Djokovic sempre re d'Australia Murray schiantato (Crivelli, Semeraro, Lombardo, Scanagatta, Clerici, Valesio, Giorni)

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Djokovic sempre re d’Australia Murray schiantato (Crivelli, Semeraro, Lombardo, Scanagatta, Clerici, Valesio, Giorni)

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Rassegna a cura di Daniele Flavi

 

Djokovic sempre re d’Australia Murray schiantato

 

Riccardo Crivelli, la gazzetta dello sport del 1.02.2016

 

L’ Australia è il suo giardino. Questo gioco, è il suo giardino. A un campione si chiede di essere il più forte della sua epoca, a prescindere dalle condizioni e dagli avversari. Perciò, se il tennis è diventato atletica applicata agli spostamenti, aggressività, velocità di palla, capacità di attaccare da fondo anticipando ogni colpo con i piedi sulla riga, Sua Maestà Djokovic non ne ha colpa. Lui è il massimo interprete, il sublime interprete dell’evoluzione, che piaccia o no. Un dominatore che ha portato alla perfezione ogni dettaglio che serve per vincere, e adesso può davvero riscrivere la storia. DISTACCO Non poteva essere il buon Murray, stressato da due settimane con l’orecchio al telefono (e infatti è partito per Londra subito dopo la premiazione, auguri per il bebè in arrivo), a fermarne la corsa, nonostante due set d’orgoglio dopo la spazzolata del primo. Perché, per l’occasione senza bisogno di esagerare, nei momenti chiave Nole alza il livello e diventa irraggiungibile, come nello scambio di 36 colpi dell’11 game del secondo parziale, che scardina le certezze di Andy che stava 40-0 e finisce per perdere sciaguratamente il servizio, oppure nel tie break del terzo, quando mette un ace e due prime vincenti contro i due doppi falli e un facile diritto in rete del rivale. Così, approda al sesto Australian Open in carriera (in sei finali), record che è in coabitazione solo formale con Emerson, che li vinceva senza i più forti e, soprattutto, eguaglia due miti come Borg e Laver a quota 11 Slam. E il conteggio rischia di non fermarsi più per tanto tempo, se è vero che sotto il cielo di Melbourne a sfidare il numero uno c’era il numero due: eppure la partita, salvo qualche fiammata, non è mai esistita. Djokovic ormai si impone per distacco, è visibile dagli altri solo con il binocolo. In un mese, da Doha a qui, ha strapazzato Nadal, Federer e Murray, cioè il simulacro degli ex Fab Four. Un uomo solo al comando, nonostante il low profile: «Non voglio permettere alla mia mente di entrare in quello stato, perché se lo faccio la persona diventa troppo arrogante e crede di essere superiore rispetto a tutti. Potresti ricevere un bello schiaffo, presto o tardi, e io non lo voglio. Essere rispettoso con tutti i miei colleghi e verso questo sport è la chiave per mantenere questo livello di successo». COME ROGER? Qualcuno ha già fatto i conti: a Wimbledon 2017 potrebbe eguagliare i 17 Major di Federer. Certo, dovrebbe fare il Grande Slam quest’anno e vincere i primi 3 del prossimo, impresa titanica. E rimanere in salute, senza intoppi di alcun genere. Eppure, lasciando il cielo e scendendo a terra, il cammino del Djoker negli ultimi 15 mesi può tranquillamente convergere nelle stagioni 20052006 di Roger, che sembravano inimitabili per sostanza, qualità e vittorie. Nole è a quota 17 finali consecutive (7 successi), come il Divino, e insegue ormai le 18 di Lendl di inizio anni 80. Da agosto, finale di Cincinnati, ha vinto 38 partite su 39, e l’unica sconfitta è arrivata contro Federer nel Round Robin del Masters, poi vendicata all’ultimo atto….

