Opinioni
Troppe accuse ai furbetti e pochi rimbrotti a chi si fa fregare
Un Medical Time Out sospetto ha aiutato la 18enne Yastremska a vincere il suo secondo titolo. Comportamento al limite, certo, ma lo sport non è fatto solo di gentilezze ed è miope dimenticarlo

Lo diremo a scanso di equivoci: nella sua accezione più primigenia, lo sport non va d’accordo con i mezzucci. La contesa sportiva discende sì in parte dal retaggio della guerra, ripulito però di quella connotazione truce e violenta perché i gentiluomini – e più tardi le gentildonne – potessero confrontare le proprie abilità secondo le regole di cui ogni sport sceglieva di dotarsi. Una sorta di ‘battaglia controllata’ entro cui sfogare gli istinti di competizione di cui l’essere umano non potrà mai fare a meno, utile anche a soddisfare quell’esigenza ludica che ci ha caratterizzato fin dalla preistoria. Alcune tra le prime pitture rupestri testimoniano infatti come l’uomo già si dedicasse allora ad attività non direttamente collegate a quelle fondamentali per la sopravvivenza. Lo sport, in sé, può essere considerato una fusione tra gioco e guerra.
Rispondendo la pratica sportiva prima di tutto al principio dell’uguaglianza, vi si è affiancata come tratto distintivo la capacità di abbattere le barriere sociali. Di qui la cavalleria e il rispetto dell’avversario, non sempre possibile al di fuori dei confini dello sport laddove una vittoria poteva significare sopraffazione reale, non solo figurata. Tutto questo è vero, lo sport ha preso le sembianze – paradossali, per certi versi – dell’universo ‘innocuo’ in cui continuare a professare i valori costantemente sviliti dalle evoluzioni della Storia. Da un lato c’è quello che de Coubertin ha brillantemente sintetizzato nella sua massima, dall’altro c’è che comunque a nessuno piace perdere. La sconfitta può essere seducente dal punto di vista letterario, può persino ispirare di più il cronista romantico, ma sul campo da gioco non seduce proprio nessuno. È solo un nemico da tenere lontano con ogni forza.
Per questo banalissimo motivo la zona grigia compresa tra i confini del lecito e i confini dell’etico ha preso ad essere sempre più abitata. L’atleta si spinge fino al limite delle sue possibilità tecniche e fisiche ma se questo non basta, col conforto dei regolamenti, si aiuta con gli escamotage che fanno storcere il naso ai puristi. L’ultimo esempio è quello di Dayana Yastremska, 18enne ucraina parecchio esuberante – di tennis e di carattere – che trovandosi con un piede e tre quarti nella fossa durante la finale di Hua Hin contro Ajla Tomljanovic, ha dovuto giocare un po’ sporco. Sotto 5-2 nel terzo set, dopo aver perso undici degli ultimi quindici game, ha chiesto e ottenuto un medical time out strategico per trattare un presunto fastidio alla gamba sinistra. Miracolosamente ringalluzzita dalla pausa lei e tragicamente avvilita la povera avversaria, che per un’ora l’aveva imbrigliata per bene, Yastremska è riuscita a rovesciare completamente l’incontro fino al dritto vincente che le ha consegnato tie-break, partita e secondo titolo in carriera.
Siamo tutti d’accordo che la pestifera ragazzina di Odessa non farà incetta di premi simpatia ne vedrà inciso il suo nome sul trofeo annuale del fair play, ma giova ricordare che contro Serena Williams a Melbourne aveva preteso d’utilizzare la stessa tattica – dopo aver poggiato male la caviglia in uno scambio – riuscendo a infastidire la statunitense come un fiacco refolo di vento riuscirebbe a farsi dare udienza da un uragano. Insomma, perché il giochino funzioni si deve essere in due: uno che non si faccia troppi scrupoli a rimestare un po’ nel torbido, e uno che sia facile alla distrazione. Se la prima caratteristica non è troppo degna d’onore ma può essere assai funzionale in una competizione sportiva, la seconda è certamente una nota di demerito.
La capacità di mantenere la concentrazione punto dopo punto riveste grande importanza nel bagaglio di un tennista, addirittura cruciale quando si scende in campo per una finale. Tomljanovic avrebbe dovuto trattare il sotterfugio di Yastremska alla stregua di una chiamata sfortunata, di uno spettatore che applaude in anticipo, di un’avversaria che ingaggia una battaglia personale con il giudice di sedia e incidentalmente arringa la folla (coff coff). Isolarsi da questi episodi rientra quindi tra le cose che vengono richieste a un giocatore per vincere una partita di tennis. Così come Carreno, certamente non fortunato contro Nishikori a Melbourne, l’australiana non ha saputo smarcarsi dall’elemento di disturbo e (anche per questo) ha perso la sua finale, dopo averne persa un’altra piuttosto lottata a Seoul lo scorso settembre. È il sintomo che qualcosa le manca a livello di personalità, e per quanto Yastremska possa aver fatto qualcosa di eticamente discutibile – benché lecito, lo ribadiamo, finché i regolamenti reciteranno in questi termini – lei è stata troppo ingenua. E queste ingenuità nello sport si pagano.
