Focus
Occhio di Falco: gli uomini e le donne non sono uguali

TENNIS – Secondo uno studio riportato da TIME, gli uomini commettono più errori delle donne quando chiamano Occhio di Falco. Rafael Nadal o Novak Djokovic si farebbero meno problemi a commettere un errore grossolano davanti a milioni di tifosi: è questione di sfrontatezza e di un eccesso di sicurezza.
Sean Gregory, firma di time.com, riporta uno studio che sarà pubblicato sul prossimo numero del “Journal of Sports Economics” e che si concentra sul numero di chiamate di challenge errate da parte di giocatori e giocatrici in occasione dei tiebreak. L’analisi, condotta da statistici della Deakin University di Melbourne e della Sogang University di Seoul, ha preso in esame le richieste di Hawk Eye di 331 match maschili e 149 partite femminili giocati tra il 2006 e il 2008. Il dato più rilevante che emerge è che nei tiebreak, ovvero quando i punti sono più importanti, le donne sono meno propense degli uomini a incorrere in chiamate sbagliate. In particolare, il 34% delle richieste errate avviene quando la palla è fuori di oltre 50 mm, dunque 34 volte su 100 l’errore di valutazione commesso dai giocatori è grossolano (“embarrassing” lo hanno definito gli studiosi), mentre tale topica è commessa dalle donne solo il 9% delle volte. Inoltre, tanto più è avanti un giocatore nel ranking, tanto più spesso commette tale tipo di errore, mentre la tendenza è opposta nelle donne: quelle meglio classificate tendono a chiamare meno frequentemente l’Occhio di Falco.
Gli autori dello studio riconducono questa differenza di genere a peculiarità caratteriali come l’eccesso di sicurezza, l’orgoglio e la vergogna. Gli uomini sono più propensi alla sfrontatezza e dunque ritengono che il loro punto di vista sia sempre corretto, anche nei casi in cui l’occhio nudo può ben vedere se la palla sia dentro o fuori. Sempre secondo questi studiosi, l’orgoglio porta i giocatori a rendere insopportabile la sconfitta, così sono più inclini delle donne a fare un tentativo anche irrazionale per ribaltare la valutazione dell’arbitro. Secondo Martina Navratilova, interpellata da TIME a tal proposito, “è una questione di ego”. Se poi il pubblico e i milioni di spettatori davanti alla tv assistono alla svista clamorosa, i giocatori proveranno vergogna in misura nettamente inferiore alle donne. “Ai maschi non importa l’errore nel Challenge, mentre le ragazze sono più influenzate dalla sensazione d’imbarazzo che a volte si prova”, conclude la Navratilova, mentre la conclusione degli autori dell’analisi è che “nei momenti cruciali dei match, come i tiebreak, gli uomini cercano di vincere a tutti i costi, mentre le donne accettano di perdere più elegantemente”.
Questo, in breve, il contenuto dell’articolo del prestigioso magazine online. Si tratta di considerazioni condivisibili? Restando all’ambito tennistico, anche se in generale è vero che gli uomini sono più orgogliosi e sfrontati e le donne più inclini a provare vergogna, è difficile trovare grandi tenniste che preferiscono perdere con stile piuttosto che vincere a costo di qualche figuraccia. Il dato più sorprendente che emerge tra le giocatrici, infatti, è che quanto più si è in alto in classifica, tanto più si è prudenti nel chiamare il Falco. Quasi come se essere una campionessa ti proibisca di fare figuracce: se sei una stella, meglio perdere con stile, evitando la disapprovazione del pubblico, che vincere a tutti i costi. Mah… Andate a dirlo ad angioletti del calibro di Serena Williams o Maria Sharapova! La vedete la tigre siberiana che nel tiebreak del terzo set di una finale, magari dopo una delle sue proverbiali rimonte tutte grinta, urla e carattere, rinuncia a una chiamata in presenza del minimo dubbio che la palla sia in campo? Ve la immaginate forse timorosa dei buuuh del pubblico in caso di replay che mostra la palla fuori di tre spanne? Allo stesso modo, è molto complicato pensare a una Serena remissiva, lei che proprio allo US Open aveva dolcemente detto al giudice di linea “I’ll kill you” (anche se la stessa Williams ha sempre negato l’uso di tali parole) per un fallo di piede chiamato a due punti dalla sconfitta, nella semifinale del 2009 contro Kim Clijsters.
