Lo avremmo scoperto tutti un paio di giorni dopo, che la schiena di Roger Federer, in quell’agosto canadese, era al limite. E infatti, in finale arrivò la contrattura, e di conseguenza il titolo del Masters 1000 di Montreal andò – peraltro assolutamente in modo meritato – ad Alexander Zverev.
11 agosto 2017: qualche ora prima del quarto di finale contro Roberto Bautista Agut, e previa amichevole contrattazione con uno steward dell’Uniprix Stadium, cui ho giurato su tutte le mie racchette da tennis che non avrei disturbato e che non avrei fatto un singolo passo durante gli scambi, ma avrei solo documentato il gioco, ero andato a vedere come se la cavava il vecchiaccio malefico. Riguardando col senno di poi le immagini, di per sè straordinarie (non capita spesso di stare in campo con Federer), avrei dovuto accorgermene prima, dei movimenti un po’ trattenuti dello svizzero. Che però, durante i training, è uno decisamente “rilassato” e scherzoso di suo, difficile vederlo spingere al limite. Ma la circostanza particolare, ovvero una leggenda vivente del nostro sport che più o meno giocoforza colpisce quasi solo “di braccio”, cercando la massima scioltezza dei movimenti per salvaguardare la schiena, diventa la premessa per uno spettacolo tecnico magnifico. Che andiamo subito a vederci insieme, tornando per un poco nell’estate del Quebec.
Qui sopra, semplicemente qualche minuto di Roger che palleggia, di fianco, dall’inizio dell’allenamento. Lo sparring partner era Filip Peliwo, giovane canadese (23 anni) che dopo una gran carriera da junior non è mai riuscito a sfondare tra i pro. Ormai Federer non serve più descriverlo o analizzarlo, basta ammirarlo, le sbracciate fluide, i passetti rapidi, tutto fatto con la massima leggerezza e senza strappi per non sollecitare la muscolatura dolorante. Leggerezza relativa, s’intende, vedendolo così sembra facile, ma partivano delle fucilate niente male.
Qui sopra, prima a velocità normale e poi al rallentatore, per meglio apprezzare i “numeri” che fa Roger, due combinazioni consecutive di servizio e demi-volée, sempre senza quasi caricare con la schiena, e usando pochissimo anche le ginocchia. Il primo ricamo in controbalzo, da fondocampo, non è nemmeno colpito di braccio, ma solo di mano e timing: su una buona risposta di Peliwo, Federer mette lì la racchetta di pura sensibilità, e produce una traiettoria felpata con taglio all’indietro che fa rimbalzare la palla tre volte prima della riga del servizio dall’altra parte della rete. Quella successiva, in un’azione di gioco simulata (in avanzamento, cercando il colpo, non tanto per metterci la racchetta), la piazza sempre smorzata in cross, dirigendo la palla con uno schiaffetto appena accennato di mano e polso, controllo totale, gesto minimo ma precisissimo.
Non lo so, per quanto ancora ce lo potremo godere, il vecchiaccio. Personalmente, sono sempre stato uno del partito “largo ai giovani”, o quantomeno che non vincano sempre gli stessi. Evviva Dimitrov che diventa grande, quindi, evviva Zverev che inizia una carriera da predestinato, evviva Goffin che mette in riga gente da 10-15 chili più di lui, evviva Shapovalov che spara rovesci a 300 all’ora, evviva Rublev che a 300 all’ora spara tutto, evviva testamatta Kyrgios che non si sa mai se giocherà da numero uno o da terza categoria. Ma quello che hanno fatto nel tennis, per il tennis, Roger Federer e Rafa Nadal, rimarrà certamente indimenticabile, e molto probabilmente insuperabile.