Quanto alla pratica degli MTO strategici, che certamente esistono e forse sono persino la maggior parte di quelli che vengono chiamati, va detto che troppo spesso si pretende di scoprire dal divano quanta necessità effettiva abbia un tennista di fermare il gioco per ricevere delle cure mediche. Lo stesso identico infortunio potrebbe essere intollerabile per Paire e appena percettibile da Goffin, che magari neanche verrebbe sfiorato dall’idea di avvalersi del fisioterapista. Paire è necessariamente un baro? Non per forza. Un giocatore può in effetti trarre beneficio da una pausa, anche se la motivazione risulta essere più psicologica che atletica, e dal momento che il regolamento non discrimina sull’esigenza ‘fisica’ di fermare il gioco – ad oggi, anno di grazia 2019, la tecnologia non ci permette ancora di farlo – questa dinamica deve essere accettata per quella che è.
Piena libertà di elucubrare sulla genesi dei time out, ci mancherebbe, ma l’esercizio rimane confinato alla sfera della soggettività. I regolamenti sono uguali per tutti, il modo in cui ognuno dei noi interpreta l’etica sportiva no. È anche verosimile che gli atleti continueranno in qualche modo ad essere divisi tra coloro che hanno pelo sullo stomaco – e ci stupiremmo di non trovarne nessuno su quello di Yastremska – e coloro i quali, pur avendo fidanzati parecchio amorevoli nel prendere le loro difese, continueranno a mancare di un certo istinto killer. Il guaio, se volete considerarlo un guaio, è che sono più spesso i primi a festeggiare sui resti dei secondi. E anche di questo si deve prendere atto.
Flash
Coppa Davis, Jannik Sinner “caso Nazionale”: per me è innocente
Se Jannik ha nella propria scala degli obbiettivi le ATP Finals al di sopra della Coppa Davis gliene possiamo fare una colpa?

Premessa: Fino a pochi giorni fa la rinuncia di Jannik Sinner alla convocazione in Nazionale per il round eliminatorio di Coppa Davis era un argomento di discussione confinato agli appassionati di tennis. Nelle ultime settimane tuttavia abbiamo assistito ad una vera e proprio campagna mediatica da parte della Gazzetta dello Sport, che ha dedicato ampio spazio alla vicenda; il culmine è stato raggiunto sabato scorso, quando la copertina di Sportweek – l’inserto settimanale della rosea – era proprio dedicato a Sinner. Il titolo era eloquente: “Perché il numero uno del nostro tennis ha sbagliato a dire di no alla Coppa Davis”.
LEGGI ANCHE Jannik Sinner “caso Nazionale”: per me è colpevole
Ci siamo sentiti allora in dovere di ragionare un po’ sulla vicenda e nel seguente articolo potrete trovare le ragioni della difesa. Abbiamo immaginato insomma di trovarci in un’aula di tribunale e vestire i panni della difesa (speriamo che alla fine non ne venga fuori solo una d’ufficio).
Cari lettori, innanzitutto partiamo da un fatto abbastanza curioso che tutti avrete potuto notare: la “rosea”, solita dedicare un trafiletto in prima pagina al vincitore di Wimbledon che impallidisce di fronte a qualsiasi rumor di calcio mercato estivo, ha deciso di dedicare ampio spazio alla vicenda. Per vedere nuovamente Sinner su una copertina di Sportweek come minimo sarebbe necessario una vittoria Slam.
Pertanto, la prima richiesta che vi facciamo è quella di astrarvi dal clamore mediatico che impera in questi giorni è che appare decisamente orientato. Non facciamo dietrologia sui motivi di tali scelte editoriali, semplicemente vi chiediamo di liberare la mente delle impressioni e dei pregiudizi che potreste aver maturato in questi giorni e di dedicare 3 minuti del vostro tempo per seguire quelli che sono i fatti.
È davvero una colpa la sua?
Jannik Sinner quindi lo dobbiamo considerare colpevole? E se sì, di quali colpe si sarebbe macchiato?
Se le parole hanno un significato, allora tutti potremo concordare che nella lingua italiana si parla di colpa per indicare: “ogni azione che per qualsiasi motivo è riprovevole o dannosa, causando un pregiudizio mediante la violazione di obblighi di varia natura, anche morale”
Perdonate la pesantezza della definizione ma a volte un po’ di precisione è opportuna per organizzare un’argomentazione.
Nella definizione procedente di colpa sono due gli elementi che reggono il periodo:
- Una valutazione ex post: c’è colpa quando esiste un’azione che produce degli effetti dannosi.
- Una valutazione ex ante: c’è colpa quando ci si discosta nell’agire da uno standard morale
I rischi della sua assenza
Sotto il primo punto, valutazione ex post, analizzando i fatti, chi scrive considera che gli effetti della rinuncia alla chiamata in nazionale sono stati principalmente:
- Aumentare le probabilità di eliminazione da parte della nazionale italiana. Poiché Sinner era il nostro miglior giocatore, non aver potuto disporre del suo apporto avrebbe potuto portare la squadra azzurra all’eliminazione dal torneo.