 

Djokovic il cannibale non fa sconti

 

Stefano Semeraro, il corriere dello sport del 1.02.2016

 

Il nuovo Cannibale non fa sconti, neppure agli amici. «Andy è uno dei più forti tennisti della storia, gli auguro di vincere molto». In futuro, però, perché al momento non se ne parla proprio. Il tennis nell’ultimo anno e mezzo ha conosciuto solo un padrone, il suo nome è Novak Djokovic e non ha nessuna intenzione di cedere ditta e fatturato, come ha dimostrato ieri battendo per la quarta volta in finale Andy Murray agli Australian Open, 6-17-5 7-6 in 2 ore e 54 minuti. Per lo scortese è addirittura il quinto flop a Melbourne, visto che il primo big match lo consegnò a Roger Federer nel 2010. Nel frattempo lo scozzese è riuscito a portarsi a casa un titolo agli US Open, uno a Wimbledon e l’oro olimpico, ma down under, laggiù in basso, niet, nisba, non c’è verso. NUMERI. La terra dei canguri è invece diventata ufficialmente la seconda patria di Djokovic, che con la vittoria di ieri non solo ha eguagliato i sei centri australiani di Roy Emerson – che però li colse fra il 1961 e il ’67, quando il tennis non era ancora open, 184 SETTIMANE DA N.1 Oggi Novak Djokovic sarà per la 184 settimana in carriera al numero 1 della classifica Atp: davanti al serbo C sono soltanto Roger Federer con 302, Pete Sampras con 286, Ivan Lend! con 270 e Jimmy Connors con 268. Sale a quota dodici in carriera: «t davvero un onore essere alla pari con Laver e Borg» cioè apertó ai professionisti, e quasi tutti i migliori erano banditi dagli Slam – ma anche gli 11 “major” in carriera di Bjorn Borg e Rod Laver, che lo ha ammirato, un po’ sgomento, dalla tribuna del centrale che porta il suo nome. Davanti a lui restano ormai solo Emerson, a quota 12, poi Nadal e Sampras a 14 e Roger Federer a 17. «Se dicessi che quando sono entrato in campo non ci ho pensato – ha ammesso il Joker – mentirei. Sapevo di avere una chance di fare la storia, ed è stato anche quello a spingermi a dare il meglio di me stesso. Ogni Slam ha una sua importanza, e stavolta il significato sta nell’aver raggiunto i sei titoli di Emerson. E poi sentirmi citato accanto a due le:: ende del nostro sport come Borg e Laver è davvero un onore». Il nuovo scivolone di Serena Williams nel femminile aveva illuso qualcuno che le stelle australi fossero favorevoli alle rivoluzioni, ma il Noie di questi tempi è stampato in un materiale refrattario alle sconfitte. Non perde da 16 match, da 21 negli Slam, dagli Australian Open 2015 ha giocato 17 finali vincendone 13, le ultime 7 di fila. «In effetti – riconosce – negli ultimi 15 mesi ho giocato il miglior tennis della mia carriera». LA PARTITA. Fra le sue tante qualità c’è anche quella di entrare in campo sempre in accelerazione, caldo e concentrato come se avesse già giocato un set, e anche ieri a fame le spese è stato un Murray fosse intorpidito dalle ore piccole fatte per festeggiare il successo del fratello Jamie in doppio, oltre distratto dalla nascita attesa da un momento all’altro dell’erede a Londra. Chiuso in un amen il primo set Nole ha faticato un po di più nel secondo, ma anche Il ha fornito un esempio dei ritmi forsennati che lui solo sa reggere quando nell’ennesimo game ha rimontato da 40-0 sul servizio di Murray, usando anche uno scambio lungo 36 colpi per piegare e breccare l’amicone. Andy è stato poi bravo a rimontare da 1-3 nel terzo, aggrappandosi ad un de-break nel quale però è malamente franato, commettendo 2 doppi falli. Impossibile, anche per il n. 2 del mondo, sopportare il pressing del serbo. Alla fine la differenza l’hanno fatta gli errori (63) commessi da Murray, specie di dritto, nel tentativo di togliersi dalle corde. Si è messo in borsa un po’ mesto il quinto trofeo da sconfitto, il Poulidor scozzese, e ha salutato via satellite la futura mamma Kim («Sei stata un mito a sostenermi in queste due settimane, voglio solo dirti che sto salendo sul primo aereo per casa»), poi è scappato in aeroporto. Novak, che papà lo è già, è rimasto a godersi la festa. Da oggi inizia la sua 184a settimana da n.1, il progetto di un Grande Slam – fallito di una partita appena lo scorso anno – è già in piedi, e anche il distacco con Federer nella corsa ai 100 milioni di dollari montepremi in carriera è ridotto (96 a 97,5). Con il genio di Basilea che viaggia verso i 35 anni, Nadal in crisi, Murray sottomesso e i giovani rampanti ancora troppo acerbi, non si vede davvero chi possa davvero impensierirlo. Nè in Australia, né altrove

