(S)punti Tecnici
(S)punti tecnici: le magie di Roger Federer e Stan Wawrinka
Roger Federer ha vinto, Stan Wawrinka ha perso. Ma i loro avversari, Novak Djokovic e Rafa Nadal, e tutti quelli che hanno assistito, si ricorderanno per un pezzo di un paio di magie dei fenomeni svizzeri

Incredulità. Incredulità, e frustrazione. Incredulità per il semplice motivo che la sola idea di eseguire certi colpi, trovare certe traiettorie, far fare alla pallina qualcosa di fisicamente al limite, sembra impossibile. Frustrazione davanti all’evidenza che non solo è successo, e davanti ai tuoi occhi, ma che non potevi farci nulla. Nulla. Nemmeno la tua versione migliore, quella di quando ti senti e sei al 100% e oltre, a quelle palle ci potrà mai arrivare, ma nemmeno vicino. È il momento in cui ti accorgi che non importano i titoli Slam in doppia cifra, il dominare o l’aver dominato il gioco, per tempo più o meno lungo, l’aver colpito milioni di palline, e l’essersene viste arrivare in ogni angolo del tuo campo altrettanti milioni: c’è ancora la possibilità di rimanere a bocca aperta, con le spalle basse, e gli occhi di chi ha appena visto un miracolo. Anche se ti chiami Rafael Nadal, o Novak Djokovic. E la sensazione non cambia, che tu poi il match lo vinca o lo perda. Hai appena dato un brevissimo sguardo a una dimensione parallela, a un universo alternativo, dove magari per un solo colpo, un solo scambio, si gioca a tennis in un modo che non riesci nemmeno a concepire. Hai visto la Matrice, senza neanche aver potuto scegliere tra la pillola rossa e quella blu: ti è stata sbattuta in faccia, di rovescio, in un caso con la risposta, nell’altro con la demi-volée, e hai potuto solo ammirare stupito qualcosa che, anche dopo milioni di proiettili gialli che ti hanno sparato addosso centinaia di avversari per tanti anni, non ti era mai accaduto prima.
Stan Wawrinka e Roger Federer, in modi opposti tra loro (in un caso l’esplosione di forza, timing, coordinazione e istinto, nell’altro la precisione del tocco, la sensibilità, la delicatezza nella gestione della rotazione, in entrambi il giusto pizzico di follia), nei loro match di Round Robin alle ATP Finals in corso a Londra contro Nadal e Djokovic – il primo perso, il secondo vinto, ma poco importa ai fini di questa analisi – hanno realizzato due punti letteralmente fuori da ogni logica. Certamente fuori dalla logica di Rafa e Nole. Cominciamo con la magia più recente.
Set point Federer, 6-5 nel primo set e vantaggio per lui, servizio Djokovic. Dopo un affondo lungolinea di dritto, Roger si presenta a rete, e fronteggia un ottimo passante incrociato basso di rovescio di Nole, che lo costringe alla demi-volée. Lo svizzero è in piena transizione verticale, un rapidissimo movimento in avanti, e sorpreso dall’angolo trovato da Djokovic anticipa lo split-step in dinamica (stava giustamente coprendo il lungolinea), esegue tre-quattro rapidissimi baby-step in diagonale verso la sua sinistra, per trovarsi la palla sulla suola delle Nike. E a quel punto, è solo braccio, solo mano, solo delicatezza, solo talento.
L’esecuzione della demi-volée, tra le altre cose, richiede una postura del polso assolutamente bloccata con racchetta ad angolo retto rispetto all’avambraccio. Bastano pochi gradi di inclinazione verso il basso della testa dell’attrezzo, per perdere inevitabilmente il controllo del colpo. Questo assetto braccio-racchetta comporta quasi obbligatoriamente, soprattutto nel caso si colpisca di rovescio, un impatto di controbalzo con angolo di uscita della palla in diagonale, e già è difficilissimo ottenere una traiettoria efficace così, assecondando la naturale inclinazione del piatto corde che porta a “stringere” il colpo. Ma Roger, qui, sa benissimo dov’è Nole, lo vede con la coda dell’occhio impegnato nella logica rincorsa in avanti e verso il centro del campo, dove il serbo a sua volta sa benissimo che sarà inevitabile e logico che una demi-volée giocata da quella posizione andrà a finire. E allora, in una frazione di secondo, Federer decide che per stavolta la logica la si può lasciare da parte.