- Incrinare potenzialmente il clima e la coesione di squadra in quanto Jannik ha anteposto le proprie esigenze di programmazione alla chiamata in Nazionale.
Tralasciamo per un attimo il fatto che la Davis sia una manifestazione che in questo momento sta attraversando un periodo di appannamento e di rinnovamento, che non assegna punti ATP e che ha perso di appeal. Tralasciamo che spesso e volentieri i migliori giocatori al mondo hanno declinato cortesemente più di una convocazione in nazionale, quando confliggeva con le loro esigenze di programmazione. Tralasciamo quindi che in questo momento storico la Coppa Davis è generalmente più attraente per quei tennisti che si trovano in posizioni di rilievo ma comunque fuori dalla top 20 e che il richiamo comincia a farsi sentire solo nelle fasi finali. Tralasciamo tutti questi elementi di contesto e concentriamoci sui punti richiamati in precedenza.
Rispetto al punto 1. – inficiare le possibilità di qualificazione della squadra italiana – il danno era da considerarsi oggettivamente modesto alla data in cui Jannik ha espresso il proprio rifiuto.
Il Canada era privo dei sui migliori giocatori, la Svezia non era un avversario temibile e il Cile poteva contare solo su un buon Jarry. Oggettivamente la qualificazione, giocando in casa anche con i vari Sonego, Musetti e Arnaldi era data pressoché per scontata.
Sotto questo punto di vista pertanto il danno arrecato da Sinner sembrava essere molto relativo. Se le probabilità di passare il turno con Jannik a Bologna avrebbero sfiorato la certezza matematica, anche senza il ragazzo di San Candido l’Italia rimaneva comunque nettamente la favorita per il passaggio del turno.
Il rischio di eliminazione c’è stato
Sfortunatamente con la sconfitta contro il Canada siamo arrivati a un passo dall’inferno e si è scatenata la solita caccia al colpevole per trovare un capro espiatorio; e allora non deve stupire che mentre Sonego e Musetti combinavano la frittata contro il Canada, il primo pensiero di tanti, Gazzetta inclusa, era quello di cercare il colpevole altrove.
All’indomani della sconfitta con il Canada allora la colpa di Jannik ha assunto ben altre proporzioni come se la squadra azzurra fosse un’armata Brancaleone come la Grecia, a cui se togliamo Tstsipas resta solo qualche buon seconda categoria.
Ma ribadiamo, il girone di Bologna sembrava benigno e la vittoria del Canada contro gli azzurri era data tanto a poco da tutte, ma proprio tutte, le agenzie di scommesse. Per cui sotto questo profilo, la colpa che poteva essere additata a Sinner va calcolata rispetto al momento in cui ha annunciato il proprio forfait ed è senz’altro lieve.
Per quanto riguarda il punto 2. – incrinare il clima di coesione di squadra – il discorso è probabilmente più complicato. Il fatto che Sinner sia considerato da tutti il miglior tennista italiano in circolazione al momento è opinione condivisa. E storicamente è un fatto che le star delle rispettive Nazionali abbiano sempre goduto di trattamenti di favore. Vi immaginate forse un pacioso Severin Luthi cazziare Federer e Wawrinka quando non si presentavano?
Non stupisce allora che anche per Jannik valgano logiche simili e che la Federazione e il capitano Volandri non abbiano nessun interesse ad entrare in rotta di collisione con la loro star.
Certo è che in Davis, Jannik ancora non ha dimostrato acuti pesanti tali da giustificare tale status. Sinner ha vinto 6 dei 7 match giocati finora in Davis con la nuova formula, ma il match più difficile è stato contro Marin Cilic, un buon giocatore, ma che nel 2021 non era certo il temibile top ten del 2017 e del 2018.
Insomma, a Jannik è stato fin qui concesso credito illimitato, che però a questo punto dovrà per forza ripagare a Malaga. In un’ipotetica semifinale contro Djokovic, Sinner dovrà dimostrare di meritare i galloni di leader, altrimenti poi sarà difficile tenere a bada i legittimi mugugni degli altri ragazzi che invece a Malaga la squadra ce l’hanno portata e che magari finiranno con l’essere esclusi dal team. Intendiamoci, non è che pretendiamo una vittoria su Nole, ma almeno una partita maiuscola, quello sì. Pertanto, sotto questo secondo punto, il giudizio è sospeso.
A giudizio di chi scrive il problema potrebbe porsi in futuro qualora Sinner continuasse a richiedere un trattamento di favore senza però trascinare la squadra con le sue vittorie nei match che contano, quelli che decidono poi se si vince o si perde il trofeo. A quel punto probabilmente ci si aspetterebbe da Volandri una programmazione e un impegno da parte dei propri uomini che richieda un’adesione completa al team, e non solo quando si allineano gli astri o quando c’è odore di trofeo.
In sintesi, se parliamo di colpa sotto il profilo di danno provocato, a Sinner si può imputare ben poco; ribadiamo, considerare a inzio settembre prima dell’avvio del girone Jannik come essenziale alla qualificazione sarebbe sembrato quasi offensivo nei confronti degli altri singolaristi, che sono tutti ampiamente nei primi 100 al mondo.
