Australian Open: storia di un luogo. Dall'erba del Cricket Club al Melbourne Park

Australian Open

Australian Open: storia di un luogo. Dall’erba del Cricket Club al Melbourne Park

Torneo “globetrotter”, da Sidney a Brisbane passando per la Nuova Zelanda. Ripercorriamo i luoghi e i personaggi che hanno reso grande l’Happy Slam

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Melbourne Park - Australian Open 2022 (foto Twitter @AustralianOpen)
 

di Luca Filidei

L’ultimo Grande Slam della stagione, a poca distanza da Manhattan (si fa per dire visto il consueto traffico), ci aveva lasciato con i trionfi di Novak Djokovic e di Coco Gauff, non più promessa ma ormai realtà del tennis statunitense, oltreché nuova beniamina del Queens in seguito alla vittoria contro Sabalenka. Da quel momento sono trascorsi quattro mesi, si ritorna a giocare outdoor e, soprattutto, si comincia una stagione diversa. Dal Flushing Meadows Park si passa ad un altro parco: il Melbourne Park, zona centralissima dell’omonima città. Tra i due migliaia di chilometri, e poi il Grande Oceano, come viene soprannominato il Pacifico. C’è anche tanta Storia qui (con la “S” maiuscola) e molte, moltissime storie che definire secondarie sarebbe un’ingiustizia. Già, perché l’Australian Open può “semplicemente” rappresentare il primo Slam dell’anno, ma è anche sinonimo di particolarità, a tratti persino stranezza. Per esempio, chi vinse il torneo del 1986? Chi sa la risposta può già capire molti aspetti. Il principio di tutto però inizia addirittura il 15 novembre 1838, l’epoca dei pionieri per intenderci. Eh sì, dobbiamo cominciare proprio da lì.

Ritorno al passato: back to the Pioneer Era

L’Australian Open, quello che oggi vediamo svolgersi, almeno nelle partite di cartello, nella Rod Laver Arena, in realtà è strettamente collegato a cinque personaggi che condividevano un paio di aspetti. Prima i loro nomi: Robert Russell, George B. Smyth, i fratelli Alfred e Charles Mundy e infine Frederick Powlett. Scrivevo delle loro affinità. Ebbene erano due: la prima che amavano lo sport (soprattutto il cricket), la seconda che si erano riuniti grazie ad una naturale propensione verso le opportunità, specialmente quelle più azzardate. Dovete pensare a come poteva apparire l’Australia all’inizio dell’Ottocento. Un luogo deserto, inospitale, per lunghi tratti dominato dalla natura selvaggia, quella delle Blue Mountains per esempio. Certo, Sidney era già stata fondata – nel 1788 per l’esattezza, quindi diversi anni prima –, ma se si spostava l’attenzione verso la zona più a sud, be’, in quei luoghi la faccenda cambiava. E anche di parecchio. Che sia Melbourne ad ospitare un Grande Slam – sebbene nel 1901 fosse la sede del governo del Commonwealth of Australia – in effetti può sorprendere, ma anche questo dato è in parte errato. La ragione? Be’, principalmente perché Melbourne, la città del primo torneo, quello del 1905, da allora ha ospitato “solo” 66 edizioni. Le altre 45 edizioni sono state spartite tra Sidney, Adelaide, Brisbane, Perth e addirittura due città neozelandesi: Christchurch e Hastings, rispettivamente nel 1906 e nel 1912.

Prima del tennis c’era il… cricket!

Ma torniamo ai nostri cinque personaggi. Magari vi starete chiedendo che cosa c’entrano con questo tema. Del resto, il 1838 a cui accennavo è piuttosto distante dall’anno del primo torneo, allora conosciuto come Australasian Championships. Però sono proprio questi cinque “pionieri” a fondare – sì, nel 1838 – il Melbourne Cricket Club (MCC). Attenzione, la parola “cricket” non deve far intendere che si giocava solo a quello. In ventun anni si aggiungono il baseball, il lacrosse, il tiro sportivo e, prima di tutti, nel 1879, il nostro tennis. Qui al MCC in effetti c’è un impianto sportivo, l’Albert Cricket Ground, che fu affittato dal club per la prima volta nel 1890. A passarci accanto oggi sembra essere dedicato esclusivamente al gioco del cricket – e difatti è così – ma osservando il resto dell’isolato si scopre la vocazione tennistica del quartiere, caratterizzata dai nove campi localizzati a nord, su Hanna Street. Non un caso, si dovrebbe dire, perché proprio in questo luogo – sull’erba dell’Albert Cricket Ground intendo – si è svolta la prima edizione di quello che dal 1969 conosciamo come Australian Open.