Non potendo assolutamente scendere con la testa della racchetta, flettendo il polso, per ottenere un’uscita della palla verso l’esterno Roger “semplicemente” utilizza un movimento a “ritrarre” il gomito verso l’alto-indietro, sfilando il piatto corde dalla pallina sul piano orizzontale-laterale, una carezza appena accennata da sinistra a destra, mentre la pallina stessa con le corde è ancora in contatto, e contemporaneamente asseconda l’impatto smorzandone la velocità. Risultato, un ricamo con rotazione all’infuori che si spegne sulla riga esterna. Se qui sbaglia di un grado il piano di impatto, la mette fuori dal corridoio, o a metà net. Il tutto mentre sta ancora in proiezione verso avanti, in punta di piedi, senza interrompere l’inerzia che lo sta portando verso la rete. I due replay del video, quello laterale e quello frontale, mostrano il mostruoso show di controllo e sensibilità offerto da Federer, mentre poco prima, nella ripresa in tempo reale, è chiaro quanto Nole sia disorientato, con l’ultimo disperato passo lungo verso destra quando si accorge di cosa è uscito dalla racchetta di Roger. E nell’ultimo istante del primo replay, lo si vede ancora più chiaramente abbassare le spalle, esterrefatto e sorpreso più che infastidito. Perché ha appena dato un’occhiata, un breve sguardo, a quello di cui parlavamo prima, ovvero quel luogo del tennis dove può arrivare solo Federer, magari solo per una partita, uno scambio, un colpo: ma lì c’è solo lui, in compagnia di pochi eletti di un passato ormai nemmeno più tanto recente, e che sarà sempre più difficile ammirare ancora in futuro.
Lunedì sera, da parte sua, anche nel contesto di quello che lui stesso ha definito “un brutto giorno per andare in ufficio”, e che si è concluso con una inevitabile sconfitta, Stanislas Wawrinka, per gli amici “Stan The Man” o “Stanimal”, ha rifatto uno dei colpi più incredibili che si siano mai visti, letteralmente inventato dal nulla, e che mai mi sarei aspettato di rivedere, tanto assurdo ed estemporaneo era stato la prima volta.
Potremmo definirlo rovescio “Suzanne Lenglen”, tirato con la stessa impugnatura (continental, impostata nel caso di Stan per lo slice e non certo per la botta piatta) e lo stesso movimento a colpire, ma con la lieve differenza che la palla 90 anni fa viaggiava a un terzo della velocità se è tanto. Al Roland Garros, quest’anno, contro Dusan Lajovic lo aveva tirato lungolinea, contro Rafa Nadal alla O2 Arena lo ha addirittura chiuso incrociato. E come in occasione dello Slam parigino, è stato un colpo tanto fulminante e inaspettato da sfuggire al regista (niente replay) e ai compilatori degli highlights, ma cerchiamo comunque di capire cosa ha (nuovamente) combinato il “folle Stan”. Secondo game del secondo set, 15-30, Rafa al servizio da sinistra.
Come vediamo dal video rallentato, Wawrinka parte con l’impostazione della risposta in slice, a tagliare dall’alto verso il basso la curva mancina carica ed esterna di Nadal. Un attimo prima dell’impatto, come a Parigi, chissà cosa scatta nella mente di Stan: certamente non un pensiero strutturato, non c’è tempo, siamo nell’ordine dei millisecondi, qui è automatismo coordinativo puro, quasi una ribellione istintiva alle leggi della fisica e della biomeccanica. Sta di fatto che lo svizzero “spara su”, in verticale, la testa della racchetta, e tira giù dall’alto in basso, senza il minimo sostegno dell’attrezzo con la leva di pollice e del palmo della mano come con una presa di rovescio eastern classica, una fucilata in cross vincente, piattissima, da fantascienza. Senza la possibilità di accompagnare il colpo con un follow-through “attraverso” la palla, per trovare controllo Stan arriva a buttarsi giù e laterale con tanta violenza da ritrovarsi appoggiato alla racchetta, finita a toccare il campo, come fosse una stampella. Qualche frame più in dettaglio per capire, peccato davvero non avere un replay.
La demi-volée di Federer, per quanto pazzesca, rientra in ogni caso nel cosiddetto “manuale del tennis”, anche se nelle paginette nascoste e riservate a davvero pochi interpreti: queste cose che – ormai due volte – si inventa Stan con il rovescio alto, di pura forza e nervo del braccio, e polso d’acciaio a dir poco, no. Come scrissi anche l’altra volta, non ci sono più dai tempi di Suzanne “la divina”, i tempi dei manici di legno nemmeno sempre rivestiti di cuoio, i tempi in cui l’unico grip utilizzato per tutti i colpi era la presa a martello, e ci si “scucchiaiava” la palla a vicenda palleggiando a 50 all’ora. Così come Nole, vediamo anche Rafa osservare esterrefatto il punto dove si è stampata sul campo tale risposta fuori dal tempo, così incredibile da non poter essere immaginata finchè non te la tirano in faccia.
Che bellezza, che spettacolo, che follia.
(S)punti Tecnici
Alta intensità a Indian Wells: Berrettini e Tsitsipas a tutto braccio [VIDEO]
Due ore di pallate tra Matteo e Stefanos, spettacolo di potenza sul campo di allenamento