 

Djokovic devastante spazzato via Murray

 

Marco Lombardo, il giornale del 1.02.2016

 

La spiegazione probabilmente arriva dalla storia: nell’uno contro tutti essere un serbo aiuta. Novak Djokovic è lo splendido esempio di un popolo che si è trovato spesso dall’altra parte del mondo: a torto o ragione a seconda dei punti di vista, con l’orgoglio di Patria (insieme a Dio e famiglia) che solo da quelle parti sanno avere. Così, se il giardino di Melbourne Park per una notte diventa una piazza di Belgrado non c’è sorpresa, con centinaia di bandiere che sventolano per il campione più assoluto del tennis e lui, ovviamente, che sente di essere nella storia: «E un onore raggiungere leggende come Rod Laver e Roy Emerson, sono sensazioni infinite. Io futuro presidente della Serbia? Non scherziamo, sono solo uno sportivo». In pratica, allora, la verità sul momento del tennis mondiale è uscita dagli spogliatoi della Rod Laver Arena per bocca di Gilles Simon, l’unico che durante il torneo ha fatto un po’ sudare il Fenomeno portandolo al quinto set: «Sta diventando umiliante: ormai dobbiamo solo sperare che non si iscriva». E il conto è presto fatto: con il successo contro Andy Murray (6-1, 7-5, 7-6), Novak conquista il suo undicesimo Slam (appunto come Laver e Borg) e il sesto in Australia (come Emerson e su sei finali). Negli ultimi 12 mesi esatti ha perso appena 5 partite e negli Slam è stato sconfitto solo a Parigi da Wawrinka. E se poi ci mettete che quella di ieri è la quinta finale persa da Murray down under, la quarta contro di lui, capirete lo sconforto del resto del mondo. Djokovic in questo momento è quello descritto da Simon: umiliante. E pure nella finale di Melbourne non c’è stato un attimo in cui si potesse dubitare della sua vittoria. Anche quando, dopo il devastante primo set, Murray ha tentato di cambiare l’inesorabile. E finita insomma con Novak a baciare il campo e con Andy scosso e commosso, dopo due settimane emozionalmente difficili: con la moglie in attesa del loro primo bimbo a giorni («e avrei saltato la finale se mi avesse avvertito che stava per nascere») e il papà di lei colpito da un malore qui in Australia, con tutto quello che può succedere in momenti simili. E infatti Murray ha dedicato a Kim il messaggio di ringraziamento: «Sei stata tu la leggenda, adesso torno subito a casa». Mentre Jelena – la moglie di Novak – twittava dalla Serbia il video del loro piccolo Stefan di 13 mesi che seguiva il papà alla tv: «In realtà però per ora mi chiama mamy…». Questo insomma il quadretto finale, con il devastante Djokovic che chiude il conto da campione: «Ho grande rispetto per Andy e so che un giorno ce la farà a vincere qui: è una brava persona e un grande rivale. Per ora spero che provi le emozioni irripetibili che ho provato io quando sono diventato padre. Molti dicono che posso vincere ancora tanti Slam e io non ho motivo per non essere ottimista: però non so qua il sono i miei confini, in questi ultimi 15 mesi ho giocato il tennis della mia vita e posso solo provare a continuare cosi. La mia ricetta? Impegno, umiltà, dedizione. Avere come avversari campioni come Federer, Nadal e Murray è stata la mia fortuna, adesso mi manca da vincere il Roland Garros e io sono un lupo affamato. Solo che prima ci sono altri bei bocconi: Parigi è il dessert. Insomma, io guardo già avanti». Avanti, dove ci sono Sampras e Nadal con 14 Slam, ma soprattutto Federer con 17. Potrebbe non mancare molto.

