Kyrgios ha messo finalmente la testa a posto? (Riccardo Crivelli, La Gazzetta dello Sport)
Angelo o diavolo? Facciamoci l’abitudine: è stato, è e sarà l’eterno dilemma che accompagnerà ogni sortita di quel monello di Kyrgios. La cronaca delle sue ultime due settimane del resto ne racconta la doppia personalità. A Delray Beach perde al secondo turno da Albot con la solita prestazione sciatta, esce tra gli ululati di sdegno del pubblico e lui li fredda con la consueta lingua tagliente: «Non sono obbligati a venirmi a vedere». Poi gli tocca Acapulco, dove batte Seppi prima di incrociare Nadal. Va sotto di un set, per sua stessa ammissione medita di abbandonare la partita, schifato dal rendimento e dall’ambiente, poi si resetta e con due tie break irreali, annullando tre match point, annichilisce Rafa prendendosi pure il lusso di servirgli da sotto, facendo ribollire il sangue al maiorchino, che gli riserverà parole di fuoco: «Deve avere più rispetto». La risposta? Una sciabolata: «Sono diverso da lui. Non conosce il mio percorso, quello che ho affrontato, non sa niente di me. Io gioco così. Lui gioca a modo suo. Ed è molto lento tra un punto e l’altro». Esaltato dalla battaglia, e nonostante l’assordante tifo contrario a ogni match, il Kid da lì diventa ingiocabile, mettendo in fila Wawrinka, Isner e Zverev per il 5° successo in carriera, il primo in 14 mesi. Lo si dice da quando, nel 2014 negli ottavi di Wimbledon, sorprese proprio Nadal da numero 144 del mondo: se resta con la testa sul campo, Nick è un possibile vincitore di Slam. E tuttavia continua a risultare impossibile prevedere, da un torneo all’altro, se viaggerà in paradiso oppure alloggerà all’inferno. I segnali in arrivo dal Messico, tuttavia, confortano chi crede in una definitiva redenzione seguita da prestazioni all’altezza di un talento concesso a pochi: «Venivo da un periodo difficile, davvero, ma poi vivi una settimana così e tutto cambia. Devo essere più disciplinato, più professionale, forse dovrei cominciare ad avere un coach». Parole mai sentite prima, e poco importa che abbia preparato la finale facendo sci d’acqua tre ore prima di entrare negli spogliatoi. Saranno i Masters 1000 americani a profilare la dimensione attuale di Nick, ma sicuramente a ogni risultato si scateneranno fan e detrattori, perché non esiste un giocatore così divisivo dai tempi di Connors, McEnroe e del primo Agassi: o lo si ama, o lo si odia. Al primo gruppo appartiene chi lo vive come una splendida scheggia impazzita nel tennis uniformato di picchiatori anonimi. Al secondo, coloro che non ne sopportano la maleducazione, l’arroganza, la scarsissima passione per il suo sport che lo porta perfino a farsi spronare da un arbitro (Lahyani agli Us Open) pur di non ritirarsi da un match. Nella diatriba, ora si inserisce pure Mouratoglou: «Nick è fantastico, uno dei pochi che non ci pensa due volte a dirti le cose in faccia. Lui è fatto così e il tennis ha bisogno di lui». Il post era su Facebook, in migliaia hanno criticato The Coach biasimandolo di esaltare un giocatore che non può essere d’esempio per i più giovani. È il destino di Nick, sempre in bilico tra dannazione e santità. E alla fine, saranno le vittorie a metterlo al posto giusto. O sbagliato.
La Wozniacki deve curarsi l’artrite col timore doping (Paolo Vannini, Corriere dello Sport)
Convivere con una malattia autoimmune, che d’improvviso ti condiziona non solo sul piano strettamente fisico ma anche nel delicato rapporto fra cure necessarie e sistemi antidoping. E’ la nuova sfida che sta affrontando la ex numero 1 del mondo Caroline Wozniacki, che ha scoperto a fine autunno scorso di soffrire di artrite reumatoide, problema che la costringerà ad una serie di terapie specifiche, molte delle quali con sostanze che rischiano di farla trovare positiva ai severi controlli previsti ormai anche dal tennis. Carolina riparte in questi giorni da Indian Wells, dove è testa di serie numero 13, dopo un avvio di stagione non troppo felice: il ko con la Sharapova agli Australian Open, poi i ritiri in Fed Cup, Doha e Dubai ufficialmente per generici problemi di salute, da molti legati proprio alla diagnosi di artrite. Ma la danese non vuole arrendersi: «La mia vita è profondamente cambiata – ha recentemente dichiarato – ma mi sto adattando e presto capirò e imparerò cosa mi fa stare meglio badando il più possibile all’alimentazione». Sarà possibile per la Wozniacki giocare ancora con continuità e restare competitiva? E soprattutto potrà conciliare le cure con l’attività sportiva senza incorrere in squalifiche? Lo abbiamo chiesto al medico della nazionale femminile italiana di tennis, il palermitano Angelo Giglio, che si è a lungo occupato anche di antidoping: «L’artrite reumatoide e una malattia degenerativa, che si può sostanzialmente tenere a bada ma non ha remissioni. Però ci si può convivere anche se provoca una usura delle articolazioni. Dovrà certamente fare delle cure a base di cortisone ma può evitare i rischi del doping presentando le dovute richieste alla propria Federazione. Dovrà dichiarare esattamente che tipo di farmaci prende e in quali dosi. Se il controllo riscontrerà esattamente il quantitativo metabolizzato, non ci sarà nessun problema. Per una tennista, sicuramente non è una situazione facile, è probabile che abbia periodi in cui farà più fatica ed altri dove si sentirà competitiva come prima. Se ben seguita sul piano medico, ritengo non dovrebbe avere nessun guaio con l’antidoping». Non si diventa pero campioni per caso e la Wozniacki in particolare ha fatto sempre delle sue qualità agonistiche una delle proprie cifre caratteristiche. Laura Golarsa, che arrivò nei quarti di finale a Wimbledon, è convinta della sua reazione e dà la propria testimonianza: «I professionisti sono abituati a gestire la propria fisicità e sono certo che Caroline lo farà al meglio un po’ come è capitato a Venus Williams dopo aver appreso della sua sindrome. Quanto al rapporto fra cure e doping, esistono ormai dei protocolli molto rigorosi. Ho avuto fra i miei allievi ragazzi che avevano necessità di prendere ormoni ed hanno seguito una procedura complessa ma precisa. Le terapie vanno dichiarate e certificate da una doppia analisi medica, tutto segue un processo scientifico e trasparente. Quello che potrebbe essere limitante è l’aspetto psicologico ma se le cure sono mirate, la Wozniacki potrà restare competitiva».