Semmai in campo maschile la statistica trova una conferma: campioni come Nadal o Djokovic non si farebbero alcuno scrupolo ad andare incontro a una figuraccia palese pur di portare a casa un punto decisivo. Quando sentono l’odore del sangue, i fuoriclasse non guardano certo alla forma, anche perché non stiamo parlando di gesti antisportivi, ma di errori marchiani, c’è una bella differenza.
Per Federer invece il discorso potrebbe essere del tutto differente: la sua autentica bestia nera, più che Rafa Nadal, è proprio Occhio di Falco. Forse Roger è tra coloro che hanno incrementato la percentuale di errori grossolani tra gli uomini, non tanto per sfrontatezza o rifiuto categorico della sconfitta, quanto appunto per il pessimo rapporto che ha sempre avuto con lo strumento (al punto che non ha mai nascosto la sua contrarietà all’impiego).
Ma se si parla di sfrontatezza e intolleranza alla sconfitta, sempre a proposito di palle in o out, come non ricordare i grandi spacconi del passato, come McEnroe o Connors? “You can not be serious” urlato al giudice di sedia nel Centrale di Wimbledon è non a caso nella leggenda, ma ve lo ricordate Jimbo che, nella semifinale US Open del 1977 contro Barazzutti, prima che l’arbitro scenda dalla sedia per controllare il segno di una palla dubbia, entra nella metà campo avversaria e lo cancella per impedirne la verifica, lasciando attonito l’incredulo Corrado? Per stare invece all’epoca contemporanea, ce lo vogliamo forse dimenticare l’incorreggibile Fognini che, a Wimbledon 2013 contro Jurgen Melzer, si butta a terra dopo una chiamata out dell’esperto arbitro francese Pascal Maria (“No, no, no, no! Pascal, l’hai visto anche tu, ha preso il gesso!” detto rigorosamente in italiano, davanti al pubblico britannico a metà tra lo sbigottito e il divertito).
Ecco, di sicuro loro non hanno mai conosciuto il significato della parola vergogna e se lo studio fatto avesse preso energumeni come loro come campione, siamo certi che la percentuale di chiamate “embarrassing” si sarebbe aggirata intorno al 95%…
ATP
Murray pensa ai Giochi Olimpici di Parigi: “Voglio dimenticare l’edizione del 2021”
Nel mirino di Andy Murray quella che sarebbe la sua quinta partecipazione ai Giochi: “Mi piacerebbe avere un’altra occasione”

A riportare la mente alle ultime Olimpiadi, ci si sofferma sulla finale olimpica di Wimbledon del 2012. Andy Murray batte Roger Federer con un netto 6-2, 6-1, 6-4: che sia stato merito dello scozzese o demerito dello svizzero stremato dalla semifinale con Del Potro durata 4ore e 26’, sarà una medaglia d’oro indimenticabile.
Undici anni dopo, Federer continua a bazzicare il suo giardino reale, Wimbledon, ma dagli spalti, Murray continua a regalare emozioni ai suoi fan. Attualmente si trova in Cina a Zhuhai dove ha esordito battendo al primo turno Ye Cong Mo, n.668 del ranking.
In conferenza stampa Sir Murray ha dichiarato di nutrire speranze di partecipazione a quelli che sarebbero i suoi quinti Giochi Olimpici: “Mi piacerebbe davvero partecipare ad altre Olimpiadi. Ho avuto esperienze entusiasmanti durante la mia carriera ai Giochi Olimpici. Ho amato tutte le edizioni alle quali ho preso parte”.
