Editoriali del Direttore
Cilic “figlio” di un coach sfuggitoci. Donne show e uomini da sbadigli
MELBOURNE – Non poteva nascere di qua dall’Adriatico? È il primo croato in finale in Australia. Bob Brett un mago. Le incredibili “situazioni” di Halep e Wozniacki. E Federer dominerà Chung?

AO 2018 presented by BARILLA: Finale Halep-Wozniacki, Cilic aspetta Federer o Chung
Chi vincerà fra Halep e Wozniacki? E ancora: chi vincerà fra Federer e Chung?
Pubblicato da Ubitennis su Giovedì 25 gennaio 2018
Marin Cilic non ha un tipo di tennis che trascina la folle, che fa registrare sold out al botteghino, però cari lettori di Ubitennis questo ragazzone croato super ben educato, sempre gentile, mai una parola o un gesto fuori posto, è davvero un signor giocatore e quando gioca bene fa paura, può battere chiunque. E ha già battuto chiunque. Tre finali di Slam non sono un scherzo. E su due una l’ha già vinta. Se pensiamo che noi italiani dai 50 anni in su siamo tutti vivamente nostalgici di Adriano Panatta per l’unico Slam da lui conquistato, e i più anziani ancora di Nicola Pietrangeli per i suoi due trionfali Roland Garros vinti in quattro finali, pensate un po’ a come ci esalteremmo oggi se Marin, anziché essere stato miracolato a Medjugorje, fosse nato a Loreto? Una Madonna, per di più dipinta dal Caravaggio, ce l’avevamo anche noi. Niente, a noi non ce ne va bene una. Due italiani infilano finalmente il corridoio giusto, ma negli ottavi ci mollano tutti e due, uno senza vincere neppure un set (Fognini), l’altro strappando il primo ma cedendo – pentito – gli altri tre a fila.
Ormai ci abbiamo fatto il callo. Marin è cresciuto tennisticamente – ben nove anni – con Bob Brett, l’australiano che aveva “tirato su” Boris Becker prima e Goran Ivanisevic poi. Con Marin è stato nove anni, mica uno. Difatti quando gli ho parlato del loro soggiorno nell’accademia di Bordighera, lo sguardo di Marin si è illuminato. In lui c’è anche un po’ d’Italia, consoliamoci così. “Ho imparato tanto in Italia, ogni cosa, ogni cosa all’italiana – e se la ride il buon Marin sotto la barba – Mi allenavo con Bob e Bob mi ha insegnato tantissimo, sia sul tennis, sia sulla vita del tennista. Se sono il tennista che sono oggi lo devo a lui. L’ho rivisto qui, è stato a vedere alcuni miei match e a sostenermi. È stata una bella cosa. Penso di avere imparato molto da lui e Bob è grande… ha una grande conoscenza del gioco e mi ha spinto nella direzione giusta”. Nel sentire questa parole di Marin, per me assolutamente non sorprendenti, ho ripensato a tutte quelle volte che ho scritto che Bob Brett sarebbe stato il personaggio ideale per risollevare il tennis italiano dall’abisso in cui invece è rimasto per tutti questi quaranta anni. Ma figurarsi se i nostri dirigenti, prima Galgani e poi Binaghi, sarebbero stati in grado di capire la statura professionale di questo personaggio che ha aiutato a crescere campioni come Boris, Goran, Marcos (Baghdatis), Andrei (Medvedev), Nicolas (Kiefer) Mario (Ancic) e Marin. Non a caso Bob era stato individuato come un gran tecnico, e una persona molto ma molto seria e preparata, da un vecchio marpione come Ion Tiriac che lo aveva scelto per affiancare prima Becker e poi Ivanisevic. Ma Bob aveva cominciato prima ancora con il team Rossignol, un gruppetto di cinque giocatori dai quali sono usciti fuori nomi come Mats Wilander, Andres Gomez e altri.
