Matteo Arnaldi: "I miei viaggi in solitaria a 16 anni per il tennis. Così sono cresciuto"

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Matteo Arnaldi: “I miei viaggi in solitaria a 16 anni per il tennis. Così sono cresciuto”

Il viaggio del 22enne ligure dalla Georgia, passando per la Grecia fino al trionfo di Malaga.

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Matteo Arnaldi – Coppa Davis 2023, Malaga (foto: Marta Magni)
 

La crescita di Matteo Arnaldi in questo anno che volge al termine è una delle storie più belle della stagione 2023. D’altra parte i risultati raggiunti sono lì a testimoniarlo, in ordine: ingresso in Top 100 passando dalla posizione 131 alla 44; primo Top 10 sconfitto in carriera (Ruud a Madrid); primi ottavi in una prova dello slam (Alcaraz a Flushing Meadows), e infine la vittoria contro Popyrin in finale di Davis che ha dato il là al trionfo azzurro. Quando si comincia l`anno gli obbiettivi li ho sempre in testa. Posso dire che sono stati raggiunti”, ha detto il 22enne ligure in un’intervista rilasciata a Il Giornale.

Lui si dice soddisfatto della sua stagione perché “siamo arrivati dove volevamo essere”. “Tranne il periodo tra febbraio e marzo, ho giocato tante partite alzando sempre di più il livello. Questa è stata la chiave”. Più una questione di talento o di sacrificio? “Se non hai talento è difficile, però ci vuole testa per stare tutti i giorni sul tennis. E serve allenamento: è un insieme di cose e se ne manca una non arrivi”. Certo poi bisogna avere alle spalle un team che ti possa supportare, gente che ti conosce e sa come prenderti, che tasti toccare per tirare fuori il meglio di te.

“E’ importante avere persone intorno che lavorano con e per te, e che ti vogliono bene. Anche per gestire le tante trasferte in maniera più serena”. A proposito di trasferte, ci sono diverse ore da riempire, tempi morti in cui devi tenre occupata la mente. Cosa fa Arnaldi in quei momenti? “Siamo giovani e ci piace fare cose insieme, tipo mangiar fuori o girare: non è solo un rapporto atleta-coach o atleta-preparatore. Sinner gioca a carte? Noi preferiamo la spiaggia”.

Il viaggio di Matteo è cominciato a 16 anni in Georgia, senza conoscere una parola di inglese. “Non avevo soldi per poter girare con il coach, e così mi dovevo arrangiare. Questo mi ha aiutato a crescere, ad affrontare tanti problemi da solo e adesso questo fa la differenza. E sì, quella volta ho vinto il torneo”. “Ero un caso a parte – prosegue Arnaldi. A quell`età c`è chi ha già lo sponsor, e comunque la federazione sta aiutando molto i nuovi talenti“. Il viaggio poi è proseguito: “dopo la Georgia andai in Grecia, sempre da solo, perdendo in finale dopo essere stato male in campo per una congestione. Non c`era il medico e ho dovuto far da me, anche perché avevo il volo di ritorno alle 4 del mattino”.

Tornando al presente: la Coppa Davis è un traguardo storico, come ti sei approcciato alla finale con l’Australia? “In realtà in finale sapevo che avrei giocato, ero preparato. L`esperienza di Bologna mi aveva aiutato molto, e anche se ho perso la prima partita, era tutto programmato a farci stare bene”. Come descriveresti l’esperienza di gruppo? “Divertente, dai e ricevi consigli da giocatori che di solito sono avversari. Una cosa diversa che mi è piaciuta”.

E il rapporto con le vittorie e le sconfitte? “Mi viene da dire entrambe le cose. In fondo si finisce per perdere quasi tutte le settimane, e quindi impari tanto per forza. Però anche vincere ti dà quell’esperienza in più che poi ti aiuta nella sfida successiva”. Quello contro Popyrin è stato un match che è girato all’improvviso. “La storia del tennis racconta di partite che sono girate in modo pazzesco. E quindi sì, può sempre succedere qualcosa che fa cambiare il match”.

Arnaldi non ha un mental coach nel suo staff:Io sono un po` particolare: non ho né quello, né il fisioterapista. Ho solo coach e preparatore: per ora mi basta. Magari poi cambierò idea”. Il 2024 è alla porte, su cosa devi migliorare? “Il mio forte è il fisico: mi piace la lotta e quando le partite si allungano ho sempre buone possibilità. Cosa migliorare? Tante cose, su tutte sicuramente il servizio. Ci stiamo lavorando”. E gli obbiettivi? “Quelli meglio non dichiararli prima. Diciamo che gioco il mio primo tabellone in Australia, parto bene. La stagione è lunga, e chi sta in alto nel ranking è più avvantaggiato perché può fare meno tornei, mentre chi è indietro è costretto a giocare sempre per guadagnare punti. Ecco: vorrei poter riposare, ogni tanto”.

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