Pensieri in libertà: da Astori a Fognini, da Errani a Goggia. La nuova Coppa Davis

Editoriali del Direttore

Pensieri in libertà: da Astori a Fognini, da Errani a Goggia. La nuova Coppa Davis

Quanto mi ha colpito la tragedia di Davide Astori. Bello il gesto di Fognini. E fra lui e Bertolucci… Peccato Errani. Non chiamatela più Coppa Davis

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Raccolgo qui una miscellanea di pensierini in libertà.

TRAGEDIA ASTORI

Una morte assurda a 31 anni, in mezzo al sonno e nel proprio letto di una camera singola d’albergo – chissà se un compagno di camera non avrebbe potuto salvargli la vita, magari con l’ausilio di un defibrillatore – dopo che il 28 febbraio un controllo medico non aveva riscontrato la benché minima anomalia. Un dolore immenso, indescrivibile. Ne sono rimasto così profondamente colpito, fino a sentirmi – e non è retorica – quasi in colpa per essere ancora vivo, io con più del doppio degli anni di Davide, del capitano della Fiorentina, la mia squadra del cuore. Il fatto che Davide fosse un bravissimo ragazzo, una bella persona senza tanti grilli per la testa, direi quasi un calciatore anomalo (e non solo certamente per la mancanza di tatuaggi, come ha scritto un collega aggiungendo anche la vecchia citazione di Vujadin Boskov: “Testa di calciatore troppo spesso serve solo a mettere cappello”). Aveva dimostrato grande personalità in alcune occasioni che mi era capitato di seguire come opinionista televisivo (una tv solo toscana eh… Italia 7 Platinum), come quando aveva ripreso i suoi compagni negli spogliatoi dopo la partita persa dai viola con l’Empoli ai tempi di Sousa (che aveva pensato… bene di “punirlo” non schierandolo nella successiva partita di Udine… già proprio Udine), come quando era stato interlocutore dei proprietari della squadra, i fratelli Della Valle, ripresentatisi alla vigilia della partita con il Bologna dopo sei mesi di discutibile assenza.

La sua tragica e incomprensibile scomparsa ne ha fatto ricordare diverse altre legate ad atleti (Curi, Taccola, Bovolenta, Morosini e altre), ha suscitato inevitabilmente grandissima commozione e solidarietà per la sua compagna Francesca e la sua piccola Vittoria in tutt’Italia. Purtroppo non c’è altro da fare che piangere. Di parole ne sono state dette anche troppe.

LA SVOLTA EPOCALE DELLA DAVIS – SE MAI CI SARÀ

Ho scritto l’altro giorno tutte le mie perplessità riguardo alla formula (calcoli da ragionieri al termine di ciascuno dei sei gironi eliminatori all’italiana di tre nazioni, per determinare le prime sei squadre più le due migliori seconde: fortissimo il rischio di sorteggi con monetine per promuovere ai quarti qualcuna delle otto nazioni) e a taluni aspetti logistici (minimo 3 stadi indoor da costruire per 7 giorni se non già esistenti per poi smantellarli, più 9 campi d’allenamento, ma dove? Indoor? Outdoor d’inverno con pochi margini lasciati al maltempo visti i tempi ristretti? A Singapore, Shanghai, Tokyo, Doha, Abu Dhabi, Perth? In Asia? Ogni anno sempre nelle stesse zone al di fuori dall’Europa quando quasi tutti i migliori giocatori sono per l’appunto europei?) Mah… resto molto perplesso al riguardo.

Ma alcune aggiunte ed opinioni sono dovute ai lettori di Ubitennis. Per prima cosa non si può negare che la Coppa Davis così come è stata interpretata negli ultimi anni ha mostrato crepe notevoli. I migliori giocatori, dopo averla conquistata una volta, l’hanno mollata e sarebbero ben contenti di non dovergli dedicare 4 settimane l’anno. Finali che interessavano quasi soltanto le nazioni che le disputavano, nell’indifferenza del resto del mondo. E non solo le finali: a livello televisivo quasi tutti i network importanti a livello internazionale hanno preferito non trasmettere i singoli eventi di Coppa Davis per scarsità di interesse e di audience. Non a caso in Italia il solo network interessato ad acquisire i diritti della Davis è stato Supertennis, i cui modestissimi dati di ascolto sono ben noti.

Insomma che la Davis abbia perso negli anni – rispetto agli anni Cinquanta, Sessanta, Settanta – rilevanza e prestigio presso i giocatori e il grande pubblico è purtroppo indubbio senza che nessuno abbia provato a metterci riparo. Va dato atto, pur non condividendo la formulazione di questo evento, che Dave Haggerty, il presidente ITF succeduto al nostro Francesco Ricci Bitti (lì sul trono per 16 anni), ha avuto il coraggio di agire, di proporre un cambiamento, di stimolare un clamoroso investimento da parte di Piquè e compagni con lo scopo di creare un evento assolutamente diverso, forse capace di presentarsi come campionato del mondo per nazioni (cosa che oggettivamente la Coppa Davis attuale non è più da un pezzo).

