Quando le belle storie di uno Slam possono essere anche italiane (video)

Editoriali del Direttore

Quando le belle storie di uno Slam possono essere anche italiane (video)

Da Alessandro Giannessi a Fabio Fognini a Paolo Lorenzi… aspettando Roberta Vinci e Andreas Seppi con curiosità

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US Open, day 2 – Ubaldo Scanagatta e Steve Flink (inglese)

Non c’è torneo che non proponga belle storie. Lo scorso anno qui ne abbiamo vissuta una assolutamente inattesa, fantastica e credo irripetibile. Facile capire che alludo alle fasi finali del torneo femminile, a Roberta Vinci che infrange il sogno di grande Slam di Serena Williams in semifinale, e alla finale tutta italiana con Flavia Pennetta che la vince e poi sorprende tutti annunciando il proprio ritiro. Un coup de theatre strepitoso e assolutamente inaspettato. Perfino per la sua amica Roberta Vinci.

Doppio chapeau a Flavia anche per aver resistito a mille sirene che la volevano spingere a rimangiarsi quella decisione nel miraggio olimpico.

Ma, anche se si tratta soltanto di primi turni e non di finali – c’è una bella differenza e lo so – devo dire che la vittoria odierna di Alessandro Giannessi, 26 anni e al suo primo tabellone di Slam, al suo primo tre set su cinque – se penso che io, mediocrissimo tennista, non ne ho giocati meno di 50… – e alla sua prima vittoria in cinque set, cinque anni dopo aver raggiunto il suo best ranking, n.126 ATP, dopo 12 anni di “cure federali” a Tirrenia, beh trovo che sia una bellissima storia. Umana e sportiva.

Giustissimo che il ragazzo che ha cominciato a giocare a 8 anni al tennis club di La Spezia, quello che negli anni Settanta aveva un bel nucleo di giocatori di seconda categoria, Paolini, Bonati, Benedetti (ho giocato credo contro tutti loro…), abbia pensato di ringraziare la FIT che lo ha aiutato come nessun altro, praticamente ancora oggi che ha 26 anni: lui si allena ancora a Tirrenia dove sbarcò quattordicenne, con Lorenzi (un esempio e un modello per tutti, visto che la sua carriera è praticamente “decollata” a 28 anni e a 35 anni ha vinto a Kitzbuhel il primo torneo diventando anche il n.1 d’Italia, sia pure per pochissimi giorni), con Gaio e con Napolitano che – ricorda Giannessi – “stanno cominciando a fare buoni risultati: Gaio ha vinto due challenger, Napolitano un “future” importante”.L’audio intero lo avete, ma io so che molti lettori sono pigri, o non troppo attirati dall’idea di ascoltare gli audio troppo lunghi, e quindi riprendo qui alcune delle cose che più mi sono rimaste impresse di quanto ha raccontato. Immaginate comunque che razza di grinta abbia avuto questo ragazzo dal gran dritto – ah se avesse avuto un rovescio all’altezza di quel dritto mancino avrebbe fatto sfracelli – se dopo essere salito a ridosso dei primi 100 a 21 anni per 5 lunghi anni si è ritrovato o su campi periferici di torneucci o a casa fra un infortunio e l’altro, il polso e il resto. “Ogni anno di attività costa sui 60.000 euro…ho imparato a gestirmi, ce l’ho fatta, ma un premio grosso come questo del secondo turno (oltre 77.000 dollari!) non l’ho mai neppure intravisto nei tornei ai quali ho partecipato fino ad ora”. Se moltiplicassimo 10 di quei 12 anni a 60.000 euro l’anno, il conto delle uscite riesce perfino a me: fa 600.000 euro. Come diavolo fa un ragazzo che non sia un figlio di papà? Capite perché tanti smettono? La bravura e la fortuna di Giannessi è stata quella di arrivare abbastanza in alto (n.126 appunto) a 21 anni e di riuscire quindi a strappare contratti abbastanza vantaggiosi per i campionati a squadre interclub sia in Italia sia nella Bundesliga tedesca. Con i soldi ricavati qua e là, con una decina di migliaia di euro ricevuti dalla FIT, con qualche premio pur modesto, Gannessi è riuscito a sbarcare il lunario, non si è arreso, ha tenuto duro e oggi vede i suoi sacrifici finalmente ripagati da un grande soddisfazione che lo inorgoglisce e, un tantino, in misera percentuale, lo ripaga anche economicamente.

Dopo tanti episodi sfortunati ha avuto il merito di passare le qualificazioni “e contro Sugita nelle quali ho faticato più che contro Kudla” e la fortuna di imbattersi in un tennista, Kudla appunto, che è solo n.128 del mondo (due posti dietro a quello che era lui…anche se oggi Alessandro è soltanto n.243). Meglio di così per un primo turno di Slam non poteva capitargli. Oltretutto Kudla non è un marcantonio che ti bombarda di cannonate di servizio e nel quinto set ha pagato il sole e il caldo cominciando a svomitazzare un po’ dappertutto. È insomma crollato, sebbene il match sia durato 2 ore e 48 minuti, non le 4 ore e 47 minuti di Fognini-Gabashvili (altra bella storia azzurra di oggi, con la rimonta del nostro da sotto due set a zero e 3 volte a due punti dalla sconfitta).

Insomma, come dimostra l’esempio Lorenzi, non bisogna mai demordere se si vuole davvero arrivare. Lorenzi aveva…

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