Bob è stato a suo tempo contattato dalla FIT, ma non è mai stato raggiunto un accordo e così lui ha preferito occuparsi della propria Accademia a Sanremo, dove vive più tranquillo senza doversi rapportare con dinamiche parapolitiche che per un tipo che vuol fare il suo lavoro con serietà non sono digeribili. È un peccato, davvero, avere avuto a portata di mano un uomo competente di questa qualità e non averlo persuaso a lavorare per il tennis italiano. Dopo 14 anni di Tirrenia e un centinaio di ospiti stiamo ancora aspettando che esca un top 100. No, non ho messo uno zero in più per un refuso. Top 100, non top-ten. E Martin Mulligan, da sempre manager FILA, giustamente investe su chi ha la stoffa per emergere, da Borg in poi. Anni fa Martin, australiano che poteva interrompere il Grande Slam di Rod Laver perché ebbe nel ’62 il matchpoint a Parigi, “catturò” per la Fila Kim Clijsters che vinse l’US Open anche da mamma. Ora Cilic
Così mi ritrovo sempre a parlare delle imprese di giocatori di altre nazioni. Ora è saltato fuori perfino un coreano, questo Chung, dopo che avevamo visto apparire sullo scenario internazionale (ormai da qualche anno) anche un bulgaro, Grigor Dimitrov, mentre Cilic nasce in un Paese ben più piccolo dell’Italia dove dopo i quasi coetanei di Panatta (poco più anziani) Pilic e Franulovic, sono venuti fuori Ivanisevic, Ljubicic, Karlovic, Coric e lui, Marin Cilic. E lì vicino Djokovic… Ci sarebbero bastati un paio di questi croati per far voltare pagina al tennis italiano. Adesso anche gli inglesi hanno trovato un ventitreenne, Kyle Edmund che – sebbene dominato da Cilic in semifinale perchÈ ha avuto solo due palle break nel suo primissimo turno di servizio e per il resto non ha mai fatto tremare il gigante di Medjugorje (1,98cm) – è una sicura realtà del tennis internazionale. Non so se arriverà nei primi 10, ma nei primi 15 ce lo vedo sicuro.
E spostandomi sul singolare femminile, anche qui stendiamo un velo pietoso, dopo la fine del periodo d’oro delle quattro regine top-ten. In semifinale c’era una danese (Wozniacki) contro una belga (Mertens), una rumena (Halep) contro una tedesca (Kerber). Le nostre due azzurre ce le eravamo perse da mò, l’immarcescibile Francesca Schiavone al primo turno, Camila Giorgi al secondo. Che tristezza. Tre di quelle quattro ragazze in semifinale sono, sono state, saranno… n.1 del mondo. La quarta, la ragazza belga, Mertens era la sola che non aveva perso un set. Vestita da Lotto – e seguita immancabilmente da Veso Matijas- è allenata da Kim Clijsters… e Caro Wozniaki era preoccupatissima di doverla affrontare perché con Kim non aveva mai vinto. Fatto sta che le ragazze di questa undicesima giornata dell’open d’Australia ci hanno fatto davvero divertire, diversamente dalla barbosissima semifinale maschile Cilic-Edmund. Il tennis femminile sarà anche tecnicamente modesto, però è altamente imprevedibile. Non sai mai cosa aspettarti, può succedere di tutto. Anche nello stesso match.
La partita vinta dalla Halep sulla Kerber è stata forse la partita più interessante, divertente, del torneo. Continui capovolgimenti di fronte. E matchpoint di qua e di là. Sul 5-4 del terzo set per la Halep sul servizio della Kerber, sul 6-5 per la Kerber. Finchè ha vinto (9-7 nel set decisivo) l’attuale n.1 del mondo che dovrà mettere in palio la sua corona contro la n.2 in una finale dai contorni curiosi per tante situazioni contemporaneamente mai verificatesi: 1) Finale fra n.1 e n.2 del mondo. 2) Finale in cui chi vince sarà n.1 del mondo 3) Finale in cui chi vince conquisterà il suo primo Slam 4) Finale in cui entrambe le finaliste sono arrivate annullando matchpoint: la Halep addirittura in due diversi match, con la Davis al terzo turno vinto 15-13 al terzo set, e con la Kerber in questa semifinale ieri notte; la Wozniacki sotto 5-1 e 40-15 nel terzo set del secondo turno con la croata Fett 5) Infine si tratterà della prima finale all’Open d’Australia sia per Halep sia per Wozniacki. Che però di finali di Slam ne hanno già giocate altre due ciascuna, perdendole tutte.
Ho registrato un video, nella home inglese Ubitennis.net che vi pregherei di visitare più spesso, con il giornalista danese Thomas Christensen che ha raccontato cose a mio avviso curiose e interessanti su Caroline e suo padre Piotr.
Ogni giorno intervisto un collega straniero che racconta spaccati particolari su tennisti del proprio Paese… Qua a Melbourne cerchiamo sempre di offrirvi qualcosa di nuovo. Ieri per esempio ho “scoperto” che il nuovo allenatore di Chung, il sudafricano Neville Godwin – che giunse negli ottavi a Wimbledon un anno approfittando di un infortunio al polso che costrinse Boris Becker al ritiro – ha cominciato a lavorare con il tennista coreano solo perché la IMG lo ha contattato dopo che lui si era separato dall’altro sudafricano Kevin Anderson. E sapete chi era stato il coach di Godwin? Craig Tiley, sudafricano anche lui e oggi direttore dell’Australian Open… Incroci abbastanza curiosi. Come lo è quello di Roger Federer, 36 anni, con Hyeon Chung, 21 per noi (ma 23 per il calendario e le tradizioni coreane). Se Roger fosse… Lendl (ricordate Chang a Parigi ’89?) avrebbe di che temere: c’è solo una vocale di differenza, una u invece di una a, a suggerire un brutto presagio. Ma con 43 semifinali all’attivo si può avere paura di un esordiente coreano?