L’aspetto morale
Passiamo adesso a considerare la questione sotto un punto di vista morale, la componente che abbiamo chiamato ex ante della definizione di colpa.
In tal caso i termini del problema – come impostato dalla Gazzetta – possono essere inquadrati a piacimento. Basta qualche piccolo espediente retorico per presentare la vicenda sotto la giusta angolatura e smuovere le passioni.
Ad esempio, una delle obiezioni mosse a Jannik è quella di essere stato egoista e di essersi dimostrato insensibile alla chiamata della Nazionale. In tal caso però il contesto è importante per emettere un giudizio.
In primo luogo il tennis è uno sport individuale, che viaggia a ritmi spesso estremi, nel quale la gestione fisica è fondamentale. Se Jannik ha nella propria scala degli obbiettivi le ATP Finals al di sopra della Coppa Davis gliene possiamo fare una colpa? È un desiderio legittimo, semmai valeva la pena essere coerenti e comunicarlo chiaramente. Un po’ come Roberto Mancini che legittimamente ha scelto la strada di allenare la Nazionale saudita per una motivazione chiaramente economica ed è stato crocifisso sulla pubblica piazza. La dinamica era simile, e così come a Sinner, al Mancio può solo essere imputato di non avere rivendicato con maggiore forza la propria scelta senza trincerarsi su questioni secondarie.
In secondo luogo, mantenendo il paragone con l’ambito calcistico, quello più noto ai più, andrebbe anche ricordato che Jannik non ha disatteso una chiamata alla fase finale dei Mondiali. Il paragone più consono sarebbe quello di una mancata risposta ad una convocazione per una gara di qualificazione contro la Macedonia. Poi se la squadra incappa in una giornata dannatamente storta contro un avversario mediocre e si fa fregare, la colpa davvero è degli assenti?
Infine, sempre per restare nel campo dei giudizi morali, un ulteriore aspetto che potrebbe aver svolto un effetto moltiplicatore è quello relativo alla figura di Jannik. Sarà politicamente scorretto dirlo, ma Sinner con i suoi modi puliti, poco empatici e le origini altotesine – piaccia o meno – scatena in tanti (fortunatamente non in tutti eh!) una discreta antipatia e al ragazzo non gli si perdona quindi il minimo sgarro. Allora se Sinner si sfila e rifiuta la convocazione non è solo colpevole, è über-colpevole.
Ma pure su queste dinamiche, il povero Jannik che colpa ne può avere? Perché di questo stiamo parlando, Jannik è responsabile delle proprie azioni, non di altro. Se poi oltre a giocare bene a tennis si pretende che frequenti pure un corso di dizione questo è un altro discorso. Ma che rasenta la follia.
In conclusione per farla breve, il can can mediatico sollevato dalla Gazzetta è più che altro una panna montata che trova scarso fondamento nei fatti. Insomma a giudizio di chi scrive Jannik – seppure in modo silenzioso e senza rivendicarlo esplicitamente– dà l’impressione di sapere che il suo status all’interno della squadra è privilegiato. Malaga in questo senso sarà un crocevia importante, avrà i fari di tutti puntati addosso e sarà vietato sbagliare. D’altronde, come si dice, oneri e onori vanno di pari passo.
Coppa Davis
Coppa Davis, Jannik Sinner “caso Nazionale”: per me è colpevole
Immagine, uguaglianza e spirito di squadra: perché pensiamo che Jannik Sinner abbia sbagliato a rifiutare la convocazione in Coppa Davis

“Sfortunatamente non ho avuto abbastanza tempo per recuperare dopo i tornei in America e purtroppo non potrò far parte della squadra a Bologna. È sempre un onore giocare per il nostro paese e sono convinto di tornare in nazionale al più presto. Un grosso in bocca al lupo ai ragazzi, ci vediamo” recitava il tweet di Jannik Sinner.
LEGGI ANCHE: Jannik Sinner “caso Nazionale”: per me è innocente
Immagine pubblica, modelli e confronti
Nonostante la chiusura con un cuore e la bandiera italiana e il durissimo match allo US Open perso con Zverev dopo 4 ore e 41 minuti, a molti la decisione non è affatto piaciuta, una motivazione giudicata insufficiente, una scusa. Tra le critiche, ha ventidue anni, c’era più di una settimana per recuperare, e allora Djokovic, che di anni ne ha trentasei e a New York ha disputato tre match in più, eppure ci sarà? Il confronto a prima vista impietoso in realtà dimentica che Novak gioca un circuito a parte in cui si presenta quando gli fa comodo (come le regole gli permettono). Nole era ancora nella fase di riposo post-Wimbledon quando Jannik vinceva Toronto, lo slam americano è stato il suo decimo torneo dell’anno (diciassettesimo per Sinner) e avrebbe poi saltato l’intera tournée asiatica.
