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Tornei scomparsi. Bari, Genova e Firenze: l’altra Italia del tennis

La nostra rubrica sui tornei scomparsi fa tappa in Italia. Ripercorriamo con un po’ di nostalgia la storia dei tornei di Firenze, Bari e Genova

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All’Italia va ancora meglio l’anno dopo, quando a giocarsi il titolo sono due azzurri, di cui uno dal cognome illustre. Otto anni dopo infatti c’è nuovamente Panatta in finale ma, naturalmente, non si tratta di Adriano (che nel frattempo ha appeso racchetta e scarpette al fatidico chiodo) bensì il fratello Claudio, a cui gli organizzatori hanno concesso una wild-card. Sono due sudamericani i favoriti di quell’edizione: l’argentino Alberto Mancini e il peruviano Jaime Yzaga, ovvero due specialisti del rosso (soprattutto il primo, che l’anno seguente vincerà a Montecarlo e Roma) e invece le luci della ribalta sono tutte per Panatta e Massimiliano Narducci. Marchigiano di Ascoli Piceno, Max non vince una partita da due mesi e arriva a Firenze con poco credito ma qui si trasforma a batte tre specialisti come Marcelo Filippini e i peruviani Yzaga e Arraya prima di trovare “Panattino”. Il fratello di Adriano compie il suo piccolo capolavoro eliminando nei quarti Pedro Rebolledo prima di trovarsi di fronte lo statunitense Lawson Duncan, che ha battuto a sorpresa Mancini. Claudio centra la finale, la inizia da protagonista incamerando il primo set ma alla lunga deve arrendersi a Narducci che, con il suo unico titolo in carriera, fa un balzo in classifica di oltre sessanta posti ed entra nella top-100 (77).

Un paio dei nomi appena citati ritorneranno in auge nelle ultime edizioni del torneo. Duncan, un americano della North Carolina che ha una predilezione per la terra rossa, perderà di un soffio la finale del 1990 contro lo svedese Magnus Larsson, emerso dalle qualificazioni; sarà la sesta e ultima finale persa nel circuito da Lawson, che non ebbe mai la soddisfazione di sollevare il trofeo del vincitore nel circuito ATP. L’altro è Marcelo Filippini, con cui la storia di Firenze si chiude. Siamo nel 1994 e l’uruguagio di Montevideo sconfigge in finale un’altra anomalia tennistica, ovvero un australiano che ama la terra: Richard Fromberg.

In mezzo, il triennio da dominatore di Thomas Muster. Adesso il torneo si gioca tra il Roland Garros e Wimbledon e, per chi non è particolarmente interessato all’erba, può essere una buona occasione per vincere partite e intascare dollari.
La prima volta che si presenta a Firenze, Muster è un giocatore che ha perso 100 posizioni nette in classifica nel breve giro di un mese e mezzo (dal 22 aprile al 10 giugno). La spiegazione è semplice: nel ’90 il mancino di Leibnitz aveva fatto finale a Montecarlo, vittoria a Roma e semifinale al Roland Garros; nel ’91 primo turno a Montecarlo e Parigi, terzo a Roma. Naturalmente Thomas non è testa di serie ma nessuno sano di mente sarebbe felice di trovarselo davanti e infatti, pur partendo sotto di un set in tutti i match dal primo turno alla finale, raggiunge l’amico-nemico e connazionale Horst Skoff (che è la prima testa di serie) e torna a batterlo dopo averci perso per cinque volte consecutive.
Le cose vanno meglio, per Muster, nel ’92 e nel ’93. In entrambe le occasioni l’austriaco chiede la wild-card agli organizzatori toscani dopo le delusioni parigine; al Roland Garros è sempre Jim Courier a buttarlo fuori (rispettivamente al secondo e quarto turno) e allora Firenze si trasforma in un brodino caldo per alleviare il dolore. A contendergli i titoli sono Renzo Furlan (1992) e Jordi Burillo (1993). Furlan, veneto di Conegliano, ha 22 anni compiuti da qualche settimana quando trova a Firenze la terza finale italiana nel giro di un mese (Bologna e il challenger di Torino le altre) mentre l’anno dopo lo spagnolo proviene dalle qualificazioni nonostante due settimane prima avesse colto a Bologna quello che resterà il suo unico successo in carriera.