 

SuperNole senza rivali Può battere ogni record

 

Ubaldo Scanagatta, Quotidiano Nazionale del 1.02.2016

 

 

Se lo scoro 7 giugno Stan Wawrinka non avesse indovinato al Roland Garros una giornata assolutamente straordinaria, Novak Djokovic avrebbe vinto tutti gli ultimi cinque tornei dello Slam. Qui in Australia, intanto, gli cambieranno cognome: diventerà Djoko-Six. Nessuno aveva più vinto sei Australian Open dai tempi di Roy Emerson, che pero li vinse tutti sull’erba e prima dell’era Open, quando le migliori racchette (Laver, Rosewall, Hoad, Gonzalez) erano bandite” dal circuito “amateur”perchè professionisti. Negli ultimi 15 mesi il campione serbo ha letteralmente dominato tutti i rivali più agguerriti. Aver vinto 4 degli ultimi 5 Slam e S degli ultimi 7 è da super-campioni. Scommetterei che Djokovic non si fermerà agli 11 Slam vinti in carriera come due miti del tennis, Bjorn Borg e Rod Laver. Borg si ritirò a 26 anni, ma avrebbe avuto rivali del calibro di McEnroe, Connors, Lendl. Djokovic, 28 anni, ha un fisico integro, è una molla d’uomo, non ha limiti tecnici. In un mese ha demolito i rivali fin dal primo set: 6-1 a Nadal a Doha in 30 minuti, 6-1 a Federer in semifinale qui in 24 minuti (e 6-2 in 30 nel secondo), 6-1 a Murray ieri a Melbourne in 30. Non vince. Domina. Se può succedere che un superfavo ito penta quando non te l’aspetti —la Vinci a New York, la Kerber, qui, che battono Serena Williams! — non riesco ad immaginare la terza miracolosa giovinezza di Federer a 35 anni, il recupero atletico (e del dritto) di Nadal (salvo forse che al Roland Garros), la reazione di Murray battuto 11 volte delle ultime 12 da questo mostruoso Djokovic. I migliori giovani, gli australiani Kyrgios e Tomic, il tedesco Zverev, il russo Rublev, non li vedo in grado di salire di livello in un paio di anni per poter infastidire Djokovic. 114 Slam di Nadal sono nel mirino di Djokovic, i 17 di Federer paiono oggettivamente lontani. Ma questo Djokovic che vince 4 Slam ogni S pare inarrestabile. Se non lo fermassero che una volta all’anno nei prossimi 2 anni, beh, neppure Federer potrà restarsene tranquillo. Per diventare pero uno dei più grandi di tutti i tempi Novak dovrà infrangere il tabù del Roland Garros. Già a giugno?

 

L’era Djokovic mai così forte

 

Gianni Clerici, la Repubblica del 1.02.2016

 

Djokovic ha battuto Andy Murray 3 set a 0 (6.1, 7-5, 7-6), conquistando così il suo sesto Australian Open, e la decima partita delle ultime undici disputate contro lo scozzese. Se non bastavano i precedenti, per rendere simile match prevedibile, è stata la vicenda stessa a mostrarsi univoca, addirittura simile a quelle che battezzai esibizioni agonistiche. Più ancora del cosiddetto body language, l’aspetto umano della partita è stato continuamente suggerito dall’espressione facciale dei due, negativa, contrariata, spesso furibonda, addirittura perduta in imprecazioni labiali quella di Murray, e serena, fiduciosa, sorridente, soltanto a tratti insoddisfatta ma rapidamente ricomposta, di Djokovic. L’abituale superiorità del Serbo, basata sulla capacità di spostarsi e addirittura scivolare sul duro e pericoloso fondo in cemento plastificato, è stata accentuata dalla parziale incapacità di Murray nell’affrontare gli spesso lunghi palleggi, che avrebbe terminati con un quoziente passivo di 65 errori gratuiti a 41. Simile preoccupante scarto avrebbe dilatato i suoi effetti negativi, se si pensa che più di due terzi degli errori vanno attribuiti al diritto di Andy. Lungi dall’avere, alla sua destra, la possibilità di attaccare, o almeno mettere in difficoltà Nole, Murray avrebbe perduto un’occasione sull’altra, limitando cosi i suoi attacchi al rovescio, colpo del quale, per solito, si serve per passare, o preparare il punto. A fronte, Djokovic ha sofferto, secondo le mie annotazioni, meno di quaranta errori, dei quali non più di una decina gratuiti, e ciò aiuta a capire lo scarto del punteggio odierno…. Ad augurarglielo è stato oggi un sorridente Rod Laver. Ma ci sono ancora sette mesi prima del futuro US Open. IL TABÙ PARIGI Per riuscirci, Djokovic dovrà sfatare il suo tabù: non è ancora riuscito a vincere il Roland Garros