Nonostante tutti i distinguo elencati, pensiamo (questa e ogni altra prima persona plurale da intendersi come opinione di chi scrive) che Jannik abbia sbagliato a chiamarsi fuori. Non perché l’Italia abbia rischiato l’eliminazione (quello che è successo dopo il rifiuto qui non ci interessa) e nemmeno, a prescindere da quanto detto, dalla presenza di Djokovic. Questo secondo motivo ha invero una sua validità, poiché la percezione spesso conta quanto e più di una realtà articolata. E la percezione di molti appassionati e addetti ai lavori si è risolta in un pollice verso. In alcuni casi superando il limite (sempre a nostro avviso), con frasi come quelle apparse su Sport Week della Gazzetta: “E se Jannik Sinner, il Peccatore, chiedesse scusa del suo peccato? Non all’Italia o agli italiani ma a se stesso”.
Parliamo della programmazione sportiva di un giovane atleta, non di rappresentanti delle istituzioni che calpestano la Costituzione. Perché finché si scherza sul cognome di Jannik è un conto, ma usarlo impropriamente (Sinn in tedesco significa senso, non peccato) per montare quella che sa di stantia retorica cattolica, anche no. Al contempo, troviamo ragionevole il concetto di fondo.
Tornando alla percezione, all’immagine pubblica – oltre all’innegabile fatto che un top player è anche un modello per giovani e giovanissimi –, non possiamo non rilevarne l’importanza per un professionista, anche in forza della correlazione tra apprezzamento dei tifosi e sponsor, tanto che valutazioni commerciali possono mettersi di traverso con quanto hanno in mente coach, fisio e preparatori atletici. Citiamo solo i recenti casi di Matteo Berrettini, ancora non in condizione al Boss Open di Stoccarda, e di Emma Raducanu, che ha saltato la BJK Cup (se non rimandato gli interventi chirurgici) in favore del Porsche Tennis Grand Prix di… Stoccarda. A proposito di Berrettini, l’assenza bolognese di Jannik è stata ancor più rumorosa per la presenza in panchina di Matteo: “Il suo è stato un comportamento da leader” ha commentato il presidente della FITP Angelo Binaghi.
Uno per tutti, tennis per uno
A favore della scelta di Sinner, l’obiezione per cui il tennis è uno sport individuale: il giocatore rappresenta sé stesso e decide il meglio per la propria carriera. Forse a un calciatore del Napoli non importa della propria carriera solo perché durante quei novanta o quaranta minuti passa (o non passa) la palla a un compagno libero? Calciatori, cestisti, pallavolisti, tutti possiedono verosimilmente il cosiddetto “spirito di squadra”, caratterizzato dal senso di appartenenza, dalla condivisione degli obiettivi, dalla cooperazione. Però, la squadra che si nutre di questo spirito è l’Inter, è la Virtus, è il Modena Volley, non la nazionale. Dopotutto, se il pallavolista gioca lo stesso sport che si tratti di Serie A o Mondiali, lo stesso vale per il tennista in un torneo individuale o in un incontro a squadre: Musetti era in campo da solo allo US Open ed era in campo da solo a Bologna in Davis. E, probabilmente, rappresenta più l’Italia uno dei nostri tennisti in giro per il Tour che un club del pallone in Coppa dei Campioni. Non si chiama più così? Sta’ un paio d’anni senza seguire il campionato e ritrovi un altro mondo.
Al passo con i tempi
Senza dunque grosse differenze a seconda che in campo ci siano uno o più atleti, la convocazione dovrebbe in ogni caso essere percepita come un onore: scelto per rappresentare tutti i giocatori, dagli amatori a salire, e, in ultima analisi, il Paese stesso di fronte al mondo. Se l’obiezione è, sai che sorpresa, sono il più forte di tutti, in genere le primedonne non riscuotono i favori del grande pubblico. Ma ci torneremo.
Prima è necessario considerare anche la possibile diversa percezione di questo onore tra le nuove generazioni. Perché il fatto che le critiche più aspre siano arrivate da Adriano Panatta e da Nicola Pietrangeli, il capitano della “Squadra”, quella che ha vinto la Coppa Davis nel 1976, fa nascere questo dubbio. Qui però si corre il rischio di generalizzare, di nascondere “tutte le facce dietro una sola, che è quella dei sondaggi di opinione: i giovani qua, i giovani là, i giovani un gran paio di maroni” (citazione a memoria di Ligabue, 1995) e non possiamo fare molto più che interrompere l’allenamento dei ventenni con cui condividiamo la palestra per scoprire che preferirebbero giocare nel Milan (o quella che è) che nella Nazionale. Resta vero, e lo riconoscono gli stessi Paolo Bertolucci e Tonino Zugarelli, che il calendario e le priorità sono cambiate rispetto a quei tempi. Quando c’era ancora la mezza stagione, signora mia.
Restando in tema di (bei?) tempi andati, c’è poi la scusante “non è più la Davis di una volta”, quindi a chi importa se ci va o no. Perché regga, però, non può essere immaginata, vale a dire che il tennista di turno lo deve dichiarare, “questo formato è una schifezza, rifiuto di esserne parte”. Novantadue minuti di applausi, poi succeda quel che succeda.
Regole: per molti ma non per…
Dallo Statuto FITP 2023: “Gli atleti selezionati per le rappresentative nazionali sono tenuti a rispondere alle convocazioni e a mettersi a disposizione della FITP, nonché ad onorare il ruolo rappresentativo conferito” (art. 10, c. 2). La violazione della norma prevede che siano “puniti con sanzione pecuniaria e con sanzione inibitiva fino ad un massimo di un anno” (Regolamento di Giustizia, art. 19, c. 1). In caso di sanzione definitiva, stessa punizione per il coach (c. 3).
