Una delle situazioni più difficili in cui un allenatore possa trovarsi è il tentativo di modificare l’esecuzione di un colpo di un tennista già adulto e formato tecnicamente. Questo è vero anche a livelli amatoriali, figuriamoci parlando di professionisti che in pochi mesi di allenamenti e attività agonistica mettono insieme più ore in campo e più palle colpite di un terza categoria in dieci anni. Per quanto riguarda il modificare la tattica, per esempio cambiare la posizione in campo, attaccare (o tirare più forte), oppure cercare maggiore controllo, non è semplice, ma si fa e si vede fare spesso. La tecnica esecutiva pura, invece, è tutto un altro discorso. Una volta che un’esecuzione è sedimentata, è durissima andare a toccare anche gli automatismi più marginali, così come minime variazioni della postura o dei gesti di caricamento (soprattutto!) possono anche ottenere l’effetto contrario, peggiorando le cose.
Il numero uno del mondo Novak Djokovic, nel corso degli ultimi anni, ha saputo evolvere il movimento del suo servizio in modo notevolissimo, ancor più di quanto fatto da Marin Cilic, e visti i risultati la cosa è da considerarsi assolutamente straordinaria. Nel 2010 Novak era già un campione, il suo grande tennis di attacco e contrattacco da fondo lo aveva portato alla vittoria Slam in Australia (2008), alla conquista della Coppa Davis, e alla posizione numero 2 del ranking. Direi che il livello era stratosferico già in quegli anni, e il bello doveva ancora venire.
In particolare, e qui parliamo di storia abbastanza recente, durante la finale di Wimbledon 2014 una delle chiavi tecniche più evidenti della vittoria di Djokovic su Federer è stato il rendimento al servizio del serbo: Roger aveva appena demolito senza problemi Raonic in semifinale, e non è che Milos battesse piano, eppure nei turni di servizio di Nole lo svizzero è apparso in enorme difficoltà, mai in anticipo, mai aggressivo. Era chiaro a tutti, ormai, che ai perfetti fondamentali da dietro, Djokovic aveva aggiunto un servizio di affidabilità, precisione e continuità eccezionali. Le incertezze, e i numerosi doppi falli della prima parte di carriera, erano svaniti definitivamente. E Nole non si è più fermato, arrivando a realizzare statistiche al servizio quasi imbarazzanti (86% di punti fatti con la prima, 75% con la seconda, roba da Karlovic) per il malcapitato Tsonga nell’ultima finale vinta a Shangai pochi giorni fa.
Qui sopra vediamo Djokovic allenare il servizio a Indian Wells nella primavera del 2010, e appare evidente il problema tecnico: una distensione della racchetta all’indietro veramente troppo accentuata, il che può anche non essere un difetto di per sé, a patto che il polso rimanga maggiormente chiuso con piatto corde rivolto in alto-avanti (più avanti che alto). Invece, e lo si vede bene nel frame in basso a sinistra, Nole al momento della partenza dello swing a colpire si trova ad avere la racchetta orizzontale, parallela al terreno e rivolta in su, la cosiddetta “manata verso il cielo”, che è un assetto braccio-racchetta da evitare assolutamente, perchè interrompe la fluidità del movimento e tende a sbilanciare lateralmente il giocatore. In modo meno estremo, era lo stesso problema che ha sempre avuto Sara Errani. Osservando la conclusione del colpo, vediamo infatti Djokovic ricadere in modo decisamente “storto” alla sua sinistra, segnale di un trasferimento del peso non portato del tutto “attraverso” la palla, ma in buona parte sprecato con uno scaricamento laterale. Meno potenza, meno controllo.
Qui invece vediamo Nole a Dubai all’inizio di quest’anno: il movimento di preparazione/mulinello è totalmente diverso, correttamente più compatto, con testa della racchetta mantenuta “chiusa” e rivolta sempre in avanti, lo swing è a scorrimento continuo, senza momenti di surplace dell’attrezzo che accelera in modo fluido fino all’impatto, e polso destro completamente flesso verso il basso fino all’ultimo istante prima della “martellata” per ottenere una leva di spinta in più. Osservando poi la conclusione del colpo, è evidente la maggior centralità dell’asse di equilibrio in fase di ricaduta, sono pochi gradi ma decisivi, segnale che ora lo swing trasferisce perfettamente il peso in alto/avanti e poi a coprire la palla senza eccessivo sbilanciamento a sinistra. Adesso, Djokovic sul colpo scarica alla grande tutti i chili di spinta di cui dispone, e la maggiore compostezza del gesto aiuta anche a regolarizzare il lancio di palla, ottenendo così percentuale oltre che migliore spinta.
Vista e detta così sembrerebbe quasi facile, ma si tratta – parlando appunto di un giocatore di 23 anni all’epoca, e già fortissimo – di una “rivoluzione tecnica” incredibile e riuscitissima, pensiamo solo a tutte le giocatrici e i giocatori che, con problemi esecutivi al servizio dello stesso tipo, non sono riusciti a risolverli per intere carriere, e non è che non ci abbiano provato. Doppiamente ammirevole, poi, mettersi a farlo da numero 2 del mondo, con la concreta possibilità di “incasinare” la coordinazione e ritrovarsi magari per mezza stagione con un colpo che funziona a intermittenza. Una volontà di migliorare, anche correndo dei rischi, che a mio avviso ha contribuito in modo decisivo al raggiungimento del pazzesco livello attuale del serbo, perchè le gran gambe e i gran colpi li hanno in tanti, una determinazione del genere e un focus totale sull’obiettivo sono cose di pochi fuoriclasse. Esemplare Novak.