 

Nole, ora vedi lo Slam?

 

Piero Valesio, tuttosport del 1.02.2016

 

Riguardatevi lo scambio vinto da Nole dopo 30 colpi e comprenderete con molta facilità perché se quest’anno non conquisterà lo Slam sarà per cause esterne, oggi non immaginabili. Ma intanto, forse mai come di questi tempi, è lanciato verso la conquista dello Slam “vero”: tutti i titoli major nello stesso anno solare. Magari mettendoci sopra, come ciliegina, l’oro olimpico e dando così vita al Golden Slam altro che Grande: impresa che solo Steffi Graf ha saputo portare fino in fondo. Djokovic è oggi l’atleta più assoluto dello sport mondiale, laddove per assolutezza s’intende la capacità di sfruttare i propri mezzi per raggiungere obiettivi altissimi. Non è il più creativo e non lo sarà mai: ma per il semplice fatto che non ne bisogno. A suscitare la creatività (anche se studi recentissimi affermano il contrario) in genere è una situazione di difficoltà se non di sofferenza e dolore. E’ chi fatica che si aiuta ad elaborar e il proprio lutto con un’espresione artistica: la poesia, la musica e perché no, lo sport. Nole non ha motivi di sofferenza, è probabilmente uno degli uomini più felici al mondo anche se fatica e sofferenza le ha conosciute in tenera età, quando ha dovuta lasciare casa sua perché sopra ci piovevano le bombe. ll suo segreto in campo è quell’assolutezza di cui sopra: ha talmente elevato il livello di rendimento del suo motore (testa più fisico, ovviamente) che si pub accontentare di andare più veloce degli altri. La sua percezione del gioco è superiore a quella di chiunque altro calchi un campo da tennis oggi; e probabilmente pure di chi l’ha calcato in passato. Non deve esibirsi in colpi spettacolari per quanto almeno qualcuno sia sulle sue corde; gli è sufficiente (ampiamente sufficiente) “leggere” il gioco come nessun altro arrivando prima dove l’avversario tirerà, oppure mettendosi in condizione di colpire la palla come se fosse fermo anche quando ci arriva in ritardo. Non col fiatone, però: quella era una caratteristica del primo Djokovic. Questo, il cannibale, è sostenuto da tali e tanti cavalli da non essere in grado perforo di gestire la stanchezza, e di superarla. Non c’è un precedente nella storia del tennis anche perché quello che si gioca oggi ha poco in comune sul piano della velocità di palla e delle possibilità psicofisiche dei giocatori, con lo sport che si è giocato nei diversi passati che ci sono alle spalle. Nole è un Lendl che si non si strappa le sopracciglia e che guarda al mondo con maggior respiro; un Courier capace di far suonare alla propria racchetta suoni diversi e non solo il toc della mazza da baseball; un Vilas meno innamorato della poesia ma più capace di elevare il proprio ritmo durante lo stesso scambio. Ed è tutti questi personaggi (e molti altri: giocate pure a trovare riferimenti) messi assieme. Non frequenta la rete se non quando vi è costretto: ma quando è Il si difende ed è maestro nel trasformare una palla corta in un colpo vincente. Anche quando la palla è corta davvero e non come quella che un disperato Murray gli ha offerto più per farsi trafiggere che altro. Per questi e per altri motivo Djokovic è oggi il tennista che più di ogni altro ha nella faretra le frecce necessarie per conquistare lo Slam. Che è un titolo-non-titolo capace di consegnarti alla storia più di qualunque altro e più di qualunque altro numero. Un anno è lungo, direte voi: e se incappasse in un’altra giornata folle come la finale di Parigi 2015? E se Federer a Wimbledon traesse dalla erba quel tanto che oggi gli manca per metterlo in difficoltà? Tutto vero. Ma nessuno ha mai potuto mettere sul piatto un motore così affidabile come il suo. Merita di arrivarci, allo Slam.