Nel 1995 il posto di Firenze nel calendario ATP viene preso dal torneo di Oporto, che avrà vita breve (appena due edizioni), mentre al Circolo Tennis Firenze continua la tradizione del torneo internazionale giovanile, giunto quest’anno alla 41esima edizione e che può vantare, nel suo albo d’oro, nomi del calibro di Rosset, Federer, Capriati, Hingis, Mauresmo, Safina e Halep, solo per citare i più famosi. Insomma, il ponte tra il passato e il futuro rimane aperto.

BARI

Il tennis a Bari vide i propri albori nei primi Anni ’20. C’era un solo campo ed era pubblico ed era in cemento, là vicino al pontile San Nicola dove, tra un torneo sociale e l’altro organizzato dallo Skating Club, ci fu anche spazio per una sfida internazionale tra la città pugliese e quella albanese di Tirana, con vittoria di Bari per 3-2. Insomma, una specie di “Davis dell’Adriatico”. Nel giro di qualche anno, con i praticanti che si moltiplicano come i pani e i pesci (e ad un certo punto ci si mettono pure le donne…), un campo solo non basta più e allora ecco la necessità di trovare nuovi spazi; in via Fieramosca ad esempio, dove la gloriosa società sportiva Angiulli fa costruire ben tre campi, con tanto di raccattapalle uno per campo.
Poi arriva la guerra, la seconda, e all’improvviso non c’è più tempo per pensare ad altro. Fino agli Anni ’50, quelli della ripresa e della ricostruzione, del ritorno alla vita e allo sport. Nel 1957 c’è un altro trasloco, l’ultimo; il Circolo Tennis Bari prende dimora in via Martinez e lì inizierà la sua ascesa che culminerà negli Anni Ottanta con l’organizzazione di un torneo internazionale.

I primi tre tornei sono altrettanti challenger. Si parte nel 1981 con 25.000$ di montepremi e un tabellone che annovera ben tre finalisti della Coppa Davis di cinque anni prima: Paolo Bertolucci, Antonio Zugarelli e il cileno Belas Prajoux. Bertolucci è il superfavorito e, pur lasciando per strada diversi set, arriva in finale ma qui incappa in un ungherese di 22 anni dal nome impronunciabile che lo travolge 6-4 6-0. Il primo campione di Bari è dunque Zoltan Kuharszky, che in seguito riuscirà a raggiungere un best-ranking di n°53 e prenderà cittadinanza in Svizzera.
L’anno dopo il torneo viene anticipato da settembre ad aprile e i primi due favoriti sono Balasz Taroczy e Tomas Smid. Il primo raggiunge la finale senza perdere nemmeno un set mentre il secondo si ferma nel turno precedente, sconfitto da un australiano più famoso come doppista: Paul McNamee. Il riccioluto bimane ha già fatto fuori mezza Italia (Zugarelli al secondo turno, Barazzutti nei quarti) e non si ferma nemmeno al cospetto delle prime due teste di serie che batte con un doppio 6-3 (Smid) e un doppio 6-2 (Taroczy).
Il 1983 è finalmente la volta di un italiano. Corrado Barazzutti onora il n°1 del seeded players lasciando per strada un solo set (al primo turno allo svedese Sandberg) e battendo in finale l’argentino Carlos Castellan per 6-0 6-1. Le prove generali sono terminate, Bari è pronta per il tennis che conta.

Nel 1984 il montepremi viene triplicato e portato a 75.000$. Il torneo trova uno sponsor (Kim) che dà nome al trofeo ed entra a far parte del Grand Prix come antipasto della stagione europea sulla terra rossa. Barazzutti vorrebbe difendere il suo titolo ma la compagnia è cambiata e i pretendenti alla vittoria finale sono di ben altro spessore rispetto all’anno precedente. Il futuro CT azzurro è il quinto favorito ma al secondo turno perde 7-6 al terzo con il qualificato Gabriel Urpi. Altri nomi illustri ci lasciano le penne anzitempo; è il caso dell’argentino Clerc (1) che perde subito con il tedesco Maurer e Pablo Arraya (3, sconfitto al secondo turno dallo statunitense Freeman). Così alla fine ad iscrivere il proprio nome nell’albo d’oro è Henrik Sundstrom, futuro n°6 del mondo e alla prima di tre settimane consecutive di gloria; dopo Bari, lo svedese perderà in finale a Nizza e vincerà a Montecarlo per un parziale di 14 vittorie e 1 sconfitta.

