Dolgopolov: "Mi piace far contenta la gente, ora ho le mie chance"

Interviste

Dolgopolov: “Mi piace far contenta la gente, ora ho le mie chance”

È stata la star dei primi due giorni al Foro nonostante sia stato confinato nei campi periferici. Vittorie facili e colpi assurdi in quanto a spettacolarità, ecco in esclusiva Alexander Dolgopolov prima di uscire al secondo turno per mano di Guillermo Garcia Lopez

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Dolgopolov agli internazionali d'Italia 2015 (foto C. Giuliani)
 

Alexander Dolgopolov anche se ora è addirittura numero 80 e deve giocare le qualificazioni è stato numero 13 ATP. Colpa di un infortunio al ginocchio, che lo ha tenuto fermo nella seconda parte del 2014, e di un problema al collo che qualche settimana fa  lo ha costretto a saltare prima Barcellona e poi le qualificazioni a Madrid.
Lo abbiamo intervistato a Roma, in una pausa dopo la sua vittoria su Klizan. Lo aspettiamo nei divanetti della sala stampa, lo spazio destinato alle interviste “Head to Head”, faccia a faccia, e lui arriva. Ha il solito cerchietto in testa, è in pantaloncini e maglietta del suo sponsor spagnolo, e cammina molleggiato, esattamente come quando è in campo. Stretta di mano, qualche foto d’obbligo per qualche fan-giornalista in tribuna, e poi si comincia.

Prima di tutto: come va il collo?
Molto meglio, grazie.

È andato tutto bene oggi (ieri ndr) contro Klizan?
Avevo già giocato due match prima e tutto era già ok. Oggi idem: sono felice di essere tornato in campo.

Nelle gare di qualificazione hai giocato su campi piccoli di fronte a tantissima gente che era ammassata sulle tribune. Eri, indubbiamente, la star delle qualificazioni. Non pensi che potevano programmare i tuoi incontri sul Pietrangeli?
Non penso a queste cose. Io vengo qui per giocare e sono contento di giocare su qualsiasi campo, specie ora che ho superato le tre settimane di convalescenza. Non mi interessa molto dove gioco, mi sta bene tutto: penso solo a vincere i miei incontri.

D’accordo, ma c’era veramente molta gente che nelle ore più calde della giornata voleva vedere te. Addirittura ha popolato la tribuna del campo di fronte ma guardava il tuo match. Te ne sei accorto?
Sì, la tribuna era effettivamente piena. Ed è bello quando ci sono tanti fan a supportarci; è anche divertente, e ci motiva ancora di più a fare bene. Tutto ciò è veramente fantastico.

Tra l’altro ad ogni fine partita devi firmare anche tanti autografi. Ci sono i bambini che vanno via senza la tua firma ma sono contenti ugualmente, solo per esserti stati vicino per un po’.
Non posso firmarli tutti ovviamente (sorride The Dog, evidentemente contento dell’affetto del pubblico romano, ndr), noi tennisti cerchiamo di fare del nostro meglio ed è bello quando vediamo i nostri fan felici.

Veniamo alla tua stagione. A gennaio eri al numero 23 dell’ATP Ranking. Ora sei al numero 80, abbastanza alto, no?
Alto? Basso vorrai dire! (ride, ndr)

Già, ad ogni modo qual è il tuo traguardo stagionale, se ne hai posto uno?
Il traguardo è lo stesso di sempre, stare bene e giocare. Vengo dalla fine del 2014 dove mi sono operato al ginocchio. Quest’anno poi mi sono infortunato in Australia. Poi ho giocato bene nei tornei, perdendo da ottimi giocatori quali Nishikori, Raonic a Indian Wells e prima Djokovic a Miami. Dopo la Florida mi sono ammalato e sono stato a letto per diversi giorni. A Montecarlo ho giocato bene contro Monfils, un match veramente duro. Poi altre tre settimane con il problema del collo. Non ho ottenuto molte vittorie ma ora sto bene e penso di avere le mie chance.

Proprio contro Djokovic a Miami, uno dei match miglior della stagione in generale, sei andato veramente vicino a battere il numero uno del mondo. Che ricordi di quell’incontro?
Ho giocato bene contro Novak, ma non avevo ancora abbastanza match vinti per finire l’incontro in fiducia. Mi sono innervosito quando, avanti tre a zero nel secondo set, ho fallito alcune occasioni per andare 4 a 0 con due break di vantaggio, con il primo set già vinto. Non ho avuto abbastanza fiducia. Ero consapevole che stavo giocando meglio, ma poi ho buttato alcuni game e lui ne ha approfittato. Nel terzo, poi, non ho ho avuto chance. Non posso essere arrabbiato alla fine, lui è il numero uno del mondo, ma io volevo e potevo vincere.

C’è molto pubblico che vuole vedere il tennis giocato alla tua maniera, più di altre maniere più comuni, diciamo così. Te ne rendi conto?
Sì e ne sono felice. Mi piace giocare davanti a tanta gente, è parte del nostro lavoro fare felici il pubblico e farlo divertire. Io cerco di fare il meglio, spero di piacere.

Non esulti mai, non urli e non mostri mai il pugno. In campo sei sempre molto calmo, come mai?
Dentro di me non sono calmo, te l’assicuro. Se chiudo un bel punto basta, per me è finita. Reagisco molto quando sbaglio, il bel colpo ti fa felice ma io preferisco stare calmo. Delle volte non ci riesco e mi arrabbio, e allora lancio la racchetta anche io ma in genere quando faccio punti, quando conquisto alcuni punti incredibili (dice proprio così: “incredible shot” ndr), per me è normale: fa parte del mio gioco.

Veniamo a Roma. Hai visitato la chiesa di San Pietro, lo abbiamo visto da Twitter. Hai visto altro?
Sì, ho fatto un giro sul bus turistico dopo il primo match, assieme alla mia fidanzata. Sono pigro e non mi va tanto di camminare, e poi ero stanco. Ci siamo fatti il giro delle attrattive principali: Colosseo, Vaticano. Abbiamo guardato tante cose ascoltando la guida.

Sappiamo che ti piacciono le auto. Hai visto la Ford Mustang gialla qui al villaggio?
No, non ne ho avuto possibilità.

Sei stato al massimo numero 23 ITF da junior, e sei arrivato poi al numero 13 ATP. Cosa ricordi di quel passaggio?
Ho giocato molto da junior, fin da quando ero dodicenne, e per me all’epoca il tennis era la cosa più importante del mondo mentre mio padre mi insegnava che, invece, era solo una parte della mia carriera. Lui cercava di farmi diventare un giocatore, in prospettiva dell’ingresso nel circuito maggiore. Da junior molta gente gioca in maniera che tutto funzioni per la categoria, ma questo poi può non funzionare fra i professionisti. Io giocavo in maniera aggressiva, come ora, variando molto sul campo. Ecco perché poi ho avuto successo nel tour, qualche anno più tardi.

Molti junior, anche numeri 1, e in Italia ne abbiamo avuti, non riescono a diventare buoni professionisti. C’è un errore comune che si fa in questo passaggio?
Penso che uno dei problemi principali è che il tennis è molto popolare in alcune nazioni e quando alcuni junior diventano numeri 1 nella loro categoria gli si comincia a dare tanto credito e attenzioni, e delle volte i ragazzi non sono pronti a queste aspettative. Loro, pensano che saranno numero 1 al mondo e invece poi si ritrovano nei Future e nei Challenger a perdere da tutti. La testa ti dice che magari diventerai numero uno ma poi, in realtà, non è cosi. Dipende molto dal coach.

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