Coppa Davis
Coppa Davis – La festa italiana è più gioiosa perché poteva essere un funerale. Ora non si esclude di poter vincere la Coppa Davis n.2
Il sorteggio delle finali martedì. A Malaga Italia fra le squadre più forti. Subito Olanda o Gran Bretagna.
Binaghi sogna una Davis con 4 singolaristi diversi, come aveva invocato Rino Tommasi. Meno male non siamo nella condizione della Svezia

Dalle stalle alle stelle, dall’Inferno al Paradiso? Sembrano luoghi comuni, ma in 72 ore, quando sono state rovesciate in modo rocambolesco non una ma tre partite con il Cile, siamo passati da una quasi certa bruciante eliminazione ad una qualificazione per le finali a 8 nazioni di Malaga dove – assenti Spagna, Stati Uniti e Russia – potremmo teoricamente conquistare addirittura la seconda Coppa Davis della nostra storia.
Il sorteggio sarà fatto martedì. Al momento non sappiamo in quale metà del tabellone capiterà l’Italia, ma sappiamo che nei quarti ci può capitare l’Olanda di Griekspoor e Van de Zandschulp o la Gran Bretagna di Murray ed Evans.
Squadre battibilissime per raggiungere le semifinali se saremo in grado di schierare i nostri migliori tennisti, il “figliol prodigo” Sinner in primis, Berrettini in secundis. Poi, certo, ci sarebbe la Serbia di Novak Djokovic in semifinale.
Insomma, credo che a due mesi di distanza da Malaga, se la Davis la si giocasse oggi, credo che la Serbia sarebbe la favorita per via del “mostro” Djokovic e della “bestia nera” dei nostri Djere (senza dimenticare Lajovic che, anche lui ama darci dispiaceri quando può).
Ma… insomma, quando si ascoltano le telecronache tennistiche di questi tempi i vocaboli più abusati sono “incredibile” e “pazzesco”…(insieme all’espressione “spesso e volentieri” anche quando il volentieri non ha alcun senso, ma viene detto comunque), ma devo confessare che qui a Bologna l’uso anche da parte mia di quei vocaboli mi sembra abbastanza giustificato.
Il giorno più…banale è stato certamente l’ultimo, non quello dello 0-3 con il Canada, non quello del 3-0 con il Cile. La Svezia era davvero poca cosa. Perderci una, due, tre partite non era possibile neppure in questa settimana…incredibile e pazzesca!
Leo Borg non ha demeritato contro Arnaldi, ma alla fine ha perso così come aveva perso le altre partite. E’ migliore del suo ranking, 334, ma del padre ha solo il cognome e il passaporto. E Matteo Arnaldi non poteva bagnare meglio il suo esordio che vincendo i due singolari in cui è stato impegnato, rimontando Garin e tenendo a bada Borg junior pur subendo un break nel terzo gioco che tradiva la sua comprensibile tensione.
Noi italiani siamo passionali per antonomasia, così come gli scandinavi – sarà pure uno stereotipo – vengono definiti …freddi.
E allora io mi chiedo come avremmo reagito noi con la nostra passionalità se ci fosse capitato quel che è accaduto al tennis svedese negli ultimi 25 anni.
Prima del ‘98 ultima finale vinta e ultima giocata dagli svedesi, 25 anni fa, la Svezia aveva vinto 7 Coppe Davis (1975, 1984,1985,1987,1994,1997,1998), non una come noi!
E fra l’83 e l’89 aveva giocato sette finali consecutive, vincendone quattro.
La loro ultima Davis l’hanno vinta per l’appunto a Milano 1998 contro l’Italia di Gaudenzi (che si fece male, malissimo, contro Magnus Norman nel set decisivo).
Credo di averle viste tutte, diverse anche commentandole in tv seppur non quella del ’96 a Malmoe quando Stefan Edberg fece il canto del cigno, chiudendo sfortunatamente con un infortunio la sua ultima finale con la Francia. Doppia sfortuna perché quella volta la Svezia ebbe tre matchpoint nel singolare decisivo con la Francia sul 2-2, ma Niklas Kulti finì per perdere con Arnaud Boetsch.
