Sara show sulle orme di Roberta (Semeraro). Roberta chiama, Sara risponde (Giorni). Errani in trionfo: domina a Dubai. E in classifica è un'Italia super (Crivelli)

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Sara show sulle orme di Roberta (Semeraro). Roberta chiama, Sara risponde (Giorni). Errani in trionfo: domina a Dubai. E in classifica è un’Italia super (Crivelli)

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Sara show sulle orme di Roberta (Stefano Semeraro, Corriere dello Sport)

Si osservano, si copiano e, così facendo, si spingono a vicenda. Una settimana fa era toccato a Roberta Vinci prendersi a San Pietroburgo il primo torneo “premier” della carriera, rovinando in finale la festa a Belinda Bencic, la baby-Hingis appena entrata fra le Top 10. Ieri Sara Errani, ex-compagna di doppio di Roberta nelle scorpacciate di Slam degli anni scorsi, l’ha imitata nell’altro “premier” di Dubai: 6-0 6-2 alla ceca Barbora Strycova e nono titolo incassato in carriera, a un anno giusto dall’ultimo trofeo conquistato a Rio (anche questo sul cemento). Due premier in sette giorni per il nostro tennis: mica male, no? «E’ una vittoria inaspettata per me», ha spiegato la romagnola dopo essersi asciugata gli abbondanti lacrimoni sparsi alla fine del match, quando era corsa a tuffare il viso nelle braccia di Pablo Lozano, il coach-quasi-fratello che la segue da sempre. «Tu fai sempre in modo di farti trovare preparata, ma non sai mai come andrà, l’unica cosa che so è che sono pronta a soffrire anche quando in campo attraverso dei brutti momenti». Negli ultimi mesi Sara in effetti qualche burrasca l’ha attraversata. I risultati stentavano ad arrivare e la classifica slittava un po’; poi la delusione agli Australian Open quando, dopo la sconfitta inaspettata al primo turno contro la Gasparyan, aveva confessato di sentirsi troppo tesa, nervosa, quasi a secco di motivazioni. Le due sconfitte in Fed Cup con la Francia a Marsiglia avevano aggravato la situazione. «Sono sorpresa da questa finale, non mi sento in forma, ci sono altre che giocano meglio di me», aveva ribadito anche dopo la semifinale vinta nel Golfo contro la n.21 del mondo Svitolina. Ma Sara, da buona romagnola, è una che sa trovare dentro di sé risorse nascoste, segrete. Inaspettate, appunto. E potrebbe non essere così azzardato immaginare che a darle una dose di mordente in più sia stato il grande momento che sta attraversando Roberta Vinci. Da domani, grazie alla sconfitta precoce della Suarez Navarro proprio a Dubai, Roberta diventerà la quarta italiana della storia ad entrare fra le Top 10, piazzandosi alle spalle dell’altra ragazza di Puglia, Flavia Permetta, ancora n.9 nonostante il ritiro. Sara, con la vittoria a Dubai – la n. 70 in un torneo Wta del nostro tennis e il quinto in un Premier di una azzurra – risale al n.17 del ranking, e si piazza anche al 10 posto nella Race, la classifica che conta solo i risultati della stagione in corso, nella quale Roberta è oggi n.7. Il gioco di parole viene da sé: Vinci tu, che vinco anch’io. E chissà che a forza di sostenersi, motivarsi, spingersi a distanza le due ex-Cichis non decidano di rimettere insieme la premiata ditta in vista dell’Olimpiade. A fine anno scorso Roberta non lo aveva escluso; Sara non ne parla, ma il progetto potrebbe essere meno irrealizzabile di quello che si pensa. Le due, che in teoria avrebbero dovuto incrociarsi al secondo turno in Dubai questa settimana, sono di nuovo in tabellone insieme la prossima settimana a Doha, anche se da parti opposte. L’effetto domino scatenato dagli exploit di Roberta sembra essere arrivato anche all’altro capo del mondo. A Rio de Janeiro infatti l’eterna Francesca Schiavone, a 35 anni si è guadagnata la 18^ finale della carriera battendo 6-3 6-3 la croata Petra Martic. Assorbita la delusione del record di Slam consecutivi mancato a Melbourne, la Leonessa ha ricominciato a creare gioco, e dovesse vincere il torneo rientrerebbe fra le prime 100 del mondo. Mai dire mai, con le ragazze del nostro tennis.

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Roberta chiama, Sara risponde (Alberto Giorni, Il Giorno)