Italia e Svezia si alterneranno nell’albo d’oro per altre tre edizioni. L’85 è l’anno dell’unico successo in carriera per Claudio Panatta, che abbiamo già visto sopra finalista a Firenze (ma tre anni dopo). I favoriti sarebbero Cancellotti e l’argentino Martin Jaite ma “Panattino” in Italia si trova particolarmente a suo agio (oltre a Firenze, giocherà anche la finale di Bologna sempre nel 1985) e nella settimana pugliese è anche abbastanza fortunato ad incontrare sulla sua strada, lui che è appena n°120 del mondo, ben quattro avversari (su cinque) con classifica peggiore della sua: il colombiano Viver (133), il connazionale e qualificato Pistolesi (592), lo spagnolo Lopez-Maeso (148) e, in finale, l’immancabile americano Lawson Duncan (127). L’unico rivale di rango è proprio Cancellotti (n°21 ATP) con il quale però Claudio si trova bene visto che l’ha già sconfitto in precedenza e tornerà a farlo in futuro.
Tre settimane più tardi, proprio grazie alla vittoria di Bari, Panatta volerà a New York per giocare il Tournament of Champions di Forest Hills e nei quarti farà tremare il n°1 del mondo John McEnroe, perdendoci solo al tie-break del terzo set dopo due ore e 48 minuti di partita. Ma di Forest Hills parleremo un’altra volta.

Tornando in Puglia, il 1986 è l’anno del diavolo, alias Kent Carlsson. Lo svedese, dai mille tic e dal dritto in top-spin che faceva fare alla palla mille giri al secondo (altroché Nadal…), perde appena cinque giochi nei primi tre incontri, poi in semifinale permette a Lopez-Maeso di trascinarlo al tie-break nel primo set (6-1 il secondo). La finale però è una battaglia perché Horacio de la Peña non a caso è chiamato “El pulga” ovvero la pulce e si arrende solo dopo trentasette giochi: 7-5 6-7 7-5.

Un altro italiano, Claudio Pistolesi, conquista a Bari l’unico trofeo in carriera e lo fa nel 1987 battendo in finale sotto un sole cocente il connazionale Francesco Cancellotti. “Credo di aver vinto grazie alla mia ottima forma fisica” dirà Pistolesi alla fine del match. I due azzurri si trovano in finale dopo aver eliminato le prime teste di serie; Pistolesi ha battuto Krickstein (2) 6-0 al terzo nel match d’esordio mentre Cancellotti, che è in tabellone grazie a una wild-card, si è imposto a Tulasne (1) nei quarti.

Nel 1988 i Campionati Internazionali di Puglia trovano collocazione nel calendario del Nabisco Grand Prix alla fine di settembre. Non è uno spostamento indolore, anche a causa del fatto che Bari diventa il terzo appuntamento, in ordine di montepremi, di una settimana che ha in programma anche il 415.000$ di Los Angeles e il 220.000$ di Ginevra. Nonostante ciò, la coppa finisce nelle mani di un futuro n°1 del mondo. Molti specialisti della terra rossa sono già tornati in Europa per disputare gli Internazionali di Spagna a Barcellona ed è proprio da lì, dove ha giocato e perso la finale, che arriva Thomas Muster. L’austriaco è ancora nella sua prima vita (sarà l’anno dopo che un ubriaco gli distruggerà il ginocchio a Miami) e domina la parte alta del tabellone rifilando 6-0 a destra e a manca (soprattutto a manca, lui che è mancino…) ma in finale deve recuperare un set di svantaggio all’uruguagio Marcelo Filippini prima di chiudere 7-5 al terzo.

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