Cilic “figlio” di un coach sfuggitoci. Donne show e uomini da sbadigli

Editoriali del Direttore

Cilic “figlio” di un coach sfuggitoci. Donne show e uomini da sbadigli

MELBOURNE – Non poteva nascere di qua dall’Adriatico? È il primo croato in finale in Australia. Bob Brett un mago. Le incredibili “situazioni” di Halep e Wozniacki. E Federer dominerà Chung?

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AO 2018 presented by BARILLA: Finale Halep-Wozniacki, Cilic aspetta Federer o Chung

Chi vincerà fra Halep e Wozniacki? E ancora: chi vincerà fra Federer e Chung?

Pubblicato da Ubitennis su Giovedì 25 gennaio 2018

Marin Cilic non ha un tipo di tennis che trascina la folle, che fa registrare sold out al botteghino, però cari lettori di Ubitennis questo ragazzone croato super ben educato, sempre gentile, mai una parola o un gesto fuori posto, è davvero un signor giocatore e quando gioca bene fa paura, può battere chiunque. E ha già battuto chiunque. Tre finali di Slam non sono un scherzo. E su due una l’ha già vinta. Se pensiamo che noi italiani dai 50 anni in su siamo tutti vivamente nostalgici di Adriano Panatta per l’unico Slam da lui conquistato, e i più anziani ancora di Nicola Pietrangeli per i suoi due trionfali Roland Garros vinti in quattro finali, pensate un po’ a come ci esalteremmo oggi se Marin, anziché essere stato miracolato a Medjugorje, fosse nato a Loreto? Una Madonna, per di più dipinta dal Caravaggio, ce l’avevamo anche noi. Niente, a noi non ce ne va bene una. Due italiani infilano finalmente il corridoio giusto, ma negli ottavi ci mollano tutti e due, uno senza vincere neppure un set (Fognini), l’altro strappando il primo ma cedendo – pentito – gli altri tre a fila.

Ormai ci abbiamo fatto il callo. Marin è cresciuto tennisticamente – ben nove anni – con Bob Brett, l’australiano che aveva “tirato su” Boris Becker prima e Goran Ivanisevic poi. Con Marin è stato nove anni, mica uno. Difatti quando gli ho parlato del loro soggiorno nell’accademia di Bordighera, lo sguardo di Marin si è illuminato. In lui c’è anche un po’ d’Italia, consoliamoci  così. “Ho imparato tanto in Italia, ogni cosa, ogni cosa all’italiana – e se la ride il buon Marin sotto la barba – Mi allenavo con Bob e Bob mi ha insegnato tantissimo, sia sul tennis, sia sulla vita del tennista. Se sono il tennista che sono oggi lo devo a lui. L’ho rivisto qui, è stato a vedere alcuni miei match e a sostenermi. È stata una bella cosa. Penso di avere imparato molto da lui e Bob è grande… ha una grande conoscenza del gioco e mi ha spinto nella direzione giusta”. Nel sentire questa parole di Marin, per me assolutamente non sorprendenti, ho ripensato a tutte quelle volte che ho scritto che Bob Brett sarebbe stato il personaggio ideale per risollevare il tennis italiano dall’abisso in cui invece è rimasto per tutti questi quaranta anni. Ma figurarsi se i nostri dirigenti, prima Galgani e poi Binaghi, sarebbero stati in grado di capire la statura professionale di questo personaggio che ha aiutato a crescere campioni come Boris, Goran, Marcos (Baghdatis), Andrei (Medvedev), Nicolas (Kiefer) Mario (Ancic)  e Marin. Non a caso Bob era stato individuato come un gran tecnico, e una persona molto ma molto seria e preparata, da un vecchio marpione come Ion Tiriac che lo aveva scelto per affiancare prima Becker e poi Ivanisevic. Ma Bob aveva cominciato prima ancora con il team Rossignol, un gruppetto di cinque giocatori dai quali sono usciti fuori nomi come Mats Wilander, Andres Gomez e altri.

Bob è stato a suo tempo contattato dalla FIT, ma non è mai stato raggiunto un accordo e così lui ha preferito occuparsi della propria Accademia a Sanremo, dove vive più tranquillo senza doversi rapportare con dinamiche parapolitiche che per un tipo che vuol fare il suo lavoro con serietà non sono digeribili. È un peccato, davvero, avere avuto a portata di mano un uomo competente di questa qualità e non averlo persuaso a lavorare per il tennis italiano. Dopo 14 anni di Tirrenia e un centinaio di ospiti  stiamo ancora aspettando che esca un top 100. No, non ho messo uno zero in più per un refuso. Top 100, non top-ten. E Martin Mulligan, da sempre manager FILA, giustamente investe su chi ha la stoffa per emergere, da Borg in poi. Anni fa Martin, australiano che poteva interrompere il Grande Slam di Rod Laver perché ebbe nel ’62 il matchpoint a Parigi, “catturò” per la Fila Kim Clijsters che vinse l’US Open anche da mamma. Ora Cilic