Il palmares olimpico di Murray è fin qui straordinario: due medaglie d’oro nel 2012 a Londra e nel 2016 sul cemento di Rio de Janeiro. Nel 2021 fu grande la delusione per il suo forfait obbligatorio nel torneo singolare dettato da uno stiramento alla coscia avvenuto prima dell’avvio dei giochi olimpici. Recuperò in fretta ma fu costretto a fare una scelta tra i due tornei di singolare e di doppio. Una promessa fatta a Salisbury gli aveva fatto optare per l’iscrizione al torneo di doppio: arrivarono sino ai quarti. Che fosse storia finita con i Giochi Olimpici? Su twitter si era lasciato andare a un lungo tweet nel quale dichiarava: “Se questa è la fine del mio viaggio a cinque cerchi, voglio ringraziare di cuore la squadra della Gran Bretagna e tutti voi per il supporto: mi avete aiutato a dare il massimo in questi anni. È stato un privilegio assoluto rappresentare il mio Paese a quattro Olimpiadi e mi ha regalato alcuni dei ricordi più belli della mia vita”.
Ora, a distanza di due anni, la pena diversamente e vuole cancellare la delusione patita nell’edizione 2021, nota perché disputata in piena pandemia: “L’ultima volta sono rimasto molto deluso perché mi ero infortunato prima del torneo e avevo promesso al mio compagno che in caso di problemi avrei dato priorità al doppio rispetto al singolare. Ed eravamo arrivati vicinissimi alla medaglia: nei quarti eravamo avanti un set e 4-3, al servizio con palle per il game e avevamo davvero una buona occasione, ma non ce l’abbiamo fatta. Mi piacerebbe avere un’altra opportunità di giocare l’anno prossimo a Parigi. Sarebbero i miei quinti Giochi Olimpici e molto probabilmente gli ultimi”.
Per Murray al secondo turno dell’ATP 250 di Zhuhai ci sarà la sfida con Karatsev che aveva eliminato Arnaldi nel primo turno.
Flash
WTA Finals: Sabalenka, Swiatek, Gauff e Rybakina già qualificate
La WTA finalmente annuncia le prime qualificate al torneo di fine anno in programma a Cancun dal 29 ottobre. Coco Gauff si è garantita la partecipazione anche in doppio con Jessica Pegula

Aryna Sabalenka parteciperà alla sua terza edizione di fila delle Finals. Il suo miglior risultato rimane quello dell’anno scorso quando arrivò in finale. La venticinquenne bielorussa ha disputato la miglior stagione della sua carriera, vincendo il suo primo Slam di singolare, l’Australian Open, oltre al WTA 1000 di Madrid e il WTA 500 di Adelaide. Nello score stagionale anche tre finali perse, a Indian Wells, a Stoccarda e allo US Open.
Questi risultati le hanno dato il trono n. 1. nel ranking femminile.
Terza presenza alle WTA Finals anche per Iga Swiatek: deve cancellare l’eliminazione in semifinale dell’anno scorso. Quattro i titoli vinti nel 2023 dalla campionessa polacca. Ha trionfato nuovamente al Roland Garros, al WTA 500 the Qatar TotalEnergies Open di Doha e il Porsche Tennis Grand Prix di Stoccarda. In più ha portato a casa il titolo di Varsavia nel WTA 250 BNP Paribas. Vanta un fantastico record di 56 vittorie e 10 sconfitte quest’anno nel Tour.
Gran colpo dell’americana Coco Gauff che si è qualificata per le Finals nel torneo singolare e in quello di doppio. Partecipa alle Finals per la seconda volta. Quattro i titoli vinti quest’anno: ad Auckland e poi nel corso di una fantastica estate dove ha trionfato al WTA 500 Mubadala Citi DC Open di Washington DC, al WTA 1000 Western & Southern Open di Cincinnati e poi il trionfo nel suo primo Slam della sua carriera allo US Open, salendo al n. 3 nel ranking.
Elena Rybakina, invece, sarà la prima donna kazaka a far parte delle WTA Finals. I successi di quest’anno vanno dal titolo ottenuto a Indian Wells a quello di Roma. Ha raggiunto la finale all’Australian Open e a Miami.