da Indian Wells, il nostro inviato
Poche parole, tante immagini: il modo migliore di apprezzare il tennis, visto da vicinissimo, di due top-player. Nel primo pomeriggio californiano, Matteo Berrettini e Stefanos Tsitsipas sono andati in campo sul “practice court 1” di Indian Wells, e hanno fatto divertire gli spettatori assiepati sulle tribune.
Vi documentiamo l’allenamento dei ragazzi con una serie di video esclusivi, da pochi metri: andiamo a goderceli in compagnia.
Palleggio dal centro, è sempre incredibile vedere come si muove un omone come Berrettini:
Sale il ritmo:
La palla schiocca, le scarpe fischiano:
Open stance piena, pallate una dietro l’altra:
Dall’altra parte della rete, non scherza nemmeno Stefanos:
Si comincia coi diagonaloni di dritto:
Matteo non si fa pregare, e in quattro botte costringe Tsitsipas alla steccata:
Si provano i colpi in chiusura, siamo verso la fine della sessione:
Per finire la carrellata, prima le cose belle di Stefanos col rovescio a una mano:
E poi la specialità di casa Berrettini, servizio e due drittoni:
Un gran bel pomeriggio di sport al massimo livello, tra il numero 5 e il numero 6 del mondo: la competizione sta appena iniziando, ma nel “Paradiso del tennis” le cose sono già interessantissime e appassionanti.
Per quello che abbiamo potuto vedere, anche parlandone un attimo con Matteo e Vincenzo Santopadre, il nostro miglior giocatore sembra stare bene, ha tirato senza paura, speriamo che possa disputare un buon torneo.
Spunti tecnici: il segreto del dritto di Berrettini
Spunti tecnici: Tsitsipas, forse abbiamo trovato un nuovo Airone
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Spunti tecnici: Sinner, decontrazione e scioltezza
Jannik è forse il miglior colpitore puro che il tennis italiano abbia mai visto. Velocità di palla altissima, fluidità totale