Verso un torneo “globetrotter”

Da qui in poi, come già scritto, si apre un periodo di imprevedibilità. Il torneo viene spostato in diverse città australiane, persino un paio neozelandesi. Radicarlo, stabilire una connessione con un luogo diventa quasi una chimera, così come inserirlo nel gotha dei grandi eventi tennistici. Solo nel 1924 viene incluso dalla International Lawn Tennis Federation (ILTF) nella lista dei tornei più importanti, anche se l’Australia resta sempre fuori dalle mappe dei grandi campioni. Wimbledon rimane di un altro livello, e lo stesso vale per il Roland-Garros e l’US Open. Qui in Australia non c’era neanche una data certa: novembre, dicembre, gennaio, persino agosto… senza dimenticare le difficoltà di un viaggio nell’emisfero australe. Pensateci. Immaginiamo di essere negli anni Trenta. I voli ovviamente esistono – e questo fa già una grande differenza – ma nel 1935, ad esempio, per andare da Londra a Brisbane dobbiamo prepararci a dodici giorni e mezzo, comprese 31 soste con un velivolo da una manciata di sedili e nessuna hostess o steward a bordo. E poi il costo. Alto. Altissimo. Diciamo proibitivo. Per viaggiare da Boston a Los Angeles nel 1941 si devono sborsare circa 4.500 dollari. Fate la proporzione e ci capiamo.

Ecco uno dei perché della non eccelsa considerazione dell’Australian Open. La ragione (tra le molte) per cui diversi grandi giocatori by-passavano il torneo, praticamente dominato dai locali fino al 1968.

Il passaggio al Kooyong Stadium e l’arrivo al Melbourne Park: la musica è cambiata!

Già, the music’s changed. O meglio, se ci riferiamo al Kooyong Stadium, migliora un tantino. Nel 1982, ad esempio, ben 18 tennisti tra i “top 20 ATP” continuano ad evitare l’evento. Vince Johan Kriek, già campione l’anno precedente e numero 12 del ranking mondiale. Il suo avversario in finale era Steve Denton, fuori dalla “top 20” a gennaio 1982. Di McEnroe, Lendl, Connors, figuriamoci Bjorn Borg, nemmeno l’ombra. Una notevole differenza rispetto al tabellone WTA, caratterizzato da una bella finale tra Chris Evert e Martina Navratilova.

E quindi? Quando la musica cambia davvero? Diciamo alla fine degli anni Ottanta. Con un decisivo cambio di marcia nei Novanta. Già nel 1984 il torneo vanta la copertura televisiva della ESPN. Un dato che però può essere fuorviante, visto l’anno di fondazione del canale: il 1979. Per fare un paragone, l’US Open veniva trasmesso sulla ben più affermata CBS. Il tennis, in ogni caso, diventa sempre più popolare. E il Kooyong Stadium, con i suoi 5.000 posti, sempre più inadatto. Al Melbourne Park è ormai pronta la Rod Laver Arena, un impianto dotato persino di una copertura retrattile: è lì che la gente comincia ad affluire sul serio. Le presenze raddoppiano dal 1987 al 1990, l’edizione in cui 312.000 spettatori assistono (finalmente!) alle gesta di Lendl, Becker, McEnroe, Edberg e Wilander, i due rivali accumunati dalla Sveriges flagga, che già avevano dato spettacolo nel corso degli “eighties”.

All crazy for the Australian Open (anche per l’iconico passato…)

Il resto è storia, verrebbe da dire. Già, perché con qualche aggiustamento il primo Grande Slam della stagione diventa un appuntamento pressoché irrinunciabile. Dagli anni Novanta in poi la lista dei campioni, sia in campo maschile che femminile, la dice lunga sull’incredibile rincorsa dell’Australian Open verso la gloria. Da Agassi a Federer, dalla Graf a Serena Williams, fino al dominio di Novak Djokovic, che per dieci volte ha portato a casa il prestigioso Norman Brooks Challenge Cup. Tanti aspetti sono cambiati dai tempi di Mark Edmondson, ultimo australiano a trionfare nel 1976, quando era il numero 212 del mondo (nella WTA c’è stata ovviamente la Barty). Ma forse è anche questa la bellezza del torneo di Melbourne. Che potrebbe non avere la regalità di Wimbledon, conservando però una storia seconda a nessuno. Basti pensare alla vittoria di Evonne Goolagong Cawley, di etnia Wiradjuri, nel 1974 contro Chris Evert. Un’impresa di altissimo valore, capace di trascendere i confini dello sport in sé. In quell’anno si giocava ancora al Kooyong Stadium, uno stadio contenuto se confrontato con il Court Philippe Chatrier, eppure scenografia di una grande Storia. Sì, quella con la “S” maiuscola.

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