ATP
Il team di Sinner si racconta: “Ognuno svolge il suo compito con estrema serietà. Il più competitivo? Jannik senza dubbi”
In un video-intervista all’ATP il team del tennista altoatesino si racconta a tutto tondo, da come svolgono il proprio lavoro al rapporto tra i membri della squadra, per finire con un ritratto di Sinner atleta ma anche persona

Il tennis, espressione massima della solitudine nel proprio palcoscenico, è ormai da molti anni descritto dalla totalità dei giocatori del circuito ATP e WTA come uno sport certamente individuale, ma nel quale il team è la colonna portante dell’intera struttura. Dal coach al super coach, dal fisioterapista al mental coach, dal preparatore atletico al manager. Tutti ingredienti fondamentali dietro le quinte – o meglio, nel famoso ‘box’ a bordo campo molto inquadrato dalle telecamere e osservato, chi più chi meno, dai giocatori in campo – che possono rendere un tennista il tennista, capace grazie alla propria forza di volontà e a tutti questi tasselli nel background di raggiungere, o meno, il successo e i propri obiettivi. La storia del tennis è colma di coach che hanno fatto la differenza: da Toni Nadal mentore di suo nipote Rafa, da Patrick Mouratoglou allenatore per un decennio di Serena Williams, per poi arrivare ai colori azzurri con Andreas Seppi e Massimo Sartori, Lorenzo Sonego e Gipo Arbino, Lorenzo Musetti e Simone Tartarini, per concludere con Jannik Sinner e…
Questo è un capitolo bello corposo da trattare: il team del n.1 italiano. Chi c’è dietro quella folta chioma rossa? Certamente i primi che vengono in mente sono Simone Vagnozzi e Darren Cahill – entrambi ex giocatori –, che per Jannik svolgono rispettivamente il ruolo di coach e supercoach. Un’intervista molto approfondita dell’ATP analizza ai raggi X la squadra del tennista altoatesino, che numerosa è dir poco. “Sono persone buone e felici; ognuno sa molto bene di cosa si deve occupare. Mi sento fortunato ad avere un team così”, le prime parole di Sinner sul proprio team, che come dirà poco dopo “è come una famiglia. Vedo più spesso loro che i miei genitori”. Si capisce sin sa subito quello che il n.7 ATP cerca tra i propri membri della squadra: competenza e affinità. Infatti, “per me ognuno è fondamentale. Quando qualcuno entra a far parte del gruppo non è importante solamente che sia uno dei migliori nel suo lavoro, ma è essenziale anche come io mi senta con questa persona. Devo essere a mio agio e sapere che posso parlare di qualunque cosa che mi passi per la testa con tutti quanti”.
Successivamente la palla passa agli allenatori di Sinner, Vagnozzi e Cahill. La collaborazione con il primo inizia a febbraio 2022, come ricorda anche il 40enne di Ascoli Piceno, mentre la più fresca entrata – a giugno 2022 – è quella dell’ex semifinalista allo US Open Darren Cahill, coach in passato di personaggi come Andre Agassi, Lleyton Hewitt, Andy Murray e Simona Halep. “Il mio ruolo è più quello di trasmettergli la mia esperienza” ci informa l’australiano, “sono stati dei primi mesi di collaborazione molto buoni e produttivi”. Si sapeva già l’attitudine di Jannik in campo, ma il tennista italiano ci tiene comunque a farlo sapere chiaro e tondo: “Sono il più competitivo, odio perdere”, e sia Vagnozzi che Cahill dicono all’unisono che “Jannik vuole vincere dappertutto, in ogni cosa che fa”.