Non era mai successo che il tennis azzurro contasse due giocatori contemporaneamente tra i primi 10 della classifica mondiale come accaduto fino alla settimana scorsa. Così come non era mai successo, tra gli italiani, quello che ha realizzato nel 2021 Jannik Sinner, 20 anni, ovvero vincere ben 4 tornei ATP in una stagione (i “250” di Melbourne, Sofia e Anversa, e il “500” di Washinghton, più una finale Masters 1000 persa a Miami). Il giovane ex sciatore della Val Pusteria sta vivendo, da ormai un paio d’anni, un percorso di progresso tecnico e tattico a tratti esaltante, meritatamente condito da vittorie di peso e una conseguente scalata verso i piani alti del nostro sport, dove ha raggiunto Matteo Berrettini, che sta facendo sognare i tifosi non solo nostrani.
La cifra del gioco di Sinner, tennista modernissimo come impostazione tecnico tattica, è la qualità del palleggio aggressivo da fondocampo. Dritto e rovescio di Jannik sono fucilate in costante accelerazione, con una capacità fenomenale di creare velocità di palla da ogni angolo del campo. Come ci riesce il nostro campione? Andiamo ad analizzarlo, ringraziando l’imprescindibile Vanni Gibertini per i video e le immagini originali ed esclusive di Ubitennis direttamente realizzate da Indian Wells nell’ottobre 2021. Iniziamo con un video rallentato, dove possiamo apprezzare due dritti e un rovescio.
SPUNTI TECNICI: Il nostro coach analizza colpo per colpo, foto per foto, Jannik Sinner al microscopio
Quello che salta subito all’occhio, oltre alla generale compostezza della postura e dell’equilibrio, è la facilità con cui Jannik fa scorrere la testa della racchetta attraverso la palla, senza perderne minimamente il controllo. Andando a osservare con attenzione alcuni “frame” tratti dallo stesso filmato, possiamo notare la caratteristica speciale degli swing di Sinner: il giocatore è talmente decontratto da far finire l’attrezzo praticamente nello stesso punto, ben alto e dietro le spalle, da cui ha iniziato il movimento a colpire.

Questa ampiezza dell’ovalizzazione non è un dettaglio peculiare di Jannik, è tecnica abbastanza standard, quello che risulta straordinario nel caso dell’azzurro è che di norma uno swing così sciolto, in gergo si direbbe “a tutto braccio”, viene “lasciato andare” così tanto nel momento in cui si vuole produrre un’accelerazione vincente, alla massima velocità possibile, con tutti i rischi di errore annessi. Sinner, invece, lo fa in ogni singolo colpo, botta dopo botta, mantenendo percentuali altissime di successo, ed è da questo che deriva la sensazione di ritmo impossibile da reggere che tanti dei suoi avversari hanno provato e poi raccontato dopo averlo affrontato.
Andando a vedere i frame, la stessa cosa avviene dal lato del rovescio.

Rovescio che è il colpo più naturale di Jannik, anche se a ben vedere i progressi degli ultimi tempi hanno portato anche il dritto a essere un’arma di pari efficacia. La caratteristica principale del colpo bimane di Sinner è l’estrema semplicità della preparazione, un “backswing” eseguito praticamente in linea, un po’ come nel caso di Daniil Medvedev. Molto differente rispetto, per esempio, all’ovalizzazione più “rotonda” di uno come Alexander Zverev, nessuna delle due tecniche esecutive è migliore o peggiore dell’altra, sono solo personalismi coordinativi. Vediamo il confronto qui sotto, con un’immagine di Sascha sempre da Indian Wells, la differenza di altezza della testa della racchetta all’apice del backswing è chiarissima.

La preparazione con ovalizzazione facilita un minimo l’accelerazione della testa della racchetta, che viene “aiutata” dal percorso bello tondeggiante che va a effettuare (come nel caso di praticamente tutti i dritti standard), mentre quella in linea, a patto di avere la scioltezza di braccia necessaria per far viaggiare l’attezzo, rende più semplice andare a impattare “attraversando la palla”, con poca rotazione, e altissima rapidità del colpo. Lo vediamo dall’inizio alla fine qui sotto.

L’intero movimento, dal backswing fino all’impatto, vede la testa della racchetta di Jannik che non va più in alto rispetto alla linea delle spalle, e non viene portata più in basso dei fianchi, rimanendo in un “binario” di poche decine di centimetri in verticale. L’accompagnamento finale, sempre composto e con la racchetta che segue la direzione della palla prima del già commentato, scioltissimo “wrap” (avvolgimento delle braccia) sopra la spalla opposta, conclude un’esecuzione a dir poco spettacolare.

