Viva il tetto... e il neo n.35 ATP Paolo Lorenzi. Ammirevoli anche Giannessi e il n.2 d'Italia Fognini

Editoriali del Direttore

Viva il tetto… e il neo n.35 ATP Paolo Lorenzi. Ammirevoli anche Giannessi e il n.2 d’Italia Fognini

Storie di tetti, rumori, piogge e sfide azzurre contemporanee. E oggi Roberta Vinci con la Witthoeft: un’occasione

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Venus e Serena hanno vinto, Andy Murray ha vinto, Del Potro ha vinto, ma più di loro ha vinto il tanto sospirato tetto retrattile da 150 milioni di dollari che il 15 agosto del 2013 i dirigenti dell’USTA – la federtennis americana – finalmente si erano decisi ad approvare dopo 10 anni di tentennamenti nell’ambito di un complesso di spese di ristrutturazione quattro volte più ampio: 600.000 dollari.

Questo tetto, sia chiaro, amplifica qualsiasi tipo di suono, anche quando non è chiuso, in maniera pazzesca. Solo chi ricorda i primi anni di Flushing Meadows, quando ogni 55 secondi gli aerei in decollo dal contiguo aeroporto Fiorello La Guardia, coprivano il suono dell’impatto della palla sulla racchetta ed era impossibile sentire sia i grunts di Monica Seles che le parole del proprio vicino di sedia, può ricordare un rumore più assordante, molto più di un forte brusio.

Fu il sindaco di colore David Dinkins, ispirato dall’amico Arthur Ashe – primo vincitore di colore dell’US open a Firest Hills 1968 e a Wimbledon 1975 – a costringere le autorità aeroportuali locali a cambiare la traiettoria del decollo, per evitare che i Jumbo passassero tutti sopra al Louis Armstrong facendo un frastuono oggettivamente insopportabile. Chi non l’ha vissuto non può immaginarselo. Non era comparabile neppure al rumore di questi giorni, sebbene qui in questi giorni un po’ tutti i giocatori che hanno avuto la ventura di giocare sul centrale a spalti gremiti– loro negli anni Ottanta-Novanta non c’erano -se ne siano lamentati, pur sapendo che in questo caso c’è ben poco da fare.

Dovrebbero star zitti gli spettatori, ma nonostante i ripetuti “Quiet please!” dei vari arbitri, tutti sappiamo bene che si tratta di una “mission impossible”. Gli americani, al baseball, al football e anche al tennis, parlano, urlano, si chiamano, rispondono al telefono, mangiano, si muovono in continuazione. In altre parole se ne fregano di dar seguito agli appelli degli arbitri. Mica siamo a Wimbledon!

Tuttavia meno male che finalmente questo benedetto tetto c’è. Altrimenti nella quarta giornata dell’US Open non si sarebbe giocato neppure un punto prima di cinque ore. Lo si è giocato soltanto sull’ Ashe Stadium, sotto a quel tetto – inaugurato “storicamente” da Rafa Nadal e Andreas Seppi, quando l’hanno chiuso completamente in appena 5 minuti e 35 secondi suscitando la standing ovation dei 19.000 spettatori presenti sul 3 pari del secondo set – dove la Halep ha potuto battere la Safarova, Murray Granollers, Venus Williams la Goerges. Poca roba, e pure abbastanza scontata, ma almeno fino alle 16 e 50 locali, un pochino di tennis si è potuto seguire, noi qui, i telespettatori a casa, mentre fuori su tutto il Queens diluviava.

Vale la pena ricordare che in Australia il primo campo con il tetto, utile a combattere sia la pioggia sia il caldo, era stato approntato nel 1989, a Wimbledon sul leggendario centre court 20 anni dopo nel 2009, mentre al Roland Garros, dopo mille rinvii, si spera di averlo pronto per il 2020.

Fra il 1978 – quando l’US Open aveva abbandonato Forest Hills per trasferirsi a Flushing Madows – e il 2007, l’US open aveva goduto di una bella dose di fortuna. Pochissime giornate di pioggia e non nelle fasi finali del torneo. E poca lungimiranza quando il nuovo grande stadio, l’Arthur Ashe, era stato inaugurato nel 1997. La jella è arrivata tutta insieme. Dal 2008 al 2012 cinque finali consecutive sono state rinviate al lunedì per via della pioggia.

Nel 2007, ultima finale giocata regolarmente di domenica, l’audience televisiva era stata di 5.4 milioni di telespettatori. Nelle cinque finali giocate al lunedì, non si è mai più arrivati ai 4 milioni di telespettatori.

Quanti soldi abbia perso la USTA – che ha dovuto pagare più di 5.000 persone per un giorno in più, e penali agli sponsor per il diverso costo degli sport televisivi fra il lunedì e la domenica – non è dato sapere con precisione. Ma certamente parecchi milioni di dollari per un torneo che ormai ne procura 250 se tutto va bene (e di ciò si lamentano i tennisti più “sindacalizzati” come Gilles Simon “perchè il nostro montepremi non supera il 6 per cento… sebbene i protagonisti siamo noi”).

Paolo Lorenzi avrebbe dovuto giocare secondo match della giornata, Fabio Fognini e Alessandro Giannessi il quarto sui rispettivi campi. È andata a finire che hanno giocato tutti e tre contemporaneamente, mettendo a dura prova chi volesse seguirli tutti. Meno male che con Ubitennis potevo contare su 5 persone più il fotografo. Così Vanni Gibertini ha seguito Lorenzi, Ferruccio Roberti Fognini, Chiara Gheza e Luca Baldissera Giannessi, il fotografo Roberto dell’Olivo è corso da un campo all’altro.

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