Ammettiamo di non aver letto l’intero Statuto neanche ai tempi dell’esame da ufficiale di gara e non possiamo quindi escludere l’esistenza di un’eccezione. Il riferimento è alle parole “assolutorie” di Angelo Binaghi: “Se l’obiettivo continua ad essere, e deve continuare ad essere, quello di vincere gli Slam – il giorno in cui questo mostro che si chiama Djokovic che tra tre, quattro anni avrà circa quarant’anni e giocherà un po’ meno – bisognerà farsi trovare pronti […]. Dunque, in questi casi bisogna fermarsi.”.
Una disparità di trattamento che non può e non deve essere legittimata, non solo in quanto l’uguaglianza di fronte alle regole è un principio basilare, bensì perché rischia di minare il citato spirito di squadra e la passione per la rappresentativa azzurra, arrivando a far percepire il “giustificato” come una primadonna che impone e antepone i propri capricci ai compagni.
Tra l’altro, se il metro di giudizio che vogliono vendere è “chi potrebbe vincere Slam fa quello gli pare”, sarebbe quantomeno opportuno che venisse delegato uno bravo a fare previsioni, dal momento che Simone Bolelli, nel 2008 oggetto di pubbliche ire binaghiane per il suo “no” alla convocazione, uno Slam l’ha poi vinto. Mentre Sinner (con quelli della sua generazione) è stato invero certificato dal proclama federale al pari dei componenti della Lost Generation e degli Original Next Gen: tennisti che per vincere titoli pesanti altro non possono fare che attendere il ritiro dell’essere mitologico chiamato Big 3, pur rimasto con una sola testa.
Fraintendimenti faziosi
Anche se non dovrebbe esserci bisogno di chiarirlo, tifare per la nazionale o sentirsi onorati di vestirne i colori nulla ha a che fare con il peggior lato del nazionalismo, che invece di bearsi dell’unicità della propria nazione la ritiene superiore a tutte le altre, quel nazionalismo che ha portato alle relative dittature del secolo scorso e alla seconda guerra mondiale, quell’ideologia che ora ritrova nuova linfa anche grazie alle risposte ignoranti (al)le sfide della globalizzazione e del nuovo millennio. No, sperare che la rappresentativa del proprio Paese vinca i mondiali di pallavolo, gli ori alle Olimpiadi, la Coppa Davis, così come credere che Jannik abbia sbagliato a rifiutare la convocazione, non c’entra nulla con quanto sopra e con il Deutschland über alles urlato dagli spalti a Zverev (gran presenza di spirito da parte di Sascha nella reazione, peraltro).
Perché, parlando con un amico, una persona può scherzare sul proprio figlio, definirlo anche un po’ scemo, ma mai accetterebbe che a chiamarlo così fosse l’altro. Allo stesso modo, quando Pietrangeli parlando “in generale” ha avuto quell’uscita infelice, quel “se non sei fiero di giocare per il tuo Paese fatti fare un certificato medico fasullo” all’interno di un discorso altrimenti sensato – condivisibile o meno, siamo qui per questo –, noi possiamo spingerci nella satira dicendo che quel certificato è forse il vero simbolo dell’italianità. Ma se ce lo rinfacciassero un francese, un russo, un americano, beh, non gliele manderemmo a dire.
In conclusione, a dispetto degli infiniti episodi di becera quotidianità, non viviamo nel caos e accettare con entusiasmo la convocazione significa anche rappresentare un ideale di cooperazione alla cui altezza nessuno di noi è in grado di vivere. Per questo, pur rifiutando la dicotomia innocentisti/colpevolisti, soprattutto nella parte in cui si addossano colpe, riteniamo che Jannik abbia sbagliato. E che Volandri sbaglierebbe se lo chiamasse per la fase finale di Malaga. Poi, il 2024 è un altro anno.
Coppa Davis
Coppa Davis: per l’Italia, meglio l’Olanda o la Gran Bretagna? Esiste un caso Sinner?
In attesa del sorteggio di martedì, analizziamo i possibili avversari degli azzurri ai quarti di finale a Malaga. Sonego, Musetti, Arnaldi, Berrettini, Jannik: chi porterà Volandri?

Ci è andata bene. “Ci” nel senso della squadra azzurra impegnata nella fase a gironi delle Finali di Coppa Davis. In un gruppo con tre squadre materasso… un attimo, forse bisogna spiegare. I campioni in carica canadesi schieravano il n. 158 e il n. 200 ATP. Il Cile, un Jarry in forma ma che sul duro vantava un 6-15 contro i top 50, il n. 102 Cristian Garin, un altro che sul duro non è esattamente una mina vagante, e un doppio senza pretese. La Svezia, che non è più quella di una volta, come ricorda il direttore, Elias Ymer (n. 175), diventato il più forte della famiglia dopo il ritiro di Mikael, e il ventenne Borg, Leo (figlio di Orso) che sta scalando la classifica ma è ancora fuori dai primi 300, con quattro match ATP (uno vinto) di esperienza.
