futuro, insegnando quanto il successo di una manifestazione sia strettamente collegato alla funzionalità dell’impianto in cui viene organizzata.

In un precedente articolo ho scritto: “Cosa sarebbe Wimbledon senza la regalità del Centre Court?”. E il medesimo ragionamento, pur proporzionando un Grande Slam ad un ATP 500, può essere ripreso proprio qui, a due passi da Basilea.

Già, perché lo Swiss Indoors resterà per sempre una delle tante case di Re Roger, ma anche l’esempio di come un torneo indoor dovrebbe essere programmato. A partire, ormai lo sappiamo, dall’edificio che lo deve contenere.

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