Il contrasto fra i successi svedesi e quelli italiani è stridente.
Non solo per 7 Coppe Davis a 1, ma per 25 Slam a 3: Borg ne vinse 11 (e chissà quanti ne avrebbe vinti se a 26 anni non si fosse stufato dei dirigenti della federtennis internazionale che lo volevano obbligare a giocare troppi tornei quando lui, antesignano dei tempi moderni, avrebbe voluto fare Federer, Nadal e Djokovic e giocare solo i tornei cui teneva, i Majors, qualche Masters 1000…che non si chiamava così), Wilander 7, Edberg 6, Johannson 1. 25 titoli colti in tutti gli Slam, tutte le superfici.
E L’Italia invece solo due di Pietrangeli e uno di Panatta tutti al Roland Garros.
E vogliamo misurare i top-10 svedesi contro quelli italiani?
Beh, 13 svedesi contro 5 italiani nell’Era Open (Più Pietrangeli prima di quell’Era…che sennò si arrabbia! Ma meritava di starci).
E della qualità di quei top-ten vogliamo parlare?
L’Italia ha avuto Panatta, best ranking n.4, Berrettini e Sinner best ranking n.6, Barazzutti n.7, Fognini n.9), la Svezia tre n.1 (Borg, Wilander e Edberg), un n.2 (Norman), tre n.4 (Soderling, Bjorkman e Enqvist, che era qui a Bologna), un n.5 (Jarryd), due n.6 (Sundstrom e Carlsson), due n.7 (Johansson e Nystrom), quattro n.10 (Larsson, Gustafsson, Pernfors e Svensson).
Ma da più di un ventennio (dal 2002 quando Thomas Johansson vinse l’Australian Open) gli svedesi non hanno praticamente più raccattato pallino.
Vi immaginate le polemiche che sarebbero sorte in Italia se fossimo stati vittime di tali continue debacle?
Se ci fossimo trovati a giocare in Davis con giocatori mezzo etiopi e mezzo italiani, così come i due Ymer sono mezzo etiopi e mezzo svedesi, salvo lanciare in squadra un…figlio di Panatta che fosse classificato n.334 del mondo.
Vabbè dai, allora non lamentiamoci. Stiamo molto meglio degli svedesi. Da un quarto di secolo, più o meno.
Ho raccolto, e ne parleremo diffusamente, 37 minuti di conferenza stampa di Angelo Binaghi, che abbiamo registrato sia in video sia in audio, e ne faremo sintesi anche testuale dopo che ne ho accennato sommi capi anche nel video che avete sul sito e su You Tube.
Sono d’accordo con Binaghi– udite udite! – sul fatto che se la Davis deve essere assimilata a un campionato del mondo non si possono usare per essa gli stessi parametri di quanto Dwight Davis andò a far coniare la Coppa che ha preso il suo nome nella celebre gioielleria di Boston Shreve&Low&Crump, anno del Signore 1900.
Se la Davis dovrebbe esaltare la profondità del movimento non può farlo basandosi su uno o due giocatori che da soli possono vincerla. Nel ’75 Borg la vinse praticamente da solo, due singolari ogni volta e il doppio con il gigante Ove Bengtson che era appena n.100 del mondo in singolare (quando il 100 di allora giocava come il 250 di oggi).
Binaghi ha ricordato che Rino Tommasi, come al solito ante litteram, aveva suggerito che ogni duello avrebbe dovuto consistere in 4 singolari e un doppio, ma che quei 4 singolari avrebbero dovuto essere giocati da 4 giocatori diversi. In altre occasioni Rino si era spinto più in là: sei singolari e 3 doppi, impegnando quindi 6-7-8 tennisti diversi.
Però Luca Marianantoni ha trovato dove Rino parlò di come sarebbe dovuta cabiare la Coppa Davis. Non l’ha scritto su uno dei suoi libri, ma sul mio Blog Servizi Vincenti, il padre di Ubitennis!
http://www.blogquotidiani.net/tennis/index574f.html?p=2446
Io sono d’accordo in linea di principio…con Tommasi e Binaghi (mai avrei detto che ci saremmo trovati tutti e tre sulla stessa linea!).
Ma aggiungo che si sarebbe dovuto studiare un regolamento diverso soltanto da applicare per le nazioni facenti parte del World Group.
Perché solo le prime 16 nazioni del mondo –e come abbiamo visto soltanto qui a Bologna con i casi del Canada, del Cile e della Svezia, e senza esaminare le squadre degli altri 3 gironi, purtroppo neppure tutte – possono avere 4 singolaristi “presentabili” televisivamente per una “Davis-WorldCup” che per conquistare sponsor milionari deve poter garantire audience di primissimo livello.