Roberta chiama, Sara risponde. Le (ex) amiche si passano il testimone: una settimana fa la Vinci ha trionfato a San Pietroburgo, guadagnandosi per la prima volta l’ingresso in top-ten, ieri è toccato alla Errani sollevare il trofeo di Dubai. Il nono titolo della splendida carriera della romagnola, il primo di categoria Premier, è di grande significato. Le sconfitte patite agli Australian Open e in Fed Cup ci avevano restituito una Errani sfiduciata, senza la voglia di combattere che le aveva consentito una scalata ai piani altissimi del circuito. Stavolta invece ha reagito da campionessa, cambiando marcia e interrompendo il digiuno che durava dalla vittoria a Rio de Janeiro di dodici mesi fa. Il tabellone le ha dato una mano, perché tutte le teste di serie sono uscite a sorpresa prima dei quarti di finale, ma Sara è stata brava a non lasciarsi sfuggire l’occasione di tornare tra le prime venti del ranking (salirà al n.17). Si è trovata in grande difficoltà al primo turno contro la cinese Zheng, quando era in svantaggio 1-5 nel primo set, e quella rimonta le ha dato la forza di arrivare fino in fondo. La sua avversaria in finale, la ceca Barbora Strycova n.47 del mondo, è riuscita a racimolare solo due game (6-0, 6-2) in un match a senso unico durato poco più di un’ora. Sul cemento degli Emirati, l’azzurra è scesa in campo molto concentrata, facendo subito il vuoto. A livello tecnico, questa settimana ha cambiato il movimento del servizio tornando a quello intero, più fluido, e probabilmente questo ritorno al passato le ha giovato. Sempre padrona del campo con i suoi dritti penetranti, Sara ha portato a casa otto game consecutivi, prima che la fallosa Strycova (43 errori gratuiti in totale) ne conquistasse uno, sottolineato dagli scroscianti applausi del pubblico che sperava in una partita più equilibrata. Invece la nostra giocatrice è tornata a dominare con qualche patema solo alla fine, chiudendo al quinto match-point grazie all’ultimo errore di dritto della ceca. Eloquenti le lacrime di felicità e il lungo abbraccio con il coach Pablo Lozano: «E’ una gioia incredibile — ha detto una raggiante Sara —. E’ stata una settimana difficile e ho provato a restare calma, a non pensare a quello che stava succedendo. E’ stata dura vincere gli ultimi punti, c’era un po’ di nervosismo, ma è andata bene». Intanto, a parecchie migliaia di chilometri di distanza, arriva un altro acuto azzurro. L’eterna Francesca Schiavone approda in finale a Rio de Janeiro grazie al successo 6-3, 6-3 sulla croata Petra Martic, undici anni meno di lei: la leonessa ha ancora voglia di ruggire.

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Errani in trionfo: domina a Dubai. E in classifica è un’Italia super (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)

Come accade spesso nei momenti difficili, il piacere arriva alla fine. E così, al culmine di una settimana in altalena, iniziata con la piccola galleria degli orrori dei primi sei game contro la semisconosciuta cinese Zheng e poi passata attraverso tanti sprazzi di antico splendore alternati a rimonte da brividi, è la finale il momento più dolce a Dubai per la piccola Sara. Il primo torneo Premier in carriera, come appena successo alla Vinci a San Pietroburgo (un caso?) e il cognome Errani, che va ad aggiungersi a una serie di campionesse da far accapponare la pelle, dalla Hingis alla Mauresmo, dalla Henin a Venus Williams, tutte vincitrici prima di Sarita. Questo per dare il senso di un’impresa, anche se l’epilogo diventa un monologo romagnolo fin dal primo scambio contro la ceca Strycova, che possiede gioco variato e potenza da protagonista di prima fascia, ma fatica a trovare il campo e ad uscire dallo scambio quando la ragnatela costruita da Sara la costringe a provare soluzioni di forza. I primi sette punti sono della Errani, il primo set non ha storia e il secondo vive un po’ più a lungo solo per qualche fiammata della numero 47, che però non riuscirà mai a schiodare Sara dalla riga di fondo e mai la turberà in risposta, se non per una sola palla break prontamente annullata. Ecco, il rendimento al servizio è uno dei segni della rinascita: la Errani, tornata al movimento più fluido pre-rivoluzione del 2014, mette il 91% di prime e ottiene il 72% di punti, sintomo di ritrovata sicurezza. E poi, come ai bei tempi, non molla un 15, fino all’apoteosi dell’abbraccio con lacrime a coach Lozano, una sorta di liberazione. E’ il nono torneo vinto in carriera, il più importante per blasone e probabilmente per significato, dopo un brutto avvio di stagione, quando nella sua testa si facevano spazio troppi pensieri e troppe pressioni: «E una gioia incredibile, un titolo inaspettato per me. Lavori per essere pronta per i match ma non sai mai in quali giorni giocherai meglio o peggio. L’unica cosa che so è che ero pronta a soffrire, a restare in campo anche nei momenti brutti». Che non sono mancati: «E’ stata una settimana dura, senza dubbio. Perciò non ho parole, e ho tante persone da ringraziare, dallo staff alla mia famiglia». Per stemperare la tensione, Sara ha anche cantato durante i primi quattro match point: «E’ vero, ho cercato di non pensarci troppo, avevo un grande vantaggio nel punteggio, però quelli sono stati i momenti in cui ho avvertito più nervosismo, non è mai facile chiudere le partite: ma sono rimasta concentrata su ogni punto». Dopo un anno, dal successo a Rio, c’è un bel sorriso a incorniciare il volto di Sara, che da domani sarà numero 17 in classifica. L’Italia in rosa avrà tre giocatrici tra le prime venti (di cui due tra le top-ten), ennesimo trionfo sportivo di un movimento capace di trovare nel lavoro, nell’esempio e nella spinta reciproca il combustibile per non smettere di vincere e sognare: nel 2009, quando Flavia entrò per la prima volta tra le magnifiche dieci, nessuna italiana c’era mai riuscita e nessuna italiana aveva mai giocato una finale Slam. Da allora, abbiamo avuto quattro top ten e quattro finaliste nei Major, perché come ama spesso ripetere capitan Barazzutti, «sono quattro ragazze molto forti, che giocano molto bene a tennis, ma soprattutto sono donne di qualità con valori e principi». E allora godrà per le notizie che arrivano dalla terra rossa di Rio, dove Francesca Schiavone raggiunge la prima finale dopo tre anni (Marrakech 2013), a dimostrazione che la fenomenale generazione che ha portato alla causa quattro Fed Cup e alcuni dei trionfi più belli del nostro sport può volare più forte dell’età e dell’inevitabile declino. Soprattutto, vorremmo che non finisse mai.

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