In un gruppo con tre squadre materasso, dicevamo, l’Italia ha rischiato di essere una delle tre. Grazie ad Arnaldi, schierato nella seconda giornata non da Volandri ma dagli appassionati inferociti, che con la sua vittoria ha dato la necessaria fiducia a Lorenzo Sonego nel rubber successivo (in cui peraltro ha annullato quattro match point) e al Canada che ha sconfitto il Cile senza fare calcoli per eliminarci anche perché in Davis ci batte sempre, la nostra squadra si è qualificata per Malaga, dove addirittura potrebbe essere considerata una delle favorite.
Non ci sarà spazio per sbagliare, però, perché al Palacio de Deportes José María Martín Carpena chi perde è fuori come ai (per alcuni) bei tempi. Il sorteggio del tabellone è previsto martedì 19 settembre a mezzogiorno, anche se in realtà si tratta di un sorteggio parziale in quanto le vincitrici di ogni girone sono state già piazzate sulle rispettive righe previste dal regolamento, mentre le seconde classificate saranno estratte due nella parte alta e due nella parte bassa. Come ormai sappiamo, l’Italia potrà quindi affrontare al primo turno (quarti di finale) o i Paesi Bassi o la Gran Bretagna. Ecco come si presenta il prospetto dei quarti prima del sorteggio:
Canada vs Australia o Finlandia
Cechia vs Finlandia o Australia
Italia o Serbia vs Paesi Bassi
Serbia o Italia vs Gran Bretagna
A questo punto, emergono necessariamente due quesiti importanti. Il primo è, chi preferiamo tra le due sineddochi, l’Olanda o la Gran Bretagna?
I Paesi Bassi
Con i successi per 2-1 al terzo set del doppio sulla Finlandia del sorprendente Virtanen (anch’essa qualificata) e sugli Usa con lo stesso punteggio, ottenuto però dopo i singolari, gli olandesi sono usciti vincitori dal gruppo D di Spalato. Nell’ultima giornata hanno ceduto ai padroni di casa a giochi ormai fatti nel doppio, con un super-tiebreak al posto del terzo set, match che non pare essere stato ufficializzato dall’ATP.
In singolare, i titolari sono il n. 24 ATP Tallon Griekspoor e il n. 68 Botic van de Zandschulp, mentre in doppio vantano il quarto del mondo (ex n. 1) Wesley Koolhof e Matwe Middelkoop, che sarà anche un quarantenne ma a inizio anno era nella top 20 di specialità e ora è n. 34. Parliamo di doppio, lo sport del classe 1980 Rohan Bopanna finalista allo US Open (quello di due settimane fa). Insomma, visto che capitan Volandri trova sempre una scusa per non far giocare la nostra coppia più forte (Fognini e Bolelli), vincere i due singolari sembra una buona mossa per avanzare in semifinale se saremo estratti contro i Paesi Bassi.
In top 100 da meno di due anni, Tallon sta avendo un’ottima stagione, con i suoi primi due trofei messi in bacheca (Pune e ‘s-Hertogenbosch) e la finale di Washington. Contro gli italiani ha un apparentemente poco incoraggiante bilancio ATP di 4-1; tuttavia, togliendo le vittorie con avversari che difficilmente affronterà a Malaga (Fognini due vole, Cecchinato e Travaglia), rimane la sconfitta con Jannik Sinner di quest’anno sul duro indoor di Rotterdam. A migliorare ulteriormente il quadro, è stato anche sconfitto da Lorenzo Sonego nelle qualificazioni di Bercy 2022.
Botic ha un bilancio di 3-2 contro gli italiani, ma, stesso discorso fatto per Griekspoor, ha perso due volte contro Matteo Berrettini, anche se sull’erba. In definitiva, due singolari tutt’altro che proibitivi sulla carta (sullo schermo del PC, ormai). Bello il pathos di un doppio decisivo, però possiamo anche farne a meno.
La Gran Bretagna
Uscita da Manchester a punteggio pieno, è stata l’altra nazione delle quattro ospitanti i gironi a sfruttare il fattore C, che nel suo caso si riferisce solamente al campo. Beh, nell’emozionante tie dentro-o-fuori con la Francia, la coppia formata da Evans e Skupski ha rimontato l’1-6 iniziale vincendo due tie-break e annullando pure quattro match point nel terzo (con il servizio a disposizione, ma 4-5 0-40 dopo un doppio fallo contro Mahut/Roger-Vasselin non è proprio qualcosa di ripetibile all’infinito).
I brits hanno prima battuto 2-1 l’Australia grazie ai singolari di Draper ed Evans, perdendo poi il doppio da Ebden/Purcell. Poi è stata la volta della Svizzera, sconfitta al doppio dopo che la vittoria di Murray su Riedi era stata pareggiata da Wawrinka su Norrie. Infine, come detto, la Francia “ai rigori”, dopo la rimonta di Evans su Fils e la sconfitta di Norrie contro Humbert.