Se si mostrassero partite tipo Galarneau-Ymer (che erano i n.2, non i n.4 delle loro squadre!), ma anche Garin-Borg…ve l’immaginate l’audience televisiva mondiale? Le guarderebbero a fatica anche in Canada, Svezia e Cile!
Le tv vogliono mostrare solo le star, i n.1. Faticano a mostrare i n.2 che giocano fra loro. Figurarsi i n.3 e i n.4 di squadre deboli. Ma anche di quelle forti se …non hanno nomi reboanti.
Però è vero che qualcosa vada fatto. Le federazioni più ricche – l’Italia è fra queste come quelle che sono proprietarie di Slam o Masters 1000 – possono investire per allargare sempre di più la base, ma la Davis la giocano 170 Paesi e 160 fanno fatica a tirar su un giocatore, due giocatori.
Allestire squadre da 6 o 7 tennisti di buon livello teleguardabile per la stragrande maggioranza dei Paesi è dura, durissima, impossibile.
Ma la stessa ATP dovrebbe avere tutto l’interesse – anziché combattere la Davis come hanno tentato di fare anni fa con la creazione del doppione ATP Cup – a creare più “posti di lavoro” e introiti per singolaristi e doppisti.
Avremo modo di riparlarne. Dal 24 al 26 ci sono le elezioni dell’ITF e vedremo se David Haggerty verrà rieletto o prevarrà l’opposizione filo…tedesca (per la quale è schierata l’Italia).
Nel secondo caso è più facile che qualche riforma passi. Anche se alla base ci vogliono, più che le federazioni, i soldi degli sponsor e delle tv.
Intanto rallegriamoci per lo scampato pericolo. E chissà che a Malaga (21-26 novembre), quando la Davis verrà messa in palio e l’Italia sarà fra le squadre favorite, non venga annunciata qualche grossa novità e qualche importante modifica.
La Davis ha bisogno di una nuova cera che le restituisca il prestigio che aveva. E che ha in buona parte purtroppo perso. Fra i giocatori che la disertano, fra i media, fra gli addetti ai lavori che non hanno a cuore la tradizione del nostro sport.
Coppa Davis
Coppa Davis: se l’Italia conquista un solo punto con la Svezia, va a Malaga. Gli azzurri ringraziano la sportività del Canada. Si comincia con Arnaldi contro Borg? [VIDEO]
I canadesi, già qualificati, potevano permettersi il “biscotto”. Azzurri superfavoriti. Ymer non fa paura. Altri aneddoti bolognesi su Borg, Ashe, Franchitti, Rino Tommasi

Coppa Davis 2023 – Group Stage
Gauppo A, Bologna
Canada b. Cile 2-1
A. Galarneau (CAN) b. A. Tabilo (CHI) 6-3 7-6(5)
N. Jarry (CHI) b. G. Diallo /CAN) 6-4 6-4
V. Pospisil / A. Galarneau (CAN) b. A. Tabilo / T. Barrios Vera (CHI) 6-3 7-6(7)
Ora tutto è nelle mani degli azzurri. Cui basta conquistare anche un solo punto contro la Svezia di Borghettino, alias Borg Junior e del fratello più debole degli Ymer, per staccare il biglietto per le finali di Malaga.
La vittoria del Canada sul Cile ci ha spianato la strada, perché con il Cile, nonostante la vittoria per 3-0 di venerdì, non eravamo messi bene nel conto dei set nel caso Canada, Cile e Italia avessero chiuso il girone con due vittorie per Paese.
Ok che la Coppa Davis regala spesso sorprese, ma questa davvero non sembra possibile: nella peggiore delle ipotesi gli azzurri possono perdere un match, addirittura due match, ma perderne tre sarebbe da fantascienza. Non succederà.
Non è mai facile fare il capitano di Coppa Davis. Perfino Nicolas Massu, cui tutti riconoscono grande personalità e capacità, ha probabilmente sbagliato a buttare nella mischia il doppista nato in Canada Alejandro Tabilo al posto di Cristian Garin.
Chissà, forse lo ha scelto proprio per via dei suoi natali canadesi e perché aveva giocato almeno tre volte (vincendo) con Galarneau anni addietro.
Fatto sta che Tabilo ha deluso, ha perso in due set (6-3,7-6) pur avendo avuto due setpoint per andare al terzo. E ora in Cile si chiedono perché abbia messo in campo il doppista mancino che insieme a Barrios Vera aveva finito di giocare e perdere il doppio contro Musetti e Sonego dopo la mezzanotte, quando Garin – seppur non entusiasmante ieri contro Arnaldi dopo un bel primo set – ha certo maggior esperienza e qualità.