18 squadre per i primi 3 giorni, e se ho ben capito altre 8 squadre per la seconda parte della settimana, perché dovrebbero arrivare anche le squadre delle 8 nazioni qualificate per i playoff con quelle eliminate dopo i primi 3 giorni. 24 squadre, quindi, con 4 giocatori per ciascun team: quindi 96 giocatori coinvolti in una sola città e con match che potrebbero interessare pochissimo spettatori neutrali. Che appeal avrebbero match tipo Belgio-Canada, Croazia-Italia a Singapore, Shanghai, Tokyo, Doha, Abu Dhabi, Perth? Certo i soldi a volte fanno miracoli. Possono convincere i giocatori, per un montepremi di 20 milioni a evento (per 96 giocatori…), e con gli altri 100 per operazioni di marketing, di impiantistica, di sostegno alle federazioni (come quella Svizzera il cui presidente federale, vice di Haggerty nell’ITF, sostiene di aver perso ogni anno diversi milioni di euro soltanto per far fronte gli impegni di Davis).

Innovare o morire, è stato il motto di Haggerty. Lui ha coraggiosamente provato a innovare. Piqué dovrà prima o poi spiegare esattamente come intenderebbe davvero organizzare questo evento a partire già dal vicinissimo 2019. Oggi ci sono ancora troppi interrogativi non risposti. Per quanto mi riguarda, però, qualunque cosa dovesse venirne fuori, il nome dell’evento dovrebbe essere diverso da Coppa Davis, che è stata tutt’altra cosa.

FABIO FOGNINI SEI TORNEI COME BERTOLUCCI, SÌ PERÒ…

Mi voglio congratulare personalmente con Fabio Fognini per gli eccellenti risultati ottenuti in quest’inizio di stagione, il più brillante di sempre per lui. Mi voglio congratulare anche per la sensibilità dimostrata da Fabio (noto tifoso interista) nel dedicare il trofeo conquistato in Brasile alla memoria di Davide Astori. Un bellissimo gesto, perché ha reso noto internazionalmente anche al mondo extracalcistico la tragedia che aveva colpito una persona perbene come il capitano della Fiorentina. Bravo Fabio. Adesso seguirò con curiosità e interesse i tornei di Indian Wells e Miami, perché se Fabio riuscisse a inanellare un altro risultato di prestigio – anche un solo quarto di finale – potrebbe superare il suo best ranking (n.13 nell’estate 2014) e forse addirittura centrare quel prestigioso traguardo dell’ingresso fra i top-ten che al tennis italiano manca dal 1978. Da 40 anni! 

Facendogli i miei auguri devo però fare un distinguo riguardo al discorso del tornei vinti. Ok sono 6 come quelli di Bertolucci e sono quattro in meno rispetto a quelli vinti da Panatta. Ma la qualità dei tornei è ben diversa. Bertolucci ha vinto tornei come Amburgo (battendo in finale uno dei primi tennisti del mondo, Manolo Orantes) e Barcellona che erano di caratura ben diversa rispetto a quelli vinti da Fognini, i cui sei avversari battuti in finale sono Kohlschreiber, DelBonis, Leo Mayer, A. Martin, Hanfmann, Jarry. Salvo il primo, quindi, nessun giocatore mai classificato fra i primi 20 del mondo. Panatta in quei 10 tornei può metterci uno Slam (Parigi), e tornei come Roma, Stoccolma, Houston (battendo campioni come Vilas, Solomon, Dibbs, Connors, Rosewall) sulla terra rossa come su campi indoor. È un po’ lo stesso discorso che si può fare confrontando i 97 tornei di Federer con i 109 di Connors: la qualità è tutt’altra. Molti tornei vinti da Jimbo erano semi-esibizioni organizzati dal suo primo manager Bill Riordan, tornei da 4/8/16 giocatori. Circuiti ben diversi, tempi diversi, diverse situazioni di gioco, di attrezzature, di… trasferte. Nel 1979 Connors vinse soltanto nella primavera tutta statunitense il torneo di Birmingham in Alabama, Filadelfia, Rancho Mirage, Boca Raton, Delray Beach, Memphis, New Orleans, Tulsa, Las Vegas, Dallas. Dieci tornei senza dover affrontare un volo internazionale, e tutti nell’ambito di tre ore di diverso fuso orario. Insomma tornei di caratura ben diversa dai tornei vinti da Federer (che rispetto a Connors ha, d’altro canto, semmai avuto il vantaggio di aerei privati, di più coach, di fisioterapisti, nutrizionisti e cuochi privati… figli del suo tempo).