Così mi ritrovo sempre a parlare delle imprese di giocatori di altre nazioni. Ora è saltato fuori perfino un coreano, questo Chung, dopo che avevamo visto apparire sullo scenario internazionale (ormai da qualche anno) anche un bulgaro, Grigor Dimitrov, mentre Cilic nasce in un Paese ben più piccolo dell’Italia dove dopo i quasi coetanei di Panatta (poco più anziani) Pilic e Franulovic, sono venuti fuori Ivanisevic, Ljubicic, Karlovic, Coric e lui, Marin Cilic. E lì vicino Djokovic… Ci sarebbero bastati un paio di questi croati per far voltare pagina al tennis italiano. Adesso anche gli inglesi hanno trovato un ventitreenne, Kyle Edmund che – sebbene dominato da Cilic in semifinale perchÈ ha avuto solo due palle break nel suo primissimo turno di servizio e per il resto non ha mai fatto tremare il gigante di Medjugorje (1,98cm) – è una sicura realtà del tennis internazionale. Non so se arriverà nei primi 10, ma nei primi 15 ce lo vedo sicuro.

E spostandomi sul singolare femminile, anche qui stendiamo un velo pietoso, dopo la fine del periodo d’oro delle quattro regine top-ten. In semifinale c’era una danese (Wozniacki) contro una belga (Mertens), una rumena (Halep) contro una tedesca (Kerber). Le nostre due azzurre ce le eravamo perse da mò, l’immarcescibile Francesca Schiavone al primo turno, Camila Giorgi al secondo. Che tristezza. Tre di quelle quattro ragazze in semifinale sono, sono state, saranno… n.1 del mondo. La quarta, la ragazza belga, Mertens era la sola che non aveva perso un set. Vestita da Lotto – e seguita immancabilmente da Veso Matijas-  è allenata da Kim Clijsters… e Caro Wozniaki era preoccupatissima di doverla affrontare perché con Kim non aveva mai vinto. Fatto sta che le ragazze di questa undicesima giornata dell’open d’Australia ci hanno fatto davvero divertire, diversamente dalla barbosissima semifinale maschile Cilic-Edmund.  Il tennis femminile sarà anche tecnicamente modesto, però è altamente imprevedibile. Non sai mai cosa aspettarti, può succedere di tutto. Anche nello stesso match.

La partita vinta dalla Halep sulla Kerber è stata forse la partita più interessante, divertente, del torneo. Continui capovolgimenti di fronte. E matchpoint di qua e di là. Sul 5-4 del terzo set per la Halep sul servizio della Kerber, sul 6-5 per la Kerber. Finchè ha vinto (9-7 nel set decisivo) l’attuale n.1 del mondo che dovrà mettere in palio la sua corona contro la n.2 in una finale dai contorni curiosi per tante situazioni contemporaneamente mai verificatesi: 1) Finale fra n.1 e n.2 del mondo. 2) Finale in cui chi vince sarà n.1 del mondo 3) Finale in cui chi vince conquisterà il suo primo Slam 4) Finale in cui entrambe le finaliste sono arrivate annullando matchpoint: la Halep addirittura in due diversi match, con la Davis al terzo turno vinto 15-13 al terzo set, e con la Kerber in questa semifinale ieri notte; la Wozniacki sotto 5-1 e 40-15 nel terzo set del secondo turno con la croata Fett 5) Infine si tratterà della prima finale all’Open d’Australia sia per Halep sia per Wozniacki. Che però di finali di Slam ne hanno già giocate altre due ciascuna, perdendole tutte.

Ho registrato un video, nella home inglese Ubitennis.net che vi pregherei di visitare più spesso, con il giornalista danese Thomas Christensen che ha raccontato cose a mio avviso curiose e interessanti su Caroline e suo padre Piotr.

Ogni giorno intervisto un collega straniero che racconta spaccati particolari su tennisti del proprio Paese… Qua a Melbourne cerchiamo sempre di offrirvi qualcosa di nuovo. Ieri per esempio ho “scoperto” che il nuovo allenatore di Chung, il sudafricano Neville Godwin – che giunse negli ottavi a Wimbledon un anno approfittando di un infortunio al polso che costrinse Boris Becker al ritiro – ha cominciato a lavorare con il tennista coreano solo perché la IMG lo ha contattato dopo che lui si era separato dall’altro sudafricano Kevin Anderson. E sapete chi era stato il coach di Godwin? Craig Tiley, sudafricano anche lui e oggi direttore dell’Australian Open… Incroci abbastanza curiosi. Come lo è quello di Roger Federer, 36 anni, con Hyeon Chung, 21 per noi (ma 23 per il calendario e le tradizioni coreane). Se Roger fosse… Lendl (ricordate Chang a Parigi ’89?) avrebbe di che temere: c’è solo una vocale di differenza, una u invece di una a, a suggerire un brutto presagio. Ma con 43 semifinali all’attivo si può avere paura di un esordiente coreano? 

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