Dan Evans, per gli amici Evo, è apparso ben oliato in questi giorni: due vittorie su due in singolare, due su tre in doppio. Il n. 27 ATP è 5-7 contro i nostri rappresentanti. Limitandoci come sopra ai possibili avversari in Spagna, è 0-3 contro Musetti (due sulla terra, quest’anno sul duro di Cincinnati), 0-2 con Sonego (Vienna indoor 2020, Miami quest’anno) e ancora 0-2 con Berrettini (sull’erba). A Barcellona, in aprile, ha invece battuto un Arnaldi ancora fuori dalla top 100.
Quando sta bene, Jack Draper è parecchio insidioso, ma negli ultimi 12 mesi l’inglese ha avuto diversi problemi fisici, tanto da precipitare al n. 105 dal best ranking di 38 a inizio stagione. A conferma della sua pericolosità, il 5-0 contro i nostri: Sinner (Queens’ 2021), due volte Sonego e Musetti, oltre a Fognini.
Se dal un lato Andy Murray non è più quello di un tempo – l’anello tra il Big 3 e gli altri –, dall’altro è sempre Andy Murray e, quando già nei tornei nessuno vorrebbe invischiarsi con lui in un match di lotta furibonda, se possibile ciò vale ancor più in Coppa Davis. 33-3 il suo bilancio in singolare, un’Insalatiera alzata nel 2015. 2-3 con Berrettini (dolorosissima la sconfitta di Matteo in gennaio all’Australian Open), una vinta (Stoccolma 2021) e una persa (Dubai 2022) con Sinner, 2-0 contro Sonego (Doha e Toronto, quest’anno).
Norrie, n. 17 ATP, è 3-6 contro gli italiani, sconfitto quest’anno allo US Open da Arnaldi (oh-la-la) e da Musetti al Roland Garros, bissando il risultato di Barcellona. Contro il britannico, vittoria anche per Berrettini (lo diciamo? sì, lo diciamo: erba) e Sonego (terra). E Cam ha perso i suoi due rubber a Manchester.
Ci ripetiamo ricorrendo allo stile del compianto Massimo Catalano, rilevando e rivelando che è meglio vincere il tie dopo i due singolari che perderlo al doppio. Perché Evans sa quel che fa e Skupski (terzo del mondo, primo un anno fa) è un fenomeno.
Rispondiamo dunque alla domanda: secondo l’opinione di chi scrive, è meglio affrontare i Paesi Bassi, soprattutto se la Gran Bretagna potrà schierare un Jack Draper integro (essendo il primo match, è senz’altro possibile). Inoltre, da quanto visto, la coppia di inglesi sembra anche avere una maggiore cattiveria agonistica. Non che le preferenze nostre o di chi legge possano influenzare il sorteggio.
A ogni modo, se l’Italia supera il turno, incontrerà “l’altra” nazione, sempre che questa non venga eliminata dalla Serbia di Djokovic. Tra parentesi, Nole dà l’impressione di essere a caccia di un altro record: il primato in solitaria per il maggior numero di vittorie in Coppa Davis con la maglia serba. Con il successo in singolare contro Ramos-Viñolas, il campione di Belgrado ha staccato Tipsarevic e agganciato a quota 43 (singolo e doppio) Nenad Zimonjic: sarà (anche) per questo motivo che, con la squadra già qualificata, ha voluto giocare il doppio?
Il caso Sinner (o il caso che non esiste)
Il secondo quesito che emerge riguarda… Jannik Sinner. La sua scelta di rinunciare alla convocazione è stata criticata da alcuni, ma condivisa dal presidente federale Binaghi perché il Rosso di Sesto Pusteria un giorno potrà vincere Slam. Lo stesso giudizio non c’era stato in altre occasioni: “Fino a quando ci saremo noi, Bolelli non giocherà mai più in Coppa Davis” aveva dichiarato Binaghi nel 2008, una decisione poi rientrata. Simone, intanto, uno Slam l’ha vinto davvero.
Riguardo a Jannik, c’è chi crede che non dovrebbe essere convocato per l’ultima fase e che nella patria del noto gusto di gelato arricchito dall’uvetta imbevuta di vino locale ci debba andare chi ci ha fatto guadagnare la qualificazione. No, non gli olandesi (che comunque ci saranno), ma coloro che hanno giocato a Bologna, più l’incolpevole Berrettini a cui dovrebbe andare a prescindere un plauso per aver sostenuto la squadra dalla panchina. Una situazione che forse ricorda il film Le riserve (The Replacements), vagamente ispirato allo sciopero dei giocatori della NFL del 1987, con i “sostituti”, Keanu Reeves in testa, che portano la squadra a una vittoria dai playoff. A quel punto, il quarterback titolare decide di rientrare.
Già il titolo della pellicola è una dichiarazione di parte, ben definita dalla caratterizzazione tagliata con l’accetta del giocatore che Keanu sostituisce: antipatico, arrogante e primadonna, in questo ben lontano dall’immagine di Jannik. Lì non c’era dubbio su chi il pubblico volesse in campo, ma nel caso di Jannik?
A ognuno la propria opinione che naturalmente, come nel caso delle “preferenze” sul sorteggio, non muterà la realtà: tappeto rosso per il Rosso se vorrà partecipare.