L’ex allenatore australiano di Coppa Davis tira in ballo anche il preparatore atletico di Sinner, Umberto Ferrara, definendolo come “il più serio”. Nel tennis “il corpo deve essere il tuo tempio, di conseguenza probabilmente lui ha il lavoro più importante di tutti. A cena dice sempre a Jannik quello che sarebbe meglio mangiare e ciò che si deve evitare”. E conferma anche Umberto che, mettendo le mani avanti, informa subito che “quando lavoriamo siamo tutti seri. Quando è terminato l’allenamento, invece, si può scherzare tutti insieme”. Ma non mancano nel team Sinner momenti di svago conviviali, rigorosamente nella maggior parte dei casi con le carte da gioco. Il ‘Burraco’ è quello che va per la maggiore ed è stato Giacomo Naldi, fisioterapista dell’altoatesino, a introdurlo a tutta la squadra. “Jannik vuole giocare tutti i giorni” fa sapere Giacomo, che spiega questa ‘tradizione’ del 22enne di San Candido chiarendo che “la prima volta che abbiamo giocato insieme Jannik ha vinto il torneo a cui stava partecipando; quindi è per questo che vuole sempre giocare secondo me”.
Passando alla routine, invece, tutti i membri del team intervengono dicendo la propria, precisando che “Sinner innanzitutto svolge qualche esercizio di mobilità e prevenzione, soprattutto alcuni specifici movimenti che lo proteggono da infortuni avuti in passato, come ad esempio quelli alla caviglia”. Poi arriva il turno di Naldi prima e dopo l’allenamento. Quest’ultimo è di un’ora e mezza, in cui il campione azzurro viene seguito da Vagnozzi, Cahill e consiste in palleggi di ritmo con uno sparring partner, per finire con qualche punto. Nel pomeriggio, invece, “un’ora di tecnica in cui ci si concentra sul servizio, sulle volée, sullo slice…”, mentre la maggior parte del lavoro di Giacomo Naldi, come lui stesso afferma, avviene dopo: “Faccio qualche massaggio, qualche ulteriore esercizio di mobilità, lavoro con i suoi muscoli e cerco di far sì che il suo corpo possa recuperare al meglio”.
Come dice anche Sinner, non è un rapporto unilaterale quello tra coach e giocatore, infatti “loro mi spingono a dare il meglio di me, ma anche io li sollecito parecchio. Ogni giorno è una sfida, ed è fondamentale non solo che loro siano miei amici, ma che sappiano anche essere onesti con me”. Cahill, poi, interviene facendo sapere un aspetto molto importante della persona-tennista che è Jannik Sinner: “Non c’è molta differenza tra lo Jannik che si vede in campo e quello che si osserva al di fuori di esso. Lo si può vedere nei suoi occhi da volpe, che al momento giusto possono diventare quelli di una tigre”. Vagnozzi, invece, si sofferma sul fatto che “Sinner quando entra in campo vuole sempre migliorare, è costantemente col sorriso, quindi per un coach è più semplice svolgere il suo lavoro”. Mettendo sul piatto della bilancia i risultati di quest’anno “Jannik è soddisfatto, ha più fiducia dopo la semifinale a Wimbledon e il titolo a Toronto. Questi erano suoi obiettivi”.
Un team solido, unito, familiare, dove ognuno ha un preciso compito e allo stesso tempo è un pezzo fondamentale del puzzle finale. Jannik ha solamente ventidue anni, ha già conquistato vette importanti del ranking, ha vinto tornei 250, 500 e 1000, è stato semifinalista Slam e, cosa più importante, è seguito da persone che credono nei suoi mezzi e lo stimolano al meglio. Dopo la parentesi US Open seguita da quella – mancata – di Coppa Davis, per Sinner ora è il momento di tuffarsi nell’ultimo periodo della stagione, con gli ultimi due tornei 500, due tornei 1000 e le Finals di fine anno dove non è ancora qualificato ufficialmente, ma gli mancano pochissimi punti per raggiungere la quota sufficiente per parteciparvi. Sappiamo che dopo New York Jannik si è dedicato al puro allenamento in vista dei prossimi appuntamenti. Il team ora lo conosciamo, sappiamo come lavorano, quindi non ci resta che metterci comodi e osservare le gesta del nostro n.1. Cinture allacciate, direzione Pechino!