Dal binario di cui sopra partono gli autentici treni, lungolinea e incrociati, con cui il rovescio di Sinner fa a fette il campo e di conseguenza gli avversari.
Riassumendo, con i fondamentali al rimbalzo, siamo davanti a una macchina lanciamissili che ha pochi eguali nel circuito, paragonabile a quello che era Tomas Berdych (ma con maggiori margini a mio avviso), e per quanto riguarda il rovescio, l’eccellenza è assoluta, al livello dei migliori di tutti, come i citati Zverev e Medvedev. Forse solo il bimane del grande Novak Djokovic, attualmente, potrebbe farsi preferire a quello di Sinner, ma per una questione di varietà tattica di soluzioni che deriva dall’esperienza del fuoriclasse, non certo per qualità tecnica in senso stretto.
A partire dallo scorso anno Jannik sta lavorando molto per migliorare il servizio, che è un colpo ben eseguito e che produce bella velocità, ma a volte tende a non ottenere sufficienti percentuali e angoli efficaci. Il problema (relativo, parlando di livelli simili) appare in gran parte risolto, certo Sinner è difficile che si trasformi in un bombardiere alla Berrettini, ma se riesce ad ottenere un congruo bottino di punti diretti, e negli altri casi a comandare lo scambio scatenando il pazzesco ritmo da fondo analizzato prima, va benissimo così. Lo vediamo qui sotto:


Esecuzione assolutamente corretta, ottimo impatto, si può notare che Sinner tende a rimanere molto verticale con relativa minore uscita dell’anca in avanti, e di conseguenza azione del piano delle spalle meno accentuata, ma anche qui siamo davanti a caratteristiche coordinative personali, quello che conta è la sensazione e la sicurezza nel colpo che può sentire solo il giocatore stesso. Nel corso dell’ultimo anno Jannik è passato dalla tecnica foot-up, cioè con il piede posteriore che fa un passo in avanti a raggiungere quello anteriore, a quella foot-back, con i piedi entrambi a terra in fase di caricamento. Di solito in questo modo si può regolarizzare il lancio di palla, e pare che per Sinner la cosa funzioni. Ormai le prime palle vanno spesso a 200 kmh e anche di più, le seconde non sono facili da aggredire, e oltre a questo ricordiamo che la fase di evoluzione tecnica del giocatore non è ancora conclusa. In ogni caso, è stata raggiunta l’elite del tennis mondiale, se poi immaginiamo ulteriori margini di miglioramento anche tattici, come la capacità di chiudere a rete con angoli e soprattutto tempi di esecuzione sempre più efficaci, il futuro non potrà che riservarci soddisfazioni che attendevamo tutti da una vita.
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ATP Finals – Spunti Tecnici: Matteo Berrettini e il dritto che fa male anche ai top-players
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Tecnicamente, stando in campo con Matteo Berrettini, che si prepara a giocare le ATP Finals per la seconda volta in carriera (record per il tennis italiano maschile, come l’esaltante finale raggiunta sull’erba di Londra), è molto interessante vedere quanto i colpi dell’azzurro sponsorizzato da Lotto Sport Italia siano strutturati con l’obiettivo dell’efficienza e dell’incisività.
Il dritto è uno dei più potenti e carichi di top-spin del Tour, parole di Novak Djokovic, una botta paragonabile a quella di Juan Martin del Potro, il servizio è sempre la specialità di casa, e il rovescio slice (con rotazione all’indietro) è diventato solido e molto efficace. D’altronde, a questi livelli non vai in fondo agli Slam con buchi tecnici evidenti, chi critica il rovescio di Matteo dovrebbe provare a starci in campo contro, come ha detto anche Monfils dopo averci perso a New York due anni fa. Vediamoci insieme Berrettini da vicinissimo.