Il Canada, già matematicamente qualificato ieri sera – come primo o come secondo – avrebbe potuto permettersi di fare il cosiddetto “biscotto” per favorire a Malaga la presenza cilena e togliere di torno in Spagna la più temibile Italia (con Berrettini e Sinner…), ma queste cose succedono più facilmente nel calcio che, fortunatamente, nel tennis.
Grazie Canada quindi. E ora Arnaldi batta Borg e si stacca il biglietto.
Leo Borg qui è piaciuto anche se ha perso 2 partite su 2 e a chi è n.334 ATP non si poteva chiedere anche che vincesse. Anche se è il figlio di Borg. Che ora, sempre che giochi, batta il nostro …eroe dell’ultima ora, Matteo Arnaldi, mi sembra francamente super improbabile anche se giornalisticamente un exploit di “Borghettino” nella città in cui nel 1975 trionfò papà Borg –nel leggendario Palasport di piazza Azzarita, nel tempio del basket – beh sarebbe una storia non da poco. Lo dico non da anti-italiano – lo premetto eh, perché conosco i miei polli e i maligni imperversano sempre! – ma da giornalista che ama le storie più belle, sorprendenti e imprevedibili.
A Bologna si giocarono sette edizioni tra il 1971 e i 1981. La prima fu una bellissima finale tra Rod Laver e Arthur Ashe, ancorché vinta in 3 set dall’australiano bis-campione del Grande Slam (1962-1969), sebbene avesse quasi 33 anni. Arthur Ashe avrebbe vinto Wimbledon quattro anni dopo, nel ’75, primo “nero” a trionfare in Church Road.
Per darvi un’idea del livello di quel torneo…la finale del doppio fu vinta da Rosewall-Stolle contro McMillan-Maud. Quella finale che vinse Borg senior, nel ’75, fu ancora più bella e incerta di quella del ‘71: Bjorn la vinse 7-6,4-6,7-6 ancora ai danni di Arthur Ashe, mentre il doppio lo vinsero Panatta e Bertolucci su Ashe e Okker. Ricordo Arthur, che a Bologna aveva perso in finale anche il doppio del ’74 –lui e Roscoe Tanner da Borg e Bengtson – dichiarare: “A Bologna mi trovo benissimo, si mangia ancor meglio, però di 4 finali fra singolare e doppio non ne ho vinta una!”.
Non ricordo invece se fu sempre a Bologna che Arthur disse a Rino Tommasi: “Se non ci fossi tu Rino, non saprei mai quante volte di fila ho perso da Rod Laver!”.
A Bologna nel ’71 in effetti Laver vinse l’11mo duello su 11! A fine carriera, ma Ashe approfittò dell’età più avanzata di Rocket Rod, il bilancio fu 20 a 3 per Laver.
Ancora non c’erano i computer né Internet e…mi viene in mente un altro aneddoto, quello di Rino che disse, e non so fino a che punto scherzando: “Prima dell’arrivo di Internet, Internet era Rino Tommasi!”.
Visto che sono in vena di ricordi, sapete da chi perse Bjorn Borg a Bologna nel 1974?
Da Vincenzo Franchitti-Vettesi. Il romano vinse 6-3,6-4. Se “googlate” trovate la foto storica dei due protagonisti, post match, su Facebook. E in quel Facebook viene ricordato anche che l’anno dopo Bjorn, che evidentemente non se l’era presa a male per quella inopinata sconfitta, decise di giocare il doppio proprio con Vincenzo.
I due improvvisati compagni persero dai fortissimi sudafricani Hewitt e McMillan, una coppia che ha vinto Wimbledon due volte; una volta senza mai perdere il servizio e un’altra senza mai parlarsi perché avevano litigato, ma tuttavia convennero che non era il caso di separare una coppia vincente.
Spendo qui di seguito un ultimo aneddoto che forse potrei non avere più occasione di spendere (o ricordare).
Con Panatta, Bertolucci, Lombardi, Meneghini, Zardo, Avanzo, Franco Bartoni, Di Matteo, Matteoli, Binetti e Franchitti (più altri) ero stato convocato durante le vacanze di Natale da Mario Belardinelli al college della nazionale junior a Formia.
Belardinelli, che era nato proprio in questi giorni in cui si è rievocata la finale in Cile del 1976, era un padre burbero ed affettuoso con tutti, ma con lui non si doveva scherzare troppo in termini di disciplina.
Guai se Bertolucci, fisso a dieta, si permetteva di mangiare dolci nella pasticceria vicina – anche perché Panatta trovava subito modo di… denunciarlo al sor Mario – ma guai anche con chi di nascosto acquistava riviste osé.