Ciò detto, attenzione, prima che qualcuno si scateni per dire che queste mie osservazioni riguardo alla qualità dei tornei vinti da Fabio siano dettate dal mio difficile rapporto con Fognini, vorrei dire che comunque Fabio merita di essere considerato il miglior tennista italiano dai tempi di Panatta e moschettieri azzurri. Perché alla fine è stato in grado di restare per diversi anni sulla breccia, più di un Camporese che magari ha vinto tornei più importanti (Milano e Rotterdamo… vedi la ricostruzione scritta da Remo Borgatti sulla sua vittoria contro Lendl) ma senza la stessa quantità e continuità nel tempo.

LO SMISURATO ORGOGLIO DI SARA ERRANI

Brava anche Sara a non essersi arresa, ad aver avuto l’umiltà di ripartire dai tornei minori, a riprendersi con lacrime sudore e sangue un posto tra le top 100. Chapeau. Peccato che per pochissimi posti – mi pare tre – Sara sia rimasta fuori dalle qualificazioni del torneo di Indian Wells. Con il suo passato, il suo best ranking a n.5, con la brutta storia della sentenza ancora sospesa per il ricorso alla sua condanna troppo mite (secondo l’accusa…) per il caso doping (del tortellino). Approfitto di questo spazio per dire che qualche tempo fa sono stato accusato da un lettore di non avere dato personale risalto a una altra vittoria di Sara. Il lettore aveva scritto che se Sara avesse perso quella partita (non ricordo per la verità quale) io avrei preso il pretesto per sottolineare il flop di Sara. In altre parole accusandomi – un po’ come fanno i fans di Fognini – di avercela con lei. Non è vero. La cosa che mi è dispiaciuta di più è stata che – ma mi è è stato riferito e non ho verificato di persona – Sara avrebbe messo un like sotto il commento becero di quel lettore. Pazienza. Si vede che dopo tutti questi anni ancora non mi conosce.

SOFIA GOGGIA, MA CHE C’ENTRA LO SCI?

C’entra – e mi scuso per scriverne soltanto adesso con tanto ritardo rispetto alla sua straordinaria medaglia d’oro olimpica conquistata nella Libera, la specialità più classica e nobile dello sci 66 anni dopo Zeno Colò (un grande che ho avuto l’onore di conoscere e che mi portò sulle sue spalle all’Abetone dopo che mi ero rotto i legamenti sciando sulla Selletta ghiacciata a fine serata), perché la sua medaglia insieme a quella delle altre azzurre in Corea, mi ha fatto pensare ai tanti spettacolari successi ottenuti dalle nostre tenniste – quattro top-ten contro nessuno – a confronto con i troppi modesti risultati conseguiti invece dai nostri uomini a livello di vertice.

Goggia, ma anche Brignone, le Fanchini, e altre ci hanno regalato grandi, grandissime soddisfazioni. Proprio come Schiavone, Errani, Pennetta, Vinci. Ciò detto devo dire anche che penso che nello sport femminile sia un tantino meno difficile riuscire ad emergere. Credo che la competizione sia un po’ meno dura. E penso che mentre in campo maschile nello sport in genere (e non solo nel tennis) ci si debba misurare con centinaia di Paesi, in quello femminile la concorrenza esista naturalmente ma sia minore. E nella fioritura di atlete vincenti nel terzo millenium sono stati favoriti quei Paesi economicamente e socialmente più evoluti che hanno visto avvicinarsi allo sport sempre più donne rispetto ad altri più… arretrati civilmente e culturalmente. Nessuno ha mai discusso il diritto di avvicinarsi allo sport degli uomini africani, arabi, asiatici, mentre le donne hanno dovuto spesso subire vere e proprie chiusure. Patendone anche come personalità. Le donne europee (e americane) quindi anche le italiane, tenniste come sciatrici, come in tutti gli sport, sono cresciute in ambienti più aperti, dove hanno avuto modo di esprimere maggiormente la loro personalità. Dopo di che, forse proprio perché consce di certi privilegi di partenza rispetto ad atlete di altri Paesi meno civilizzati e strutturati, hanno però mostrato una determinazione e una grinta superiore a quelle dei loro colleghi maschi che più facilmente hanno potuto godere di mentalità, appoggi finanziari e strutture, più favorevoli. E si sono talvolta più facilmente seduti sugli allori. Viva le nostre donne, dunque. Che oltretutto hanno spesso dimostrato di essere non solo grandi campionesse, ma anche grandi persone, ricche anche di umanità e simpatia.

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