Qui sopra, un paio di esecuzioni del dritto in open stance, postura frontale, il classico “sventaglio” con cui l’italiano martella a ritmo altissimo da ogni angolo del campo. Da notare, a parte l’ovalizzazione perfetta e l’ottima spinta della gamba esterna, come Matteo tenga l’indice della mano destra ben separato dalle altre dita. La cosa consente una maggiore sensibilità, la nocca del dito avvolge il manico più avanti sostenendolo e “sentendolo”, è il cosiddetto “pistol grip“, l’impugnatura “a pistola”, come se l’indice fosse su un grilletto immaginario. Rispetto al “hammer grip“, che non è l’impugnatura a martello che in italiano è la continental, ma è la postura della mano sul manico a dita raccolte, il vantaggio a livello di percezione e tatto è notevole, a patto che si sia in grado, con la forza dell’arto, di reggere con sufficiente saldezza l’attrezzo. Ecco un esempio più chiaro, per capirci.

Sopra, Dominic Thiem, sotto, Berrettini. Se osserviamo l’indice, la differenza è evidente. Sono due dritti brutali per potenza, efficacissimi entrambi, ma avete presente quando un colpo ha “qualcosa” in più? Magari dà un’impressione di maggior controllo, o di varietà di esecuzioni, tipicamente la capacità di tirare piatto oppure super-arrotato cambiando l’angolo di attacco del piatto corde sulla palla con disinvoltura? Ma non si riesce a focalizzare quale sia la causa, o perché uno ci riesca meglio di un altro? Ecco, questi dettagli spesso sono la risposta. E sappiamo bene che una delle caratteristiche tecniche di Matteo è proprio la capacità di sparare liftoni alternati a manate piatte come niente fosse.
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Qui sopra, vediamo il rovescio tagliato con rotazione all’indietro, ovvero lo slice. Berrettini ha lavorato moltissimo su questo colpo, ce lo ha detto lui stesso, e i risultati si vedono. Non parte molto in alto con la testa della racchetta, non sale troppo con la spalla, e tiene il braccio abbastanza discosto dal corpo (pensiamo a Roberta Vinci, che arrivava dietro la schiena col piatto corde, e avvolgeva il braccio così tanto che ancora un po’ si strangolava da sola, con la spalla destra in gola). Il movimento a colpire risulta più orizzontale, data l’altezza di Matteo la cosa per lui funziona più che bene, ed è ottima la conduzione del piatto corde, con postura perfettamente composta, come si può apprezzare nella seconda immagine. Notevole la capacità di andare basso con le ginocchia, data la stazza del giocatore. La rasoiata in slice di Berrettini non ha nulla da invidiare, quanto a efficacia e cattiveria della rotazione, a esecuzioni ben più “blasonate” dal punto di vista stilistico. Bravissimo.


Qui sopra (sequenza originale ed esclusiva di Ubitennis da Indian Wells), il super-servizio, senza commenti perché le immagini parlano da sole. Il caricamento iniziale, con il brandeggio basculante “alla Raonic”, e il polso morbido, con presa leggerissima, sono caratteristiche personali di Matteo. Decontrazione totale, che produce una frustata con pochi eguali nel circuito. Dalla “trophy position” in poi, vediamo le immagini, anche scolasticamente è una martellata fantastica, il lieve attimo di surplace con racchetta piatta verso l’alto, difettuccio veniale ma presente fino a tre anni fa, è sparito, Matteo va di taglio ad aggredire la palla in modo perfetto. Che missili, ragazzi.
In conclusione, abbiamo un gran bel giocatore, moderno, fisico, potente, e dotato di tecnica assai più raffinata di quanto appaia a prima vista (e soprattutto in TV). La grande sensibilità della sua palla corta ne è un esempio, non spari servizi a 225 all’ora, dritti a 160 dall’altra parte, e poi chiudi il punto con una carezza a mezza spanna dal nastro se non hai tanta, ma tanta “mano”. Un po’ di abitudine ad andare a rete a prendersi qualche punto in più, altra cosa su cui Berrettini e Santopadre ci hanno detto di stare lavorando parecchio, con successo viste le vittorie, e il “pacchetto” è completo.
Terzo anno chiuso in top-10 ATP, titoli prestigiosi come al Queen’s Club, soddisfazioni personali come la convocazione per il team Europa alla Laver Cup, e il sogno della finale di Wimbledon: Matteo Berrettini è arrivato tra i grandi del tennis, e ha intenzione di rimanerci a lungo.