Non porno, che a quei tempi non esistevano. Ebbene una sera Franchitti rientra nel college con un vistoso involucro nascosto sotto un maglione. Belardinelli lo scorge e gli dice: “Vincè, che hai lì sotto?Fammi un po’ vedè…”.
Lui, arrossendo tira fuori una rivista, si chiamava “Bang!”, che mostra in copertina a tutta pagina una donna procace a seno nudo e prorompente. Il massimo permesso dalla censura italiana a quei tempi. Belardinelli esplode: “Tu domani vai a casa!”. Vincenzo reagisce nel modo più imprevedibile: “Sor Belardinelli, mi scusi ma io ho letto “Bang!” e credevo che fosse di cowboy!”.
Inutile dire che tutti scoppiamo a ridere fragorosamente e perfino il severo sor Mario non riesce a non ridere. Franchitti viene perdonato!
Ora ditemi come faccio a riprendere il filo della Coppa Davis…
Vabbè, ho scritto tutto ciò mentre i cileni – di cui da italiani non dovevamo augurarci la vittoria – avevano pareggiato con Jarry vittorioso su Diallo l’1-0 conquistato da Galarneau su Tabilo. E poi, perso il primo set del doppio giocato da Barrios Vera e Tabilo contro Galarneau-Pospisil, nel secondo i cileni avevano conquistato 3 setpoint di fila sul 5-4 e servizio Pospisil. Vanificati anch’essi, proprio come i quattro matchpoint di Jarry con Sonego. Per il Cile qui a Bologna è stato davvero il festival delle occasioni perdute. Hanno avuto quei 4 matchpoint, più 3 setpoint nel doppio e 2 setpoint Tabilo nel secondo set. Nove opportunità che stanno facendo piangere alcuni aficionados cileni. Cui si aggiungono situazioni di punteggio che Massu non smette di enumerare, il vantaggio di un set di Garin su Arnaldi, i 4 matchpoint naturalmente e il centimetro di riga su cui ha servito Sonego per annullare tre dei quattro Matchpoint, il 6-3,3-1 del doppio contro l’Italia.
Mentre gli azzurri potrebbero già festeggiare…ma è meglio che non lo facciano. Vincano prima quel fatidico punto che ancora a loro manca. Forza Matteo, pensaci tu. Senza farci soffrire con un altro match di qualche Lorenzo.
Coppa Davis
Coppa Davis: tre rimonte e 3-0 dell’Italia sul Cile. Oggi gli azzurri tifano Canada contro il Cile [VIDEO]
Dando per scontato che l’Italia batta il vaso di coccio Svezia la vittoria canadese garantirebbe il nostro viaggio a Malaga. Se il Cile battesse il Canada 3-0, anche in caso di vittoria azzurra sulla Svezia si andrebbe al conteggio dei set

La situazione è grave ma non è seria. C’è stato un colpo di coda quasi inatteso per come si erano messe le cose post drammatico 0-3 con il Canada e poi con il Cile, soprattutto dopo il primo set perso 6-2 da Arnaldi con Garin, ma anche quando Jarry ha avuto 4 matchpoint con Sonego sul 6-3,5-4 (Lorenzo li ha annullati con una volée e tre servizi vincenti). Poi, siccome non bastava… l’Italia del doppio Musetti-Sonego (con i due doppisti “titolari” Bolelli e Vavassori in panchina) ha rimontato anch’essa un set di svantaggio e ha conquistato (6-7,6-3,7-6) un 3-0 quasi inaspettato per come si erano messe le cose.
Quindi ora l’ItalDavis, acciuffato quasi per i capelli il successo più netto sui cileni eredi di Fillol e Cornejo (soprattutto del primo, nonno di Jarry…) può ancora pensare di farcela a qualificarsi per le finali di Malaga, anche se nel computo dei set non sta messa bene.
Per intanto… non si dica che le statistiche non contano: siamo 0-4 con il Canada e 7-0 con il Cile.
Ecco lo scenario attuale.
Avendo battuto il Cile per 3-0… se il Cile battesse il Canada 3-0 e l’Italia battesse la Svezia si andrebbe al conteggio dei set. In questo caso, come dicevo, l’Italia non sta messa bene, perché con il Canada ha perso due match 2 set a zero, mentre il Cile con noi li ha persi entrambi in 3 set… Ma se il Canada batte il Cile… ecco che passa l’Italia, quale seconda, anche vincendo soltanto 2-1 con la Svezia.
Domanda d’obbligo: ma chi è favorito fra Canada e Cile?
Risposta difficile. Forse potrebbe decidere il primo singolare…
Insomma, consoliamoci per il momento perché almeno non c’è stata la temuta … ”caduta Massú”. La battuta, riferita al cognome del capitano dei cileni per chi non l’avesse colta, è copyright di Luca Boschetto.