 

Djokovic al bacio

 

Alberto Giorni, il Giorno del 1.02.2016

 

Ormai è diventata un’abitudine. Al punto che, dopo l’implacabile ace sul matchpoint, la sua esultanza si limita a un sobrio pugnetto. La novità è il bacio che Novak Djokovic stampa sul cemento amico della Rod Laver Arena, mentre a Wimbledon di solito si spinge ad assaggiare qualche filo della sacra erba del Centre Court. Cambiano le latitudini, ma non il risultato: l’inarrestabile serbo firma il sesto Australian Open come Roy Emerson, che però negli anni ’60 aveva una concorrenza infinitamente minore. Anche coach Boris Becker, in genere una sfinge, per una volta non nasconde la felicità. Qui non c’è spazio per sorprese in stile Serena Williams. Se il n 2 del mondo, Andy Murray, dà il massimo e si arrende in tre set (6-1, 7-5, 7-6), il messaggio è scoraggiante per tutti gli altri. Se Djokovic non perde neanche quando in cattiva giornata colleziona 100 errori gratuiti negli ottavi con Simon, non si vede chi in futuro possa fermarlo. Federer e Nadal sono in declino, Wawrinka di Novak Djokovic Cerco di non pensare ai record Il mio obiettivo è dare il massimo e scendo in campo convinto di vincere ogni match è discontinuo e i più giovani, da Raonic a Dimitrov, devono ancora spiccare il salto di qualità. RAGGIUNTI Borg e Laver a 11 Slam, Nole punta ai 14 di Nadal e Sampras, e il record assoluto di Federer (17) appare alla sua portata. Seguace della dieta senza glutine, il numero 1 non vede l’ora di saziarsi con il Roland Garros, che lo ha sempre respinto pen) i tempi sono maturi per cancellare l’unico vuoto nel palmarès. Sulla strada del Grande Slam ufficiale, a Parigi potrebbe intanto chiuderne uno spurio, timbrando i quattro grandi appuntamenti in fila ma non nello stesso anno. Ha una striscia aperta di 7 tornei vinti, 21 match nei Major e ulteriori traguardi lo attendono: gli manca una finale per eguagliare le 18 consecutive di Lendl e un milione di dollari per agganciare Federer nel prize money (96,8 contro 97,9). Il primo set della finale di ieri era parente stretto dei primi due con Federer: un massacro. Più equilibrati gli altri, ma nei momenti decisivi Djokovic ha imposto la sua if Andy Murray Sono state settimane dure per me fuori dal campo ora voglio tornare a casa dalla mia famiglia legge nell’intenso braccio di ferro da fondocampo; non è un caso se nel tiebreak ha messo a segno un ace e un servizio vincente, invece Murray ha fatto autogol con due doppi falli. E’ la quinta finale persa a Melbourne dallo scozzese («Questa situazione non mi è nuova», ha ironizzato nel ricevere il piatto dello sconfitto), già salito sul primo volo per Londra per raggiungere la moglie Kim e assistere alla nascita del primogenito. Il figlio di Djokovic, Stefan, ha un anno e tre mesi e riconosce il papà in tv, come testimonia un tenero video pubblicato da mamma Jelena su Twitter. «Auguri a te e a Kim — le parole del serbo all’amico Andy—. Da 15 mesi sto giocando il miglior tennis della mia vita. Gli 11 Slam? Cerco di non pensare ai record e a dove posso arrivare. Il mio obiettivo è dare il massimo e scendo in campo convinto di poter vincere ogni match». Sognando già il primo bacio alla terra promessa di Parigi.

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