Siamo ancora in vita perché è stato bravo davvero Matteo Arnaldi a non demoralizzarsi dopo quel brutto primo set che avrebbe potuto incrinare l’autostima di un esordiente meno solido di nervi.
E molto bravo è stato anche Lorenzo Sonego a dimenticare la pesante sconfitta patita mercoledì con il n.200 del mondo Galarneau e a confermarsi sempre più attendibile e a suo agio quando deve giocare contro pronostico che da favorito: Jarry è n.22 del mondo.
Vien da dire, semplificando forse con un eccesso di brutalità, che Sonego sia forte con i forti e debole con i deboli.
Cercando di recuperare, a proposito dell’exploit di Arnaldi, un esordio azzurro storicamente altrettanto promettente, è venuto fuori grazie a una ricerca di Michelangelo Sottili, quello di Omar Camporese a Malmoe. Scelto a sorpresa da Adriano Panatta, che escluse Paolo Canè reo di una preparazione non troppo seria insieme a Diego Nargiso, il 3 febbraio 1989 Omar, ventenne, sorprese nettamente, 75 63 62, Mikael Pernfors, che era stato finalista al Roland Garros nel 1986 e due anni e mezzo prima era n.10 del mondo.
Battere in casa il n.103 ed ex n.17, Garin, non vale quanto l’exploit di Camporese a Malmoe, ma è comunque un ottimo presagio per la carriera del ventiduenne sanremese.
Omar Camporese ha vinto tornei molto importanti, uno a Rotterdam 1991 battendo Ivan Lendl, 31 anni ma ancora n.3 del mondo…come dimenticarlo? Raccontammo in cabina tv con il mai abbastanza rimpianto Robertino Lombardi per Tele+ quella straordinaria e memorabile finale (3-6,7-6,7-6, entrambi i tiebreak vinti per 7 punti a 4, con il matchpoint annullato sul 5-4 del terzo set…
Un altro grande torneo Omar lo vinse l’anno dopo (1992) a Milano, da n.24 del mondo battendo Goran Ivanisevic 3-6,6-3,6-4 dopo che nel corso del torneo aveva salvato 3 matchpoint con il qualificato e buon doppista olandese Tom Nijssen. Ma il tennis-elbow aveva cominciato a perseguitare Camporese, il cui best ranking è stato n.18 nel febbraio del ’92 (a 23 anni) che sarebbe stato presto costretto ad arrendersi. Le cure non sortirono l’effetto sperato. Beh io credo che Arnaldi forse sottoscriverebbe una carriera che lo portasse a n.18 del mondo. Ma forse anche no. Dopo aver perso da Alcaraz negli ottavi all’US Open ha detto: “Non mi è parso che ci fosse una distanza siderale”. Il ragazzo, insomma, ha fiducia nei propri mezzi. Più di quanta ne avesse avuta Filippo Volandri fino a mercoledì. Ora ha probabilmente cambiato idea.
Per quanto riguarda Lorenzo Sonego, “riabilitato” da Volandri e preferito a Musetti in singolare e poi addirittura schierato mezzora dopo anche nel doppio vincente, mi pare giusto ricordare… per dare a Sonego quel che è di Sonego – così come ieri segnalai le sue sconfitte con giocatori classificati oltre il 199mo posto – quattro vittorie su quattro in Coppa Davis quando ha affrontato tennisti meglio classificati di lui: Opelka, Tiafoe, Shapovalov e ora Jarry.
Va detto – spero siate d’accordo – che si tratta di un caso davvero strano. Gipo Arbino, il suo coach, ha sempre sostenuto le qualità di guerriero di Lorenzo – e per dargli ragione va ricordato che in almeno otto occasioni Sonego ha vinto match nei quali aveva dovuto fronteggiare un matchpoint – però perché queste qualità da “duro” si ammorbidiscano pazzescamente quando invece deve giocare contro tennisti peggio classificati – e a volte molto ma molto peggio classificati di lui – è un mistero che dovrebbe essere “sciolto” da un mental coach o da uno psicologo.
Possibile che se uno ha qualità per battere dei top-ten in certe altre situazioni queste svaniscano al punto da soccombere con giocatori over 200? Mah. Io non sono né mental coach né psicologo, quindi… ammetto, non so proprio spiegarmelo, ergo spiegarvelo.
Ma stamani – con la partita finita pochi minuti dopo la mezzanotte – dai, va bene così. I ragionieri che leggono Ubitennis ci dicano se abbiamo sbagliato qualche calcolo. A Matematica, al liceo, io